ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 9 luglio 2014

C'è un Monsignore in Vaticano ( o più d'uno?)

Canonizzazioni infallibili?


Fedeli in San Pietro
(©Ansa)
(©ANSA) FEDELI IN SAN PIETRO

La tesi di monsignor Giuseppe Sciacca, segretario aggiunto della Segnatura Apostolica: «Proclamare i santi è tipica espressione del primato pontificio, ma non rientra nell'infallibilità così come è stata definita dal Concilio Vaticano I»

Quando il Papa proclama un nuovo santo, estendendone il culto a tutta la Chiesa, è infallibile? Molti teologi - la maggioranza - ritengono di sì, e questo viene comunemente detto e insegnato. Abbiamo interpellato su questo il vescovo Giuseppe Sciacca, noto canonista e segretario aggiunto del tribunale della Segnatura Apostolica.

Il Papa è infallibile quando proclama un nuovo santo?

«Secondo la dottrina comune e prevalente, il Papa quando procede con una canonizzazione è infallibile. Com'è noto, la canonizzazione è la sentenza con la quale il Pontefice dichiara solennemente che un beato gode della gloria del cielo e ne estende il culto alla Chiesa universale, in maniera precettiva e definitiva. Non si discute dunque che la canonizzazione sia espressione del primato petrino. Al tempo stesso però non dovrebbe considerarsi infallibile secondo i criteri per l'infallibilità che troviamo definiti nella costituzione dogmatica "Pastor aeternus" del concilio Vaticano I».

 Ciò significa secondo lei che il Papa può sbagliare quando proclama un santo?

«Non ho detto questo. Non intendo infatti negare che la sentenza emessa nelle cause di canonizzazione abbia un carattere definitivo, e dunque sarebbe temerario, anzi empio, affermare che il Papa possa errare. Dico però che la proclamazione della santità di una persona non è una verità di fede, perché non appartiene al novero delle definizioni dogmatiche e non ha come oggetto diretto o esplicito una verità di fede o di morale, contenuta nella rivelazione, ma solo un fatto indirettamente collegato. Non a caso, né il Codice di diritto canonico del 1917, né quello attualmente vigente, né il Catechismo della Chiesa cattolica espongono la dottrina della Chiesa sulle canonizzazioni».

Monsignore, bisogna però riconoscere che la maggioranza dei sostenitori dell'infallibilità ha un alleato non di poco conto, san Tommaso...

«Certo, lo so bene. Tommaso d'Acquino è l'autore più prestigioso a sostegno di quella tesi. Però va detto che l'utilizzo del linguaggio e del concetto di infallibilità in epoche così lontane dal XIX secolo, cioè dal concilio Vaticano I, corre il rischio dell'anacronismo. San Tommaso collocava la canonizzazione a metà strada tra le cose che attengono alla fede e i giudizi su fatti particolari che possono essere inquinati da false testimonianze, pur concludendo che la Chiesa non poteva sbagliarsi: sosteneva infatti che "è pio credere che il giudizio sia infallibile". Ho detto e ripeto che la "Pastor aeternus" definisce rigorosamente e restringe il concetto di infallibilità pontificia che, anteriormente, poteva assorbire e contenere o essere assimilato a quello di "inerranza" o "indefettibilità" della Chiesa. La canonizzazione è come una dottrina alla quale non è lecito opporsi, ma che non si definisce di fede in quanto deve essere necessariamente creduta da tutti i fedeli».

E come la mettiamo con le parole di Papa Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini, che nel suo «De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizazione» afferma che «sa di eretico» la tesi circa la non infallibilità?

«È una tesi non vincolante, in quanto ascrivibile alla sua opera di grande canonista, ma pur sempre privato dottore. Non c'entra con il suo magistero pontificio».

Però anche in una nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede del maggio 1998 si fa riferimento all'infallibilità nelle canonizzazioni.

«Si tratta di un passaggio palesemente esemplificativo, e non definitorio in merito ai contenuti. L'argomento ricorrente secondo cui la Chiesa non può insegnare o favorire l'errore è intrinsecamente debole in questo caso. Ma dire che un atto non è infallibile non significa affermare che sia un atto sbagliato o che necessariamente inganni. Di fatto l'errore potrebbe essere stato rarissimo o non essere mai avvenuto. La canonizzazione, che tutti ammettono non derivare immediatamente dalla fede, non è mai una vera e propria definizione in materia di fede o di costume...».

Ci sono elementi storici che fondano la sua posizione?

«Mi sembra rivelatrice dell'autocoscienza quantomeno problematica che i Papi avevano dell'infallibilità nelle canonizzazioni la formula della cosiddetta "protestatio" in vigore fino al pontificato di Leone X. I Pontefici, immediatamente prima di procedere all'atto della canonizzazione, affermavano solennemente e pubblicamente di non voler fare qualcosa che fosse contro la fede, o la Chiesa cattolica o l'onore di Dio. Come pure si possono citare le brevi orazioni che monsignor Antonio Bacci, poi cardinale, grande cultore dello "stylus Curiae" pronunciava a nome del Papa durante i riti di canonizzazione in San Pietro, dopo la perorazione dell'avvocato concistoriale, con espressioni che non militano certo per la tesi infallibilista, quali ad esempio "inerrans oraculum" (inerrante, non infallibile oracolo), "immutabile sententiam" (immutabile, non infallibile sentenza), "expectatissimam sententiam" (attesissima, non infallibile sentenza). Ancora, uno storico come Heinrich Hoffmann ammette che un'obiezione circa l'infallibilità potrebbe provenire - all'interno dell'allora rito di canonizzazione in vigore fino alla riforma di Paolo VI - dal fatto che immediatamente prima della solenne dichiarazione, i Pontefici manifestassero una qualche esitazione, "mentem vacillantem", invocando "specialem Sancti Spiritus assistentiam" (una speciale assistenza dello Spirito Santo».

