Resa o attacco? Idee dall’America per un nuovo “engagement”
Ritirata strategica o contrattacco? Questo è uno dei dilemmi, forse il dilemma, della chiesa alle prese con un mondo sempre più radicalmente lontano dall’antropologia cristiana e dalle sue conseguenze sociali e culturali. Il disfacimento della famiglia tradizionale, che poi fuori dalla neolingua del politicamente corretto sarebbe la famiglia naturale o la famiglia e basta, è testimonianza sintetica del trend. Di fronte allo spettacolo del dispiegamento della modernità i cattolici hanno almeno due strade possibili: concedere la vittoria e ritirarsi in buon ordine, magari in riserve protette, oppure riconoscere la propria posizione minoritaria ma senza abbandonare il dibattito pubblico.
La scorsa estate l’intellettuale cattolico Joseph Bottum sulla rivista americana Commonweal ha scritto il manifesto della prima opzione, argomentando in favore del matrimonio omosessuale. Non che invocasse sconvolgimenti di dottrina. Semplicemente riconosceva che la battaglia cattolica per definire il matrimonio è persa, invitando alla radicale separazione fra unione sacramentale e civile così da poter abbracciare l’uno e riconoscere l’altro senza tema di contraddizione. La chiesa auspicata da Bottum è programmaticamente irrilevante nella cultura odierna, per rigenerarsi può tutt’al più investire molto nelle opere di carità, occuparsi della nuova evangelizzazione in Asia e lavorare sulla liturgia.
Ora Ross Douthat, columnist del New York Times, ha risposto a Bottum con il manifesto dell’“engagement” cattolico, basato su un argomento: la chiesa che accetta l’irrilevanza culturale non è chiesa. La sua pretesa di fare affermazioni universali si declassa a una fra le tante opinioni mondane. Non c’è cattolico conservatore che più di Douthat senta l’esigenza di costruire un nuovo linguaggio e nuovi argomenti dopo le “caricature della culture war”, ma abbandonare il dibattito è un segno di “disperazione culturale”, malignamente suscitata dal sospetto che “la Provvidenza ci abbia messo di fronte a questioni troppo difficili da affrontare”. Per evitarle basta separare radicalmente la sfera civile da quella religiosa, ammettere che la seconda non ha nulla da dire sulla prima e andare a occuparsi dei cristiani in Asia.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
Ti vergogni del Vangelo? Osservazioni di Robert P. George
Robert P. George è professore di diritto e di politica alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Princeton. È
stato membro del Consiglio di Bioetica Presidenziale, consulente della
Corte Suprema Federale degli Stati Uniti, designato dal Presidente degli
Stati Uniti per la Commissione sui Diritti Civili degli Stati Uniti.
Tra le sue numerose pubblicazioni: In defense of natural law, 1999; The clash of orthodoxies, 2001; Natural law, liberalism and morality, 2001; Embryo: a defense of human life, 2008; What is marriage? Man and woman: a defense, 2012; Conscience and its enemies: confronting the dogmas of liberal secularism, 2013.
National Catholic Prayer Breakfast
13 Maggio 2014
I giorni della cristianità socialmente accettabile sono finiti. I giorni del cattolicesimo comodo sono un passato. Non è più facile essere un credente cristiano, un buon cattolico, un autentico testimone delle verità del Vangelo. È
richiesto un prezzo e deve essere pagato. Ci sono costi di discepolato,
costi pesanti, costi che sono onerosi e dolorosi da sopportare.
Naturalmente uno può ancora identificare se stesso stando al sicuro come “cattolico” e può persino essere visto andare a Messa. Questo perché
i guardiani di quelle norme di ortodossia culturale che siamo giunti a
chiamare “correttezza politica” non assumono che identificarsi come
“cattolici”, o andare a Messa necessariamente significhi che uno
veramente creda quello che la Chiesa insegna su argomenti come il
matrimonio, la morale sessuale e la santità della vita umana. E se uno nei fatti non crede ciò che la Chiesa insegna, o, almeno per ora, se uno ci crede, ma è pronto ad essere completamente silente su di essi, quello è al sicuro, può
ancora essere un cattolico comodo. In altre parole, un cattolico
docile, un cattolico che si vergogna del Vangelo, o che intende agire
pubblicamente come se si vergognasse, è ancora socialmente accettabile. Ma un cattolico che rende chiaro che non si vergogna è su una strada aspra, deve essere preparato a prendersi dei rischi e fare dei sacrifici. Gesù
ha detto: ” Se qualcuno vuole essere mio discepolo, prenda la sua croce
e mi segua”. Noi cattolici americani, divenuti comodi, abbiamo
dimenticato, o abbiamo dimenticato questa verità evangelica perenne. Ora non ci sarà nessuno che la ignora. La domanda che oggi ciascuno di noi deve affrontare è questa: mi vergogno del Vangelo? E questa domanda ne apre altre: sono pronto a pagare il prezzo che sarà richiesto se mi rifiuto di vergognarmi? Se, in altre parole, sono pronto a dare pubblica testimonianza alle verità sommamente scorrette del Vangelo, verità che mandarini di un’élite
culturale ha plasmato attraverso i dogmi dell’espressivo individualismo
e che il liberalismo della generazione dell’io non desidera ascoltare?
