ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 1 luglio 2014

Pastorale alberghiera

Si taglia l’albero della Fede per impiantare la nuova  “pastorale alberghiera”?   

Riflessioni sui frutti  degli “Anni di Piombo Ecclesiali” e della “Teologia della morte di Dio”

di p. Ariel S. Levi di Gualdo
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zzexcnvt2Sempre più tremende suonano nella mia mente le parole: «Quando il figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» [Lc 18, 8].
Uscendo dal confessionale di una chiesa parrocchiale dove mi trovavo ad amministrare il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, fui raggiunto dalla voce di un giovane confratello che stava facendo l’omelia al Vangelo. E parlando di tutto fuorché del Vangelo appena proclamato, tra pseudo storicismi e audaci sociologismi giunse infine a questo proclama: «Con la nuova Pentecoste nata col Concilio Vaticano II, che decise di rompere con la precedente Chiesa non più proponibile per la società moderna, le chiese ridotte a quattro vecchiette che durante un rito incomprensibile biascicavano il rosario, si riempirono di giovani».

E qui andrebbe ricordato, a certi giovani preti teologi o presunti tali, che grazie ai loro cattivi maestri hanno imparato a disprezzare la pietà dei semplici, in che modo una mente filosofica e teologica indubbiamente geniale come quella di San Tomaso d’Aquino, parla con sommo rispetto della “vetula” che vive il dono di grazia della fede e che merita la gloria più di tutti i teologi messi insieme. Ma soprattutto  occorre ricordare la tremenda frase di Gesù stesso: “Guardatevi dal disprezzare alcuno di questi piccoli, perché il loro angelo contempla in ogni istante il Volto di Dio” [ Mt 18, 10]
Udito ciò, potevo non attendere quel prete di 34 anni in sacrestia? Non per fargli una “lezione” di storia della Chiesa contemporanea, ma solo per riferirgli che cosa avevo visto e vissuto io, uomo nato nell’agosto del 1963, che tra il 1976 e il 1977 ero già un adolescente che stava crescendo nella difficile Italia degli Anni di Piombo?
Solo un ricordo tra i molti di quegli anni: i miei genitori, col mio fratello minore dimesso dalla clinica dopo un intervento chirurgico al cuore, riuscirono a stento ad uscire da Roma mentre le entrate e le uscite della Capitale venivano bloccate: le Brigate Rosse avevano appena rapito Aldo Moro e ucciso in un attentato gli agenti della sua scorta.
Il 2 agosto 1980, pochi giorni dopo che nella stazione di Bologna era stato portato a termine un grave attentato terroristico nel quale persero la vita 85 persone, tra cui donne e bambini, con altre 200 persone rimaste ferite anche gravemente, io mi preparavo a compiere il mio 17° compleanno.
Il 3 settembre 1982, a due settimane dal compimento del mio 19° compleanno, a Palermo veniva assassinato il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa …
Questa è stata la mia fanciullezza e la mia adolescenza: le bombe dei terroristi che scoppiavano in giro per l’Italia, mentre bombe piazzate da altri generi di “terroristi” — i figli dei Karl Rahner e delle stars della Nouvelle theologie — deflagravano dentro le chiese, i seminari, gli istituti di vita consacrata e le università pontificie, lasciando a terra altri generi di morti e producendo altri generi di macerie.
Verrebbe da parafrasare il ritornello di una canzone degli anni Settanta cantata da Antonello Venditti: «E bomba o non bomba, noi, arriveremo a Roma. Malgrado voi» [quiqui].
E ci sono arrivati, a Roma, malgrado noi, proprio come dice l’ultimo ritornello di questa canzone: «E bomba o non bomba, noi, siamo arrivati a Roma. Malgrado voi».
