A parlarne tra i primi fu Aristotele. Vizi, deviazioni, debolezze. Con il cristianesimo e con la Divina Commedia di Dante si rafforzò l’idea che i sette punti vulnerabili dell’uomo lo avrebbero condotto alla perdizione (e dunque all’inferno). I sette peccati capitali. Questi sono:
- superbia (desiderio irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini, leggi, rispetto altrui);
- avarizia (scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede);
- lussuria (desiderio irrefrenabile del piacere sessuale fine a sé stesso);
- invidia (tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio);
- gola (meglio conosciuta come ingordigia, abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola, e non solo);
- ira (irrefrenabile desiderio di vendicare violentemente un torto subito);
- accidia (torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene).
Negli anni ’90 i sette peccati tornarono a far parlare di sé con il meraviglioso film di David Fincher
Seven, interpretato da Brad Pitt, Kevin Spacey, Morgan Freeman e Gwyneth Paltrow. E, oggi, a distanza di più di vent’anni, il
Guardian rivede questi sette peccati. E lo fa alla luce dei cambiamenti introdotti nella nostra vita quotidiana dalla rete, la tecnologia e i social network. Il risultato
è un lavoro multimediale, notevole, da cliccare e da guardare per capire come il progresso muti radicalmente il nostro modo di relazionarci con il proibito e con l’illegalità. Qui, punto per punto, cosa ha scoperto il quotidiano britannico.
Avarizia
Due sono i modi in cui si evolve principalmente questo vizio. Il primo è il nostro desiderio sempre maggiore di follower e di contatti che ci porta a non essere mai sazi di popolarità e di riscontri. Il secondo è il download illegale: vogliamo vedere tutti i film e tutte le serie a costo zero.
Superbia
Siamo talmente convinti della nostra importanza che ormai ci assicuriamo una vita digitale anche dopo la morte. Ma non solo, proviamo benessere fisico quando ci ritwittano e cerchiamo forsennatamente il nostro nome sui motori di ricerca (il cosiddetto googling). E, infine, siamo talmente convinti di essere interessanti che costruiamo timeline con le nostre storie d’amore e per il nostro matrimonio facciamo inviti virali.
Invidia
Scrutiamo i profili dei nostri amici digrignando i denti alla vista delle loro vacanze in mete esotiche. E siamo talmente narcisisti da fotografarci anche in bagno fingendo di essere in una spa a cinque stelle. L’edonismo, insomma, ci spinge a guardare quello che non abbiamo e così passiamo ore a consultare i siti di real estate di ville in Grecia e Miami facendoci del male. Ma, attenzione, il 69 per cento di noi assolve questi comportamenti. Più che peccati dunque è meglio definirle debolezze. Diverso invece è entrare in competizione su Instagram con gli amici per chi posta foto più belle. Per questo comportamento c’è la condanna.
Lussuria
Internet è il regno della cupidigia e del peccato. Siti feticisti, portali di dating per traditori abituali, social network per scambisti e password custodite gelosamente per evitare che il partner scopra le nostre infedeltà virtuali. E, che sia chiaro, essere lascivi online non è un peccato almeno per il 61 per cento dei lettori del Guardian.
Gola
Non si tratta solo di food porn (la mania di postare foto di cibi). Ma anche di nutrirsi in modo compulsivo di video virali e di notizie stupide. Diventare bulimici in rete è una delle cose più facili al mondo. E sì, giocare in modo compulsivo per 13 ore consecutive a World of Warcraft è peccato. Così come chiedere l’amicizia a chiunque su Facebook o comprare qualunque cosa online solo perché le spese di spedizione sono gratuite.
Ira
Troll e provocatori, sono loro i peccatori per eccellenza. Perché seminano zizzania, accendono gli animi e scatenano tempeste di rabbia (il cosiddetto hatespeech). Ma anche farsi un fake con un nome di un politico significa peccare nell’era dei social network. Per non parlare dei cyberbulli che insultano i compagni di classe su Ask.fm solo perché sono cicciotti.
Accidia
Ultimo capitolo dolente, l’inerzia. Tra i comportamenti più deprecabili individuati dalGuardian c’è l’uso di Wikipedia al posto della consultazione bibliotecaria. Ma anche fare gli auguri via Facebook o via sms invece di fare una telefonata è sinonimo di peccato. Per il 78 per cento dei lettori si tratta di comportamenti da assolvere. Segno che dunque, se giudizio divino in rete esiste, c’è da stare abbastanza sereni.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.