Oppure, messo in maniera più semplice, voglio, oppure alla fine non voglio prendere su di me la croce e seguire Cristo?
Forze e correnti potenti ci spingono nella nostra società a vergognarci del Vangelo, a vergognarci del bene, degli insegnamenti della nostra fede sulla santità
della vita umana in ogni stadio e condizione, a vergognarci degli
insegnamenti della nostra fede del matrimonio come unione coniugale del
marito e della moglie. Queste forze insistono che gli insegnamenti della
Chiesa sono sorpassati, retrogradi, insensibili, privi di compassione,
illiberali, bigotti, persino pieni d’odio. Queste correnti mettono
pressione su tutti noi, e sui giovani cattolici in particolare, affinché cedano a questa insistenza. Ci minacciano di conseguenze se rifiutiamo di chiamare male ciò che è bene e bene ciò che è male. Ci comandano di conformare il nostro pensiero alla loro ortodossia, oppure di non dire nulla.
Credi, come lo credo io che ogni membro della famiglia umana, indipendentemente dall’età, la dimensione, lo stadio di sviluppo, la condizione di dipendenza, sia portatore di una dignità
innata e un pari diritto alla vita? Ritieni che il prezioso bambino nel
ventre, come creatura fatta a totale immagine e somiglianza di Dio,
meriti rispetto e protezione? Allora persone e istituzioni potenti
dicono che sei un misogino, uno che odia le donne, uno che minaccia la
privacy delle persone, un nemico della “libertà riproduttiva” delle donne. Dovresti vergognarti!
Credi, come io credo, che
il cuore della funzione sociale del matrimonio sia unire un uomo e una
donna come marito e moglie per essere madre e padre di bambini nati
dalla loro unione? Ritieni, come io ritengo, che le norme che danno
forma al matrimonio come una società
veramente coniugale siano basate sulla sua natura procreativa, la sua
attitudine singolare per il progetto di allevare i figli? Intendi il
matrimonio come il legame che in modo unico e comprensivo (comprensivo
nel senso di unire gli sposi in modo corporeo e non soltanto a livello
di cuori e menti) è
orientato e naturalmente sarebbe adempiuto dal loro concepire e
crescere insieme i figli? Allora queste stesse forze dicono che sei un
omofobo, un bigotto, qualcuno che non crede nell’uguaglianza.
Rappresenti persino una minaccia per la sicurezza della gente. Dovresti
vergognarti!
Ma naturalmente ciò che credi, se credi queste cose, è una parte cruciale del Vangelo. Credi nella verità, nella sua pienezza, della dignità della persona umana, della natura del matrimonio e della moralità sessuale così come proclamata dalla Chiesa, la nostra sola fonte certa per capire il messaggio del Vangelo. Così
quando sei invitato a prendere le distanze da questi insegnamenti, o a
passarli sotto silenzio, quando sei minacciato d’infamia o della perdita
di opportunità
professionale o della posizione sociale, se non lo fai, sei spinto a
vergognarti del Vangelo, il che significa rinnegare la fede nella
signoria di Cristo e nella speranza del trionfo del bene, della
giustizia, dell’amore in Lui e attraverso Lui.
