La posta di Alessandro Gnocchi Iniziamo oggi una nuova rubrica: “Fuori moda”. Ogni martedì Alessandro Gnocchi, giornalista e scrittore che noi tutti amiamo e apprezziamo, risponderà alle lettere che gli amici lettori vorranno indirizzargli tramite la redazione di Riscossa Cristiana. L’idea è nata proprio da una lettera giunta di recente, con la quale apriamo questa nuova rubrica, alla quale tutti potranno partecipare, indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it , con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso, mentre si daranno, ad altre lettere, risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.
Ringraziamo quindi il carissimo amico Alessandro Gnocchi per la sua disponibilità, e attendiamo le vostre lettere. A tutti un augurio di buona lettura con questa prima puntata di “Fuori Moda”
Paolo Deotto
“FUORI MODA”. La posta di Alessandro Gnocchi - rubrica del martedì
3 giugno 2014
.
è pervenuta in Redazione:
Non sono trascorsi neanche tre mesi dalla morte di Mario Palmaro e devo dire che si avverte davvero la sua assenza. Sono così pochi i punti di riferimento che abbiamo, che ci si sente sempre un po’ più soli quando qualcuno ci viene tolto. E la situazione non è certo migliorata, anzi. Approvazione del divorzio breve, il Papa che bacia la mano ai reduci ebrei dei campi di sterminio, i politici cattolici ormai latitanti se non in rarissimi casi purtroppo di scarsa rilevanza… Tutto corre sempre più velocemente verso il baratro e mi chiedo che cosa direbbe adesso Palmaro per commentare quanto abbiamo sotto gli occhi. Mi pare che le sue analisi e le sue previsioni siano state esatte, ma è davvero una magra consolazione per chi come me le ha sempre condivise. Avere ragione in queste circostanze non attenua il dolore. Adesso che cosa dobbiamo fare e che cosa dobbiamo aspettarci?
Se possibile, vorrei porre queste domande ad Alessandro Gnocchi attraverso Riscossa Cristiana. E mi piacerebbe sapere che cosa gli manca dell’amicizia con Palmaro.
Grazie per l’attenzione. Carlo Mannarini
.
Caro Mannarini,
sono sempre riuscito a fuggire la tentazione di immaginare ciò che, a proposito del presente, avrebbe detto qualcuno che non è più tra noi. Da qualche decennio, mi pongono la stessa domanda nelle serate dedicate a Giovannino Guareschi. C’è sempre qualcuno che chiede che cosa Guareschi avrebbe detto a proposito del brutto andazzo che hanno preso i nostri tempi. In tutta franchezza, non lo so e mi astengo dall’attribuirgli pensieri apocrifi. Così come mi astengo dal farlo oggi con Mario a proposito dei casi che lei cita e di tanti altri, altrettanto drammatici. Finirei per dirle ciò che penso io e non sarebbe onesto.
Rispondo volentieri alla seconda parte della sua domanda. Quanto mi manca Mario? Dal 9 marzo, è come se, improvvisamente, fossi rimasto cieco da un occhio. Solo ora mi rendo conto di quanto ciascuno di noi due si guardasse attorno per conto dell’altro. E solo ora mi rendo conto che non avremmo mai scritto o detto ciò che abbiamo scritto e detto senza questa visione combinata, che non era un incontrarsi a metà strada, ma solo la possibilità di rendere più completo il pensiero. Nessuno di noi ha mai scritto ciò pensava solo l’altro e nessuno ha mai rinunciato a scrivere ciò pensava per compiacere l’altro. Oggi va di moda chiamarla alchimia, ma era intesa tra fratelli.
Dal 9 marzo, per me, il problema sta nel mantenere questo metodo pur essendo rimasto da solo. Senza cadere nella tentazione di pensare ciò che avrebbe pensato Mario, ma costringendomi a guardare la realtà da più punti di vista. Non so quali risultati ne possano uscire, ma sento che questo lo debbo a coloro che hanno seguito quanto scrivevo con Mario e che continuano a seguire quanto scrivo ora. Ciò che scrivevamo insieme, non era mai scritto in prima battuta e deve continuare a essere così.