Scusi, ma allora che cos'è la canonizzazione?

«È la chiusura definitiva e irreformabile di un processo, è la sentenza finale di un iter processuale storico e canonico, che riguarda sempre una questione di fatto, storica. Inglobarla nell'infallibilità significa estendere l'infallibilità stessa ben al di là dei confini definiti dal concilio Vaticano I».

Eppure al momento della proclamazione oggi il Papa dice «decernimus e definimus», cioè «decretiamo e definiamo». Insomma, suona come una «definizione»...

«È per questo che il sottoscritto condivide la tesi di alcuni autorevoli canonisti che suggeriscono di evitare la formula utilizzata per la definizione delle verità di fede proponendo la più corretta formula: "declaramus", cioè "dichiariamo". E, in effetti, come scrive un teologo "classico" della scuola romana del secolo scorso, quale monsignor Antonio Piolanti, tra le condizioni individuanti l'infallibilità, si esige che il Pontefice esplicitamente manifesti, in qualche modo - come avvenne nel 1854 per la definizione del dogma dell'Immacolata Concezione e ancora nel 1950 per quello dell'Assunzione - nello stylus della formula, oltre che nel circostante contesto, l'intenzione di proporre a tutta la Chiesa, come dogmatica, qualche verità contenuta nel deposito della rivelazione».

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO


«Io giustifico il parroco di Oppido. Non siamo poliziotti, salviamo anime»

Padre Frittitta
PADRE FRITTITTA

Intervista a p. Mario Frittitta, guida del convento dei Carmelitani scalzi alla Kalsa di Palermo

GIACOMO GALEAZZICITTÀ DEL VATICANO

«Non ci penso neppure a cancellare la processione della Madonna del Carmine. Sono vicino al mio confratello parroco di Oppido Mamertina. Lo capisco benissimo e sono solidale con lui». Padre Mario Frittitta, guida carismatica del Convento dei carmelitani scalzi alla Kalsa di Palermo, ha la sua filosofia che non è stata modificata dall’esperienza dell’arresto e della detenzione all’Ucciardone tre lustri fa per avere detto messa in un covo mafioso e per  aver confessato in latitanza Pietro Aglieri, uno dei boss più sanguinari di Cosa Nostra. Dopo una condanna in primo grado, è stato assolto in appello e in Cassazione. E adesso, nel cuore del capoluogo siciliano, riunisce per cerimonie e processioni migliaia di fedeli.

I vescovi vogliono fermare le processioni. Lei come si regolerà?«Qui è tutto pronto e non cambiamo programma. La festa della Madonna del Carmine la celebriamo mercoledì 16 luglio e domenica 20 facciamo la processione: come sempre parteciperà tutto il quartiere. Il Papa può scomunicare ma se c’è da salvare un’anima e mi vengono a cercare io non mi tiro indietro. La gente mi vuole bene, mi circonda di affetti e non lascia che mi venga neppure un mal di testa».

Avrebbe fatto l’inchino al boss come è accaduto in Calabria?
«Se la guidavo io non si sarebbero mai permessi. Avrei fatto una vucciria, li avrei fatti camminare e, se non avessero obbedito, avrei sciolto subito la processione. Però mai e poi mai bisogna giudicare il parroco che a Oppido Mamertina si è trovato in questa condizione. Prima di parlare si deve sapere cosa significa fare il prete in certe situazioni, si deve conoscere sul posto l’atmosfera che c’è tra i fedeli».
E le infiltrazioni mafiose?
«Io faccio il sacerdote. Non siamo poliziotti né magistrati, le informazioni che abbiamo per valutare la gente sono quelle che vediamo con i nostri occhi alla messa e nella comunità. Vita quotidiana, conoscenza giorno dopo giorno».
 
Basta frequentare la parrocchia?
«Quali altri strumenti ho per tenere lontane le persone che possono creare problemi? Ci basiamo sulla fede, sulla partecipazione alla vita religiosa. Per la processione chiediamo tutti i permessi alla Curia e alla polizia. E’ una manifestazione di devozione popolare, non un appuntamento civile. Qui da noi le messe sono sempre affollatissime. La devozione è grandissima».

Si è pentito di aver frequentato il capoclan Aglieri?«Rifarei tutto. Lo insegna Gesù: “Sono venuto per i malati, non per i sani”. La mia missione è salvare chi è perduto. Aglieri era perduto e si doveva salvare. Ho seguito il Vangelo, sono andato in cerca della pecorella smarrita. Aglieri e i suoi amici avevano centinaia di libri, da Teresa d’Avila a San Giovanni della Croce, pregavano tutti i giorni, facevano il digiuno due volte alla settimana. E’ da poco venuto a trovarmi uno dei ragazzi coinvolti in quella vicenda giudiziaria. E’ uscito dal carcere e mi ha portato il diploma che ha preso a pieni voti in scienze religiose. Si è risolto tutto per il bene della Chiesa e del Signore anche se il cardinale che c’era prima a Palermo non comprese la situazione. Anche nei momenti più difficili mi sono sempre rimasti accanto i fratelli carmelitani».

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