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domenica 1 giugno 2014

Timeo danaos?

La “disperazione culturale” dei cattolici


Resa o attacco? Idee dall’America per un nuovo “engagement”

Ritirata strategica o contrattacco? Questo è uno dei dilemmi, forse il dilemma, della chiesa alle prese con un mondo sempre più radicalmente lontano dall’antropologia cristiana e dalle sue conseguenze sociali e culturali. Il disfacimento della famiglia tradizionale, che poi fuori dalla neolingua del politicamente corretto sarebbe la famiglia naturale o la famiglia e basta, è testimonianza sintetica del trend. Di fronte allo spettacolo del dispiegamento della modernità i cattolici hanno almeno due strade possibili: concedere la vittoria e ritirarsi in buon ordine, magari in riserve protette, oppure riconoscere la propria posizione minoritaria ma senza abbandonare il dibattito pubblico.
La scorsa estate l’intellettuale cattolico Joseph Bottum sulla rivista americana Commonweal ha scritto il manifesto della prima opzione, argomentando in favore del matrimonio omosessuale. Non che invocasse sconvolgimenti di dottrina. Semplicemente riconosceva che la battaglia cattolica per definire il matrimonio è persa, invitando alla radicale separazione fra unione sacramentale e civile così da poter abbracciare l’uno e riconoscere l’altro senza tema di contraddizione. La chiesa auspicata da Bottum è programmaticamente irrilevante nella cultura odierna, per rigenerarsi può tutt’al più investire molto nelle opere di carità, occuparsi della nuova evangelizzazione in Asia e lavorare sulla liturgia.

Ora Ross Douthat, columnist del New York Times, ha risposto a Bottum con il manifesto dell’“engagement” cattolico, basato su un argomento: la chiesa che accetta l’irrilevanza culturale non è chiesa. La sua pretesa di fare affermazioni universali si declassa a una fra le tante opinioni mondane. Non c’è cattolico conservatore che più di Douthat senta l’esigenza di costruire un nuovo linguaggio e nuovi argomenti dopo le “caricature della culture war”, ma abbandonare il dibattito è un segno di “disperazione culturale”, malignamente suscitata dal sospetto che “la Provvidenza ci abbia messo di fronte a questioni troppo difficili da affrontare”. Per evitarle basta separare radicalmente la sfera civile da quella religiosa, ammettere che la seconda non ha nulla  da dire sulla prima e andare a occuparsi dei cristiani in Asia.

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