Quanto a ciò che mi manca di quell’amicizia, vorrei confidarle un pensiero che ho messo a fuoco in questi ultimi tempi riflettendo su un tratto davvero speciale della vita di Mario: la ricerca della santificazione attraverso l’appropriazione e l’applicazione sistematica della dottrina cattolica. La giornata di Mario in famiglia, nel lavoro, nell’insegnamento, nelle amicizie è stata segnata dall’umiltà di chi non insegue toni profetici o slanci mistici, ma si affida a ciò che la sapienza della Chiesa ha distillato nel corso nei secoli per i cristiani ordinari, i santi di tutti i giorni che dovremmo aspirare a essere.
Man mano affiorano ricordi, frasi, sguardi, silenzi che hanno riempito questi anni, mi rendo conto di che cosa sia la vera umiltà. Non quella che finisce sulle prime pagine dei giornali, non quella che si insuperbisce della sua unicità, ma quella discreta che non fa la minima mostra di esserci: insomma, l’unica che possa essere chiamata con questo nome.
In certi momenti, quando l’esistenza viene travolta dall’imponderabile, sarebbe più facile mostrarsi in ginocchio, dolenti, quasi chiedere la condivisine del dolore e della preghiera. Invece, durante tutta la sua malattia, Mario ha continuato a vivere come ha sempre vissuto e ha trasformato il suo dolore in offerta, tanto più grande quanto più nascosta e inaccessibile a uno sguardo umano. Verrebbe da definirla la banalità della santificazione.
Ciò che più ha edificato chiunque lo abbia incontrato anche solo una volta in questo periodo è stata la capacità di rendere ordinario il dolore inatteso. Un piccolo miracolo ottenuto grazie all’applicazione di un metodo invece che alla manifestazione del gesto. Quando chiesero a San Carlo Borromeo che cosa avrebbe fatto se avesse saputo di morire di lì a poco, lui rispose semplicemente “Farei bene ciò che sto facendo in quel momento”. Con tutte le difficoltà di un uomo di quarantacinque anni che sa di dover lasciare la moglie e i figli, Mario ha fatto proprio così. Per due anni, ha continuato a fare bene ciò che stava facendo in quel momento, fino all’ultimo.
Ecco, caro Mannarini, se devo dire ciò che, in questo momento, mi manca di quell’amicizia è la serietà del cristiano.
Alessandro Gnocchi
http://www.riscossacristiana.it/fuori-moda-la-posta-di-alessandro-gnocchi-rubrica-del-martedi/
Paolo Deotto
“FUORI MODA”. La posta di Alessandro Gnocchi - rubrica del martedì
3 giugno 2014
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è pervenuta in Redazione:
Non sono trascorsi neanche tre mesi dalla morte di Mario Palmaro e devo dire che si avverte davvero la sua assenza. Sono così pochi i punti di riferimento che abbiamo, che ci si sente sempre un po’ più soli quando qualcuno ci viene tolto. E la situazione non è certo migliorata, anzi. Approvazione del divorzio breve, il Papa che bacia la mano ai reduci ebrei dei campi di sterminio, i politici cattolici ormai latitanti se non in rarissimi casi purtroppo di scarsa rilevanza… Tutto corre sempre più velocemente verso il baratro e mi chiedo che cosa direbbe adesso Palmaro per commentare quanto abbiamo sotto gli occhi. Mi pare che le sue analisi e le sue previsioni siano state esatte, ma è davvero una magra consolazione per chi come me le ha sempre condivise. Avere ragione in queste circostanze non attenua il dolore. Adesso che cosa dobbiamo fare e che cosa dobbiamo aspettarci?
Se possibile, vorrei porre queste domande ad Alessandro Gnocchi attraverso Riscossa Cristiana. E mi piacerebbe sapere che cosa gli manca dell’amicizia con Palmaro.