Il cardinal O’Malley, l’altro relatore, insieme a R. P. George al National Catholic Prayer Breakfast 2014
Essere oggi un testimone del Vangelo significa rendere se stessi un uomo o una donna marchiati. È esporre se stessi al disprezzo e alla riprovazione. Proclamare il Vangelo senza vergogna nella sua integralità è mettere a rischio la propria sicurezza, le proprie aspirazioni, le ambizioni, la pace e la tranquillità di cui si gode, il proprio posto nella buona società. Come conseguenza della propria testimonianza pubblica si può essere discriminati e rigettati nelle opportunità accademiche e nelle prestigiose credenziali che possono offrire; si possono perdere preziose opportunità di lavoro e di avanzamento professionale; si può essere esclusi dal riconoscimento mondano e da onori di vario tipo; la testimonianza può persino costare un’amicizia cara. Può produrre discordia in famiglia e persino l’alienazione da parte dei membri della famiglia. Sì, ci sono costi per essere discepoli, costi pesanti.
C’è stato un tempo, non molto tempo fa, in cui le cose erano del tutto differenti. Certamente ci sono sempre state correnti anti-cattoliche in settori della società americana. E certe volte in talune circostanze e luoghi si è pagato un prezzo per essere cattolici. Ma col progresso della Nazione l’anti-cattolicesimo in molti settori si dissipò e si è potuto essere veri e fedeli cattolici senza soffrire in modo significativo in termini di opportunità perse o di ruolo nella comunità. Le convinzioni bibliche e di legge naturale riguardo la moralità erano culturalmente normative; non erano sfide alle norme culturali. Ma quei giorni sono andati. Ciò che una volta era normativo oggi è considerato eretico, l’equivalente morale e culturale del tradimento. E così siamo a questo punto. Vedete, per noi e per in nostri amici evangelici, è il Venerdì Santo. Il ricordo dell’entrata trionfale di Gesù è sbiadito. Sì,
era stato salutato, e non tanto tempo fa, da una folla di persone che
agitava rami di palma e gridava “Osanna al figlio di David”. Entrò
nella Gerusalemme d’Europa e nella Gerusalemme delle Americhe e fu
proclamato Signore e Re. Ma ora tutto questo appartiene al passato. È giunto il Venerdì. La storia d’amore con Gesù, il suo Vangelo e la sua Chiesa è finita. Settori elitari della cultura d’Europa e del Nord America non danno più il benvenuto al suo messaggio “se ne vada”, gridano, “dateci Barabba”.
Pertanto non è per noi possibile evitare la domanda: Mi vergogno del Vangelo? Non sono disposto a stare con Cristo nel proclamare le Sue verità? Oh, le cose erano facili la Domenica delle Palme. Stare con Gesù e con le Sue verità era la cosa da fare. Tutti gridavano “Osanna!”. Ma ora è il Venerdì e i giorni dell’accettabilità del cristianesimo sono finiti. I giorni del cattolicesimo comodo sono passati. Gesù è davanti a Pilato. Le folle stanno gridando “Crocifiggilo.” Il Signore viene ora condotto al Calvario. Gesù è inchiodato alla croce.
E noi dove siamo?
Dove siete voi ed io? Siamo spaventati di essere riconosciuti come suoi
discepoli? Ci vergogniamo del Vangelo? Raccoglieremo la forza, il
coraggio, la fede per essere come Maria, la madre di Gesù, e come Giovanni, l’apostolo che Gesù
amava, e rimanere fedelmente ai piedi della croce? Oppure, come tutti
gli altri discepoli, fuggiremo terrorizzati? Temendo di mettere a
rischio il benessere che abbiamo accumulato, gli affari che abbiamo
costruito, la posizione professionale e sociale che abbiamo guadagnato,
la sicurezza e la tranquillità di cui godiamo, le opportunità
di avanzamento mondano che curiamo, i collegamenti che abbiamo
coltivato, le relazioni di cui facciamo tesoro, saremo silenziosamente
acquiescenti alla distruzione di vite umane innocenti o alla demolizione
del matrimonio? Cercheremo di “adattarci” per essere accettati, per
vivere comodamente nella nuova Babilonia? Se è così il nostro silenzio parlerà. Le sue parole saranno le parole di Pietro mentre si scaldava al fuoco: “Gesù il Nazareno? Ti dico non conosco quell’uomo”.
Forse dovrei rendere esplicito ciò che indubbiamente avete percepito come implicito nelle mie osservazioni. Il messaggio di salvezza del Vangelo di Gesù Cristo include, integralmente gli insegnamenti della Sua Chiesa della profonda e innata dignità della persona umana e della natura del matrimonio come legame coniugale, un’unione in una carne.
La domanda di fede e di fedeltà che ci viene posta oggi non è nella forma in cui fu posta a Pietro (“Sicuramente sei tu uno dei discepoli di quest’uomo”), è piuttosto, stai dalla parte della santità della vita umana e della dignità del matrimonio come unione di un uomo e di una donna? Questi insegnamenti non sono l’intero Vangelo (la cristianità richiede molto di più della loro affermazione. Ma essi sono parte integrante del Vangelo), non sono opzionali, né superflui. Essere un autentico testimone del Vangelo significa proclamare queste verità agli altri. Il Vangelo è, come disse Giovanni Paolo II il grande, un Vangelo di Vita. Ed è
anche un Vangelo della vita della famiglia. E sono queste dimensioni
integrali del Vangelo che potenti forze e correnti culturali ci
richiedono di rinnegare o sopprimere.
Queste forze ci dicono che la sconfitta della causa della vita umana e del matrimonio è inevitabile.
Ci ammoniscono che siamo “dalla parte sbagliata della storia”.
Insistono che saremo giudicati dalle generazioni future allo stesso modo
in cui noi oggi giudichiamo coloro che difendevano l’ingiustizia
razziale nel sud del Jim Crow (leggi segregazioniste emanate negli Stati
del Sud dopo la fine della guerra civile americana. Nota del tr.). Ma
la storia non ha versanti. È
una sequenza di eventi impersonale e contingente, eventi che sono
determinati in modo decisivo dalla deliberazione, dal giudizio, dalla
scelta e dall’agire dell’uomo. Il futuro del matrimonio e di un numero
incalcolabile di vite umane potrà essere e sarà determinato dai nostri giudizi e dalle nostre scelte, dalla nostra volontà o dal nostro rifiuto di sopportare la testimonianza fedele, dai nostri atti di coraggio o di codardia. Non è la storia, né
lo sono le future generazioni, un giudice investito di poteri divini
per decidere, tanto meno per dettare, chi aveva ragione e chi aveva
torto. L’idea di un “giudizio della storia” è un vano, insensato, disperato, patetico tentativo del secolarismo per ideare un sostituto di ciò che le grandi tradizioni di fede abramitiche conoscono come giudizio finale di Dio Onnipotente. La storia non è Dio. Dio è Dio. La storia non è il nostro giudice. Dio è il nostro giudice.
Un giorno renderemo conto di tutto ciò che abbiamo fatto e che abbiamo mancato di fare.
Nessuno presuma che faremo questo rendiconto a qualche impersonale
sequenza di eventi detentrice di un potere di giudizio non più grande di quello di un vitello d’oro o di un palo di totem dipinto. È davanti a Dio, il Dio di verità, il Signore della storia, che noi ci presenteremo. E tremanti alla sua presenza sarà
inutile per ciascuno di noi affermare che abbiamo fatto tutto quanto in
nostro potere per metterci sul “lato giusto della storia”.
Una cosa sola conterà: “Sono stato un testimone fedele del Vangelo? Ho fatto tutto quanto era in mio potere per mettermi dalla parte della verità?”. Quello di cui solo il Figlio Unigenito ci dice che egli, ed egli solo è “la via, la verità e la vita” vorrà sapere da ciascuno di noi se abbiamo cercato la verità con un cuore puro e sincero, se abbiamo cercato di vivere secondo verità in modo autentico e con integrità e, lasciatemelo dire col massimo della chiarezza, se ci siamo levati in difesa della verità,
parlando a voce alta ed in pubblico, sopportando i costi di essere
discepoli inevitabilmente imposti ai testimoni fedeli della verità dalle culture che voltano le spalle a Dio e alla sua legge. O ci siamo vergognati del Vangelo?
Il Vangelo è vero. L’intero Vangelo è vero. I suoi insegnamenti sulla vita e il matrimonio sono veri. Persino i suoi detti più duri come l’insegnamento chiaro di Cristo circa l’indissolubilità di ciò che Dio ha unito e la natura adulterina di ogni relazione fuori da quel vincolo. Se neghiamo le verità
del Vangelo siamo davvero come Pietro che dichiara “Non conosco
quell’uomo”. Se rimaniamo in silenzio su di esse davvero siamo come gli
altri apostoli che fuggono spaventati. Ma quando proclamiamo le verità del Vangelo davvero siamo ai piedi della croce con Maria, la madre di Gesù, e Giovanni, il discepolo che Gesù amava. Noi mostriamo con la nostra fedeltà che non ci vergogniamo del Vangelo. Proviamo che siamo veri discepoli di Gesù, disposti a prendere la croce e seguirlo, anche sul Calvario. E con la nostra fedeltà portiamo testimonianza alla verità più grande di tutte, quella che la storia non finisce al Golgota. Il male e la morte non trionfano. Sì, è Venerdì
Santo, ma colui che diventa come noi in tutto tranne che nel peccato
conquista la morte per redimerci dalle nostre trasgressioni e darci un
premio pieno nella vita eterna, la vita divina della Santissima Trinità. La croce non può sconfiggerlo. Il sepolcro non può trattenerlo. Il Suo Padre Celeste non Lo abbandonerà. Il Salmo che inizia nella disperazione, Eloi, Eloi lama sabachtani, termina nella speranza e nella gioia. La Pasqua sta arrivando, il Cristo crocifisso sarà risuscitato dai morti. Le catene del peccato saranno spezzate. “Oh morte, dov’è la tua vittoria? Oh morte, dov’è
il tuo pungiglione?”. Sono cresciuto come un cattolico in mezzo ad una
cultura protestante. I protestanti della mia infanzia erano quello che
oggi chiamiamo evangelici. In quei giorni le differenze religiose tra
noi sembravano vaste, benché oggi i legami personali e spirituali che abbiamo formato nel portare comune testimonianza al matrimonio e alla santità
della vita umana hanno reso relative, sebbene non hanno eliminato, tali
differenze. Noi ora sappiamo che gli evangelici sono veramente i nostri
fratelli e sorelle in Cristo, separati da noi in alcuni modi, per
essere certi, ma non di meno legati a noi in amicizia spirituale.
Crescendo, ho ammirato la forza della loro fede e la loro determinazione
a professarla apertamente. E ho amato i loro inni. Uno dei più familiari contiene un messaggio vitale per noi cattolici oggi. Riconoscerete il primo verso.
Su una collina lontana sorgeva una vecchia rozza croce,
L’emblema della sofferenza e della vergogna;
Adoro quella vecchia croce, dove il più caro e migliore,
È stato ucciso per un mondo di peccatori perduti.
È il coro prosegue:
Amerò la vecchia rozza croce, fino a quando finalmente poserò i miei trofei.
Mi aggrapperò alla vecchia rozza croce, e la scambierò un giorno con una corona.
Sì, questa è la storia. Cristo deve patire le sofferenze del Venerdì
Santo per adempiere alla Sua missione salvifica. Ma la Pasqua sta
arrivando. E noi, che amiamo la Sua croce, e vogliamo portare la sua
sofferenza e la sua vergogna, condivideremo la Sua gloriosa
resurrezione. Noi che ci aggrappiamo a quella vecchia rozza croce la
scambieremo un giorno per una corona.
E
poi arriva il verso successivo, e in che modo perfetto cattura
l’atteggiamento che dobbiamo adottare, la linea che dobbiamo tenere, la
testimonianza che dobbiamo dare in questi tempi di prova se stiamo per
essere veri discepoli di Gesù.
Per la rozza vecchia croce, sarò sempre vero
Porto volentieri la sua vergogna e disonore
Finché non mi chiama un giorno,
Alla mia casa lontano,
Dove per sempre condividerò la sua gloria.
Sì.
E amerò quella vecchia rozza croce
Fino a quando finalmente poserò i miei trofei.
Mi aggrapperò alla vecchia rozza croce,
E un giorno la scambierò con una corona.
Sì, per noi cattolici e per tutti coloro che cercano di essere fedeli è il Venerdì Santo. Non siamo più accettabili. Non possiamo più essere comodi. Per noi è un tempo di prova, un tempo per saggiarci mediante le avversità. Ma per non fallire la prova, come forse molti faranno, ricordiamo che la Pasqua sta arrivando. Gesù sbaraglierà il peccato e la morte. Proveremo la paura, proprio come gli apostoli, è inevitabile. Come Gesù stesso nel Getsemani, preferiremmo non bere questo calice. Vorremmo assai di più
essere cristiani accettabili, cattolici comodi. Ma la nostra fiducia in
lui, la nostra speranza nella sua resurrezione, la nostra fede nella
sovranità del suo Padre Celeste, possono sconfiggere la paura. Con la Grazia di Dio Onnipotente, la Pasqua è davvero in arrivo.
Non vergognatevi del Vangelo. Non vergognatevi mai del Vangelo.
Ringrazio il professor George per avere concesso di potere pubblicare la traduzione in lingua italiana del suo discorso.
Renzo Puccetti
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