Cominciò così dentro quella sacrestia un lungo discorso con un prete mandato dal suo “pio vescovo”, durante tutti gli anni della formazione al sacerdozio svoltasi nel seminario diocesano, a fare i ritiri spirituali presso quella comunità di religione indefinita tal di fatto è la congrega di Bose [qui]; ed una volta divenuto prete, la Chiesa e il Popolo di Dio ne poterono raccogliere tutti gli abbondanti frutti, perché lo sappiamo bene: chi semina vento raccoglie tempesta.
Con buona pace di certi propagatori ironici della teoria delle “quattro vecchiette”, la realtà è però tutt’altra. Lo so perché l’ho vissuta, non l’ho appresa romanzata da chi oggi si diletta a cambiare il passato per alterare il presente e compromettere il futuro. Di quegli anni sono testimone e posso dire che le chiese sono ridotte,  oggi, a quattro vecchietti post sessantottini rimasti sempre attaccati, con l’artrite reumatoide e con la prostatite, al “vietato vietare” e alla “immaginazione al potere”; popolate talvolta dai pochi sparuti che negli anni Settanta, poco più che ventenni, presero a schitarrare durante le sacre liturgie in chiese ancora piene, dove la musica di una celebre marcetta dei gospel protestanti eseguiti dalle splendide voci nere d’America nella città di New Orleans — When the Saints go marching in anche conosciuta come The Saints — motivo che tutti ricordiamo eseguito a ritmo di jazz dalla indimenticabile voce di Louis Armstrong, divenne dalla sera alla mattina un canto liturgico. Come lo divennero alcune canzoni di Bob Dylan, di Francesco Guccini e dei Nomadi, per esempio: «Dio è morto», esaltazione nichilista della “teologia della morte di Dio” con la quale i fedeli erano accompagnati da guitti schitarranti a ricevere il Corpo di Cristo durante il rito della Comunione, mentre molti parroci si giustificavano dicendo: «Bisogna attirare i giovani!». Senza che però — i loro vescovi in testa — si ponessero un quesito: «Sì, ma a qual prezzo?». O meglio avrebbero dovuto chiedersi: val la pena distruggere la casa per tentare di attirarvi gente dentro?
Nessuno pretende che la celebre band italiana dei Nomadi, che ha diffuso canzoni inserite oggi nella storia della musica pop, scriva testi con rigore teologico; loro non c’entrano niente in tutto questo e possono scrivere e cantare ciò che vogliono, specie considerando quanto lo facciano bene da sempre. Però si sarebbe dovuto pretendere che i parroci, ma soprattutto i loro vescovi, proibissero l’uso liturgico di certe musiche e di certi testi profani dentro le chiese.
Dio è morto, testo dal sapore nietzschiano — Gott ist tot — [qui], pur parlando della risurrezione lo fa in modo omocentrico, non cristocentrico, tanto da ammettere che «Dio muore per tre giorni e poi risorge». Sì, ma come, dove e soprattutto in che cosa risorge?
Risorge «in ciò che noi crediamo», «in ciò che noi vogliamo», «nel mondo che faremo». Insomma: una versione omocentrica, o se preferiamo antropocentrica del mistero della risurrezione, incurante del fatto che Cristo è risorto a prescindere dalle svolte antropologiche ed esegetiche legate al «ciò che noi crediamo», al «ciò che noi vogliamo», al «mondo che faremo».
Nel 1972 avevo nove anni e nel mese di maggio ricevetti la Prima Comunione, manco a dirsi: dopo che dei terroristi avevano ucciso a Peteano, nei pressi di Gorizia, tre carabinieri, ferendone gravemente altri due.
Fanciullo che ero a inizi anni Settanta, ricordo nitidamente tutt’oggi le facce sbalordite all’uscita dalle chiese di uomini e donne adulte, non di vecchietti o di vecchiette decrepite, ma di quarantenni, o di cinquantenni come oggi lo sono io. Ricordo anche il mio parroco, al quale fu suonata a sua insaputa questa canzone dei Nomadi durante una Messa della domenica, che giunto in sacrestia, a noi piccoli chierichetti che in coro gli dicemmo «prosit», invece di rispondere con l’usuale «vobis quoque» si lasciò sfuggire di bocca una frase mormorata che solo molti anni dopo seppi che era stata pronunciata in modo diverso ma simile dal Cardinale Alfredo Ottaviani: «Forse io morirò cattolico, ma voi, bimbi miei, dubito che ci riuscirete».