Grazie per l’attenzione. Carlo Mannarini
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Caro Mannarini,
sono sempre riuscito a fuggire la tentazione di immaginare ciò che, a proposito del presente, avrebbe detto qualcuno che non è più tra noi. Da qualche decennio, mi pongono la stessa domanda nelle serate dedicate a Giovannino Guareschi. C’è sempre qualcuno che chiede che cosa Guareschi avrebbe detto a proposito del brutto andazzo che hanno preso i nostri tempi. In tutta franchezza, non lo so e mi astengo dall’attribuirgli pensieri apocrifi. Così come mi astengo dal farlo oggi con Mario a proposito dei casi che lei cita e di tanti altri, altrettanto drammatici. Finirei per dirle ciò che penso io e non sarebbe onesto.
Rispondo volentieri alla seconda parte della sua domanda. Quanto mi manca Mario? Dal 9 marzo, è come se, improvvisamente, fossi rimasto cieco da un occhio. Solo ora mi rendo conto di quanto ciascuno di noi due si guardasse attorno per conto dell’altro. E solo ora mi rendo conto che non avremmo mai scritto o detto ciò che abbiamo scritto e detto senza questa visione combinata, che non era un incontrarsi a metà strada, ma solo la possibilità di rendere più completo il pensiero. Nessuno di noi ha mai scritto ciò pensava solo l’altro e nessuno ha mai rinunciato a scrivere ciò pensava per compiacere l’altro. Oggi va di moda chiamarla alchimia, ma era intesa tra fratelli.
Dal 9 marzo, per me, il problema sta nel mantenere questo metodo pur essendo rimasto da solo. Senza cadere nella tentazione di pensare ciò che avrebbe pensato Mario, ma costringendomi a guardare la realtà da più punti di vista. Non so quali risultati ne possano uscire, ma sento che questo lo debbo a coloro che hanno seguito quanto scrivevo con Mario e che continuano a seguire quanto scrivo ora. Ciò che scrivevamo insieme, non era mai scritto in prima battuta e deve continuare a essere così.
Quanto a ciò che mi manca di quell’amicizia, vorrei confidarle un pensiero che ho messo a fuoco in questi ultimi tempi riflettendo su un tratto davvero speciale della vita di Mario: la ricerca della santificazione attraverso l’appropriazione e l’applicazione sistematica della dottrina cattolica. La giornata di Mario in famiglia, nel lavoro, nell’insegnamento, nelle amicizie è stata segnata dall’umiltà di chi non insegue toni profetici o slanci mistici, ma si affida a ciò che la sapienza della Chiesa ha distillato nel corso nei secoli per i cristiani ordinari, i santi di tutti i giorni che dovremmo aspirare a essere.
Man mano affiorano ricordi, frasi, sguardi, silenzi che hanno riempito questi anni, mi rendo conto di che cosa sia la vera umiltà. Non quella che finisce sulle prime pagine dei giornali, non quella che si insuperbisce della sua unicità, ma quella discreta che non fa la minima mostra di esserci: insomma, l’unica che possa essere chiamata con questo nome.
In certi momenti, quando l’esistenza viene travolta dall’imponderabile, sarebbe più facile mostrarsi in ginocchio, dolenti, quasi chiedere la condivisine del dolore e della preghiera. Invece, durante tutta la sua malattia, Mario ha continuato a vivere come ha sempre vissuto e ha trasformato il suo dolore in offerta, tanto più grande quanto più nascosta e inaccessibile a uno sguardo umano. Verrebbe da definirla la banalità della santificazione.
Ciò che più ha edificato chiunque lo abbia incontrato anche solo una volta in questo periodo è stata la capacità di rendere ordinario il dolore inatteso. Un piccolo miracolo ottenuto grazie all’applicazione di un metodo invece che alla manifestazione del gesto. Quando chiesero a San Carlo Borromeo che cosa avrebbe fatto se avesse saputo di morire di lì a poco, lui rispose semplicemente “Farei bene ciò che sto facendo in quel momento”. Con tutte le difficoltà di un uomo di quarantacinque anni che sa di dover lasciare la moglie e i figli, Mario ha fatto proprio così. Per due anni, ha continuato a fare bene ciò che stava facendo in quel momento, fino all’ultimo.
Ecco, caro Mannarini, se devo dire ciò che, in questo momento, mi manca di quell’amicizia è la serietà del cristiano.
Alessandro Gnocchi
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