La gran parte dei figli dei fiori schitarranti che bisognava attirare a tutti i costi negli anni Settanta a botte di novità e di esotici “aggiornamenti”, che non distinguevano il Cristo da Ernesto Guevara detto el Che, che fine hanno fatto?
In cosciente verità devo dire che gran parte dei membri del Che Guevara Fans Club che bisognava attirare a tutti i costi, che frequentavano i circolo di Lotta Continua durante la settimana e che poi schitarravano alle messe domenicali nelle parrocchie — tentando tra un accordo e l’altro di seminare idee bislacche tra noi adolescenti dell’oratorio di Azione Cattolica — distrutta la casa da dentro, dopo pochi giorni di baldoria sono usciti fuori ed oggi ridono di noi, mentre a uno a uno i calcinacci e le tegole dell’intero stabile ci cascano in testa una appresso all’altra a tempo di rock and pop, dopo che per molti secoli il gregoriano “funereo” ed il latinorum delle “vecchiette” aveva mantenuto integro l’intero stabile, che necessitava di una indubbia opera di attento rinnovamento, perché gli accidenti esterni, a partire da quelli liturgici, sono variabili; e nel corso della storia della Chiesa sono stati spesso variati, ed è opportuno che lo siano, senza però sovvertire la struttura interna ed esterna dell’intera casa, vale a dire la sostanza del dogma e del mistero della fede.
Il Messale di San Pio V, mai formalmente abolito [qui], nacque anch’esso da una “riforma liturgica” che desiderava dare anzitutto un rito unitario alla Chiesa e che più volte nel corso di cinque secoli fu rivisitato, l’ultima volta nel 1962. Alla sua promulgazione, quel messale, fu preso tutt’altro che bene da quanti rivendicavano all’epoca dei riti propri, famiglie monastiche e religiose in testa. Non pochi furono coloro che si ribellarono all’uso del nuovo messale. Così come da una riforma liturgica nacque il Messale di Paolo VI, che andrebbe rivisitato, epurato da errate traduzioni nelle lingue volgari e arricchito in alcune parti di antichi lemmi ai quali la Chiesa non dovrebbe rinunciare e che non possono andare perduti. Come non andrebbe perduta la lingua universale della Chiesa, il latino, caduto non solo in disuso — senza che alcuna riforma liturgica abbia mai sancita la sua abolizione —, ma non più conosciuto dalle nuove generazioni di preti, gran parte dei quali, oltre a non capirlo, non sono neppure in grado di leggerlo; e soprassediamo sui vescovi …
Questo dato di fatto allarmò a tal punto Benedetto XVI da indurlo a chiudere per l’ennesima volta la stalla dopo che i buoi erano ormai fuggiti da decenni: con una lettera apostolica in forma di motu proprio il Santo Padre istituì la Pontificia Accademia di Latinità, per la salvaguardia e per la diffusione della conoscenza del latino, che tutt’oggi è la lingua ufficiale della Chiesa [qui].
Nei seminari e nelle case di formazione alla vita religiosa sarebbe opportuno celebrare almeno una volta alla settimana in lingua latina, usare la lingua latina per le grandi solennità dell’anno liturgico e per alcuni pontificali del vescovo, facendo conoscere ai futuri sacerdoti anche la struttura ed il patrimonio di fede racchiuso nel Vetus Ordo Missae, perché un sacerdote dovrebbe essere in grado di celebrare in latino e in lingua volgare, col Messale di San Pio V e col Messale di Paolo VI.
È sbagliato sotto tutti i profili l’uso dell’inglese quando ad una celebrazione eucaristica sono presenti sacerdoti e laici di diversa lingua provenienti da paesi diversi. La Chiesa ha da sempre una lingua universale propria, sia dunque usato il latino in certe occasioni, lingua liturgica per antonomasia, non l’inglese, che è una lingua convenzionale internazionale, non una lingua liturgica universale. A tal proposito rimando ad un illuminante saggio breve che tratta con molta cura il problema della lingua della Chiesa da un punto di vista storico [qui].
Dopo la riforma liturgica del Vaticano II hanno preso vita molte prassi e consuetudini che nulla hanno a che fare né con la riforma né con l’ordinamento generale del messale romano. È indubbio che ciò sia sbagliato, ma anche in tal caso basterebbe conoscere la storia per sapere e per capire che esistono le riforme e le riforme delle riforme, o le correzioni apportate alle riforme, perché difficilmente le riforme riescono tutte bene al primo colpo. Come esistono da sempre coloro che in nome della pretesa autenticità cattolica si ribellano ai concili della Chiesa, sconfessandoli. Da molti di questi ribelli sono nati sempre dei gruppi che hanno creato chiesette scismatiche, aggredendo in vario modo il Romano Pontefice e tutti i Padri Conciliari con accuse di eresia e di apostasia.
Prendiamo solo il penultimo prima del Vaticano II: in seguito alle discipline dogmatiche sancite dal Concilio Vaticano I, non prese forse vita il cosiddetto scisma di Utrecht? [qui] E il Beato Pontefice Pio IX, non finì forse accusato di eresia e con lui tutti i Padri Conciliari di apostasia dalla fede cattolica, proprio come oggi certi sedevacantisti accusano tutti i pontefici succedutisi dal 1958 in poi?
Forse però, gli attuali sedevacantisti, non sanno che esistono sedevacantisti più vacantisti di loro, perché per i seguaci dello scisma di Utrecht, l’ultimo pontefice legittimo non è stato Pio XII ma Gregorio XVI, predecessore di Pio IX, morto nel lontano 1846.
Inserisco per inciso uno scambio avvenuto pochi giorni fa col mio confratello Antonio Livi, perché può essere di utile chiarimento. Così commentava l’insigne filosofo e teologo metafisico toscano durante quel nostro colloquio: «Bisognerebbe che certa gente leggesse il libro del Cardinale Giuseppe Siri che ho appena pubblicato, Dogma e liturgia[ndr qui]. Lì si può percepire come uno dei Padri del Concilio che fu tra i più attivi nell’elaborazione dei documenti non abbia voluto, col suo voto positivo e con le successive dichiarazioni a favore, avallare l’eresia o lo scisma. Nella sua diocesi egli ha applicato la liturgia riformata in piena obbedienza al Concilio e al Pontefice Paolo VI, usufruendo allo stesso tempo di tutto lo spazio di discrezionalità e di autonomia pastorale che le nome liturgiche gli concedevano. Questo è un fatto e da questo fatto, che mostra come l’interpretazione del tutto negativa sia sempre del tutto arbitraria, non si può e non si deve prescindere sia a rigore storico sia a rigore teologico».
Anche queste parole del padre della “filosofia del senso comune” [qui] meritano serena riflessione, come la meriterebbero i numeri, gli spazi pieni o gli spazi vuoti delle chiese che ci trasmettono qualche cosa di molto reale, con buona pace delle infelici battute sulle “quattro vecchiette” che sibilavano il rosario durante la messa celebrata col messale di San Pio V e che sicuramente, con un’Ave Maria recitata male in un latinaccio storpiato, sono volate quasi di certo redente in Paradiso, proprio come la vedova che gettò con fede dentro il tesoro del tempio gli unici spiccioli che aveva [Mc 12, 38-44]. Perché quest’altro genere di urlatori, che non provengono da una sparuta minoranza arrabbiata e ghettizzata in dimensioni di sedevacantismo fantacattolico, bensì da un esercito numeroso che procede all’occorrenza compatto, con mezzi pesanti ed armi sofisticate, che pare a volte avere instaurato nella Chiesa un vero e proprio “regime dei colonnelli”, a terra non lascia i residui di carta stagnola di petardi da bambini, ma vere e proprie scie di morti e di rovine: le vittime della stagione degli Anni di Piombo Ecclesiali …

Nella penombra di quella sacrestia, il giovane confratello che aveva appena predicata l’ermeneutica della totale rottura e schernite intere generazioni di povere “vecchiette cattoliche”, mi ascoltò con la supponenza di chi presta ascolto a chi di per sé ascolto non meriterebbe, al punto che terminato il discorso, anziché rispondermi mi disse: «Tutto qua?».
Replicai: «No, adesso che ci penso non è tutto qua, perché restano storicamente provati fatti non passibili di smentita che ti prego di andare a verificare, perché puoi trovarli in cataste di documenti fotografici e filmici che abbondano negli archivi diocesani, in quelli statali, nei filmati Luce e appresso nei documentari della Televisione Italiana degli anni Cinquanta e Sessanta.
Le folle oceaniche che accorrevano ai raduni promossi dal Pontefice Pio XII — sul quale per opera di certi terroristi degli Anni di Piombo Ecclesiali è stato calato un oblio corollato di leggende nere che mai reggeranno alle future prove della storia — erano dei cattolici che nell’Italia impoverita del dopoguerra accorrevano a Roma, spesso con sacrifici immani, animati e spinti da fede. E le piazze, come provano i filmati dell’epoca, erano più colme di quanto non lo siano quelle che oggi raccolgono turisti che non conoscono neppure le prime sei parole del Pater Noster ma che affluiscono curiosi a qualche “evento” del Pontefice da essi ridotto a papa superstar; ed accorrono con lo spirito mondano e profano col quale accorrerebbero a un concerto di Madonna, di Micael Jackson, di Lady Gaga …»
Analizziamo adesso i risultati evidenti partendo dalla stessa Roma e domandandoci in modo lucido e coerente: che ne è stato, meno di mezzo secolo dopo, di questi oratori parrocchiali e di tutte quelle strutture ecclesiastiche dove intere generazioni di giovani sono stati allevati e formati?
Basti girare per l’Urbe e appurare quanti stabili ecclesiastici sono stati ceduti a imprese commerciali. E proprio a tal proposito ho scritto di recente: «Nessuno si domanda però dove sbagliano i vescovi e i loro preti, né mi risulta che a certi simposi qualcuno abbia posto un quesito triste e pertinente: qual è il livello, quale la qualità dei vescovi, dei parroci e dei preti di oggi? Perché se molti locali di parrocchie metropolitane che sino a mezzo secolo fa erano oratori popolati di giovani, sono stati ceduti per lauti affitti a strutture alberghiere e ad eleganti negozi, od a palestre esclusive per femminucce coi seni siliconati e per maschietti insicuri con l’addominale chirur­gico sempiterno, ciò rivela in modo evidente che i vescovi e i preti dell’ultimo mezzo secolo non hanno fatto un buon lavoro. Quel che però è peggio è che impediscano ad altri loro confra­telli di svolgere lavori di evangelizzazione […]» [Cf. Prete disoccupato, cit. pag. 288 qui].
Vogliamo poi parlare di tutte quelle che erano le case di formazione alla vita religiosa, popolate sino alla fine degli anni Sessanta inizi anni Settanta di decine e decine di probandi, postulanti, novizi, chierici? E che dire delle enormi case generalizie romane di molte congregazioni con annesse case di formazione alla vita religiosa, diverse delle quali oggi ormai estinte? Che fine hanno fatto i loro stabili? Presto detto: quando alla fine cadde amaro e pratico il quesito che già da tempo richiedeva urgente soluzione, vale a dire cosa fare di tutti questi stabili ormai vuoti, considerate le sole spese per il loro mantenimento e per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, la conseguente risposta è stata che uno appresso all’altro sono stati mutati tutti in strutture alberghiere.
La risposta di quanti affermano che tutto questo non ha nulla da spartire con gli Anni di Piombo Ecclesiali perché il tutto dipenderebbe invece dal forte calo delle nascite, danno una risposta che non sta scientificamente in piedi e che mira a eludere il quesito vero, che è questo: inaugurando un giorno di baldoria, presi da rinnovamento febbrile, mentre correva la parola d’ordine «bisogna sperimentare», in che modo la devastante azione di certi teologi-terroristi ha gradualmente svuotato oratori, seminari, case di formazione alla vita religiosa? Perché tentare di attaccarsi al calo delle nascite è falso e fuorviante, non perché lo dico io, ma perché lo dicono i dati demografici Istat.
Già nel dopoguerra, a partire dal 1946, le natalità in Italia cominciarono a calare, ma lo svuotamento dei seminari e della case religiose, od il calo di afflusso alle chiese, non coincidono affatto tra di loro nello spazio storico di tempo. La crisi ecclesiale prende avvio negli anni Sessanta e culmina agli inizi degli anni Settanta, mentre il tasso di natalità pari allo zero sarà raggiunto quasi un ventennio dopo, per l’esattezza nel 1980 [vedere dati Istat qui].
Beninteso: sempre se i dati matematici non sono una mera opinione …
Il decadimento, in alcuni casi la vera e propria morte di molte espressioni di vita religiosa, i seminari semivuoti, i vecchi oratori parrocchiali destinati ad altri usi, gli stabili religiosi e le ex case di formazione al sacerdozio e alla vita religiosa mutati in alberghi secolari, non sono però solo un problema che tocca la Città di Roma.
Passiamo adesso a tutt’altro discorso, ad altri luoghi e situazioni: dagli inizi di novembre 2013 agli inizi del maggio 2014 sono stato per sei mesi ospite nell’Arcidiocesi di Siena presso una piccola parrocchia sperduta nelle campagne sotto San Gimignano, dove mi sono dedicato alla cura d’anime, alla predicazione, alla direzione spirituale ed ai libri che dovevo mandare in stampa nella collana teologica da me diretta, favorito da un ambiente ritirato dove fare anzitutto il prete, poi il direttore editoriale.
Quest’antica diocesi che dette i natali a Santa Caterina dottore della Chiesa e patrona d’Italia e d’Europa [qui], che vide folle oceaniche accorrere per udire nelle piazze la predicazione di San Bernardino [qui], giacché neppure le più grandi chiese erano in grado di contenere i fedeli,è solo una delle tante del Centro e del Nord Italia che negli ultimi decenni hanno soppresso e venduto numerose chiese di campagna con annesse canoniche divenute lussuose abitazioni private. Una diocesi in potenziale fase di alberghizzazione, con diverse vecchie strutture ecclesiastiche mutate in agriturismi; con i monasteri storici di quella stessa città che dette in passato alla Chiesa santi, confessori della fede, dottori e pontefici, ridotti a due vecchi frati acciaccati ed a tre vecchie monache lasciate lì “ad esaurimento”, perché una volta morti loro, molte comunità storiche finiranno chiuse per sempre dopo secoli, forse per essere mutate anch’esse in alberghi?
Dopo la chiusura dello storico convento dei Frati Minori Cappuccini [qui], per ritardare la chiusura del grande complesso francescano di San Bernardino all’Osservanza ci hanno messo due frati messicani [quiqui]. Presso l’enorme chiesa di San Domenico, fondata nel 1221, con convento annesso, nel 1975 c’era una comunità di 16 Frati Domenicani, che nel 1985 erano 8, che nel 2005 erano 4, che oggi sono rimasti 3, due italiani e un americano [quiqui].
All’eremo della Vita Eterna i Benedettini Vallombrosani sono rimasti in due, uno dei quali è l’esorcista diocesano, Padre Raffaele Talmelli [qui], uomo di grande fede e preghiera che oltre ad esercitare con gran dedizione e prudenza questo delicato ministero è anche un valente medico specializzato in psichiatria, ed all’occorrenza presta le sue preziose cure specialistiche a sacerdoti e vescovi con problemi mentali talora anche seri.
A San Gimignano, per non chiudere il loro storico convento, i Frati Agostiniani ci hanno messo un boliviano e un americano [qui]; ma solo per rendere la morte inevitabile più lenta, perché è probabile che tra non molti anni quel complesso — peraltro in quella ambìta zona turistica — potrebbe diventare un costoso resort a cinque stelle. Altrettanta sorte potrebbe toccare al grande complesso delle Monache Benedettine Vallombrosane, ridotte a quattro monache, una molto anziana, una anziana e due di mezza età, la cui foresteria già funziona come casa di accoglienza, o se vogliamo come struttura alberghiera [qui].
A Montalcino, se presso la storica Abbazia di Sant’Antimo [qui] non vi fossero sei operosi e dinamici Canonici Regolari Premostratensi, quattro dei quali sacerdoti, benamati da tutta la popolazione, ed il cui carisma non è certo quello di fare gli amministratori parrocchiali sotto amabile ricatto, un’intera zona pastorale che fino a pochi decenni fa era una diocesi col proprio vescovo ed il proprio clero, oggi sarebbe completamente scoperta di cure pastorali [Diocesi di Montalcino, vedere pag. 218 qui].
Di diverso c’è che questa volta, sugli ex stabili religiosi che potrebbero finire mutati in strutture alberghiere, non sarà più affissa l’usuale targa a “babbo Monte”: «Lavori realizzati col patrocinio della Fondazione Monte dei Paschi di Siena», a ben considerare che questa banca ha avuto i problemi che ha avuto grazie anche all’acume di quattro ragionieri di provincia che pensavano di poter trattare l’alta finanza con spirito da contradaioli provinciali, per i quali il mondo sembra a volte nascere in contrada e finire nella Piazza del Campo col Palio, anziché finire in Piazza Affari a Milano e creare enormi problemi. Beninteso: non lo dico con l’ironia del maremmano ma solo basandomi sui tristi dati di fatto [quiquiquiquiqui…].
Dopo quasi ottocento anni chiude in questi giorni a Siena lo storico monastero della Monache Clarisse. Ma c’è di peggio:da anni, il seminario arcivescovile, sta andando avanti in stato di agonia. Due soli sono attualmente i seminaristi dell’arcidiocesi, in una struttura che con tale numero non potrebbe stare aperta neppure in regime clinico di terapia intensiva, se non vi fossero un pugno di seminaristi inviati dai vescovi suffragranei della metropolia senese: Grosseto, Massa Marittima, Pitigliano, Montepulciano [quiqui]. Dopo le ultime ordinazioni sacerdotali i seminaristi di ben 5 diocesi inviati dai rispettivi vescovi presso il Seminario Regionale di Siena sono ormai ridotti all’esiguo numero di 9.
Da tempo il seminario, che aveva già ceduto alcune sale in uso al vicino albergo di lusso [qui], finirà forse con l’essere “finalmente” acquisito per intero dalla confinante società alberghiera? Ma d’altronde, cosa si può pretendere e cosa si può sperare, se arcivescovo e formatori non trovano di meglio da fare che invitare il cattivo maestro Enzo Bianchi [qui] a pontificare agli ex alunni del seminario ed ai futuri preti sul tema: «Presbitero e liturgia»? [qui]. In pratica come invitare la pornostar Ilona Staller, meglio nota come “Cicciolina”, a predicare la castità alle monache di clausura.
Sia chiaro e senza pena di malintesi: ho preso questa diocesi toscana solo come paradigma per dare il polso di una situazione che riguarda tante altre diocesi dell’Emilia Romagna, della Lombardia, del Piemonte o del cattolico Triveneto che fu … dove sono in costante aumento preti ultra ottantenni che celebrano ogni domenica tre Messe nelle parrocchie di tre paesi diversi che sono ormai senza parroco da trent’anni [quiquiqui].
E morti loro?
Morti loro, alcuni vescovi particolarmente illuminati potrebbero chiamare il cattivo maestro Enzo Bianchi a parlare del tema «Presbitero e liturgia» agli ex allievi del seminario ed ai futuri preti, facendo cantare direttamente a lui: «E bomba o non bomba, noi, siamo arrivati a Roma. Malgrado voi».
Le cattedrali e le chiese storiche diventano musei visitabili previo pagamento del biglietto d’ingresso, le chiese parrocchiali e le canoniche di campagna diventano agriturismi, i conventi ed i monasteri alberghi …
… e domani, chi provvederà a nominare i vescovi di queste diocesi, forse la direzione generale della Sheraton Hotels? E chi saranno gli “impiegati” di queste strutture, forse preti selezionati per concorso presso le scuole alberghiere dai manageriali economi diocesani? Perché questa è l’eredità che molti vescovi italiani stanno per consegnare al futuro.
Dinanzi a questo inarrestabile decadimento, l’Arcivescovo di Siena ritenne comunque opportuno — probabilmente per buona diplomazia politica? — andare nell’ottobre del 2013 a presenziare alla inaugurazione della più grande moschea della Toscana, quella di Colle Val d’Elsa [quiqui]. Forse per rendere omaggio alle corde con le quali tra poco finiremo tutti impiccati? Perché tra non molto tempo, dalle antiche torri di Monteriggioni e di San Gimignano, canteranno a squarciagola i muezzin mussulmani, mentre i pochi conventi e monasteri rimasti aperti, oggi ridotti a un paio di frati ed a tre monache con un piede già nella tomba, presto saranno adibiti a resort e beauty farm delle lussuose campagne toscane dove americani, inglesi, tedeschi e oggi anche molti ricchi russi dal soldo facile si recano in villeggiatura.
O qualcuno, dopo avere collaborato attivamente allo svuotamento delle nostre chiese ed avere permessa in modo cieco e scientifico la alberghizzazione delle ex case religiose, pensa forse di poter tirare su la Sposa di Cristo dal marciapiede nel quale noi l’abbiamo gettata, affidandosi ai “preziosi” uffici di quattro neocatecumenali che monopolizzano le parrocchie con spirito settario ed escludente e che anziché il Verbo di Dio diffondono il verbo del bohémienne Kiko Arguello, con tutte le sue peggiori bizzarrie liturgiche e catechistiche? Perché a quel punto sarebbe meglio affidare le strutture parrocchiali a quella straordinaria pedagoga di Mary Poppins che cantando Supercalifragilistichespiralidoso, è più innocua dei kiki che schitaranno, tamburellano e ballano un Preconio Pasquale dal sapore tribale [qui].
Questi sono i risultati visibili prodotti dai fautori degli Anni di Piombo Ecclesiali: danni enormi ed a tratti insanabili, o forse sanabili attraverso molti decenni di duro lavoro portato avanti dalle virtù dei santi.
Per questo nelle mie orecchie martella il monito: «Quando il figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?» [Lc 18, 8].
La fede non lo so, se la troverà, ma nelle vecchie strutture ecclesiastiche che un giorno furono oratori, seminari, case di formazione alla vita religiosa, conventi, monasteri, parrocchie di campagna … troverà sicuramente tanti hotels, resorts, agriturismi e lussuose beauty farm. Mentre i terroristi della triste stagione degli Anni di Piombo Ecclesiali si saranno dati da fare a mirabilia nel distruggere l’albero della fede, perché il dramma del “io voglio” è da sempre e di gran lunga superiore al devoto e amorevole quesito: «Che cosa vuole, Dio da me?».
Portare avanti le proprie verità personali, spesso anche aggressive e rabbiose, chiusi ermeticamente ad ogni azione di grazia e ad ogni autentico dibattito teologico ed ecclesiale, animati dal falso pretesto di difendere il proprio “io” anziché le verità del Verbo di Dio, è veramente un peccato che grida vendetta al cospetto dell’Altissimo, perché non siamo noi a possedere la verità, o come diceva l’Aquinate: «Non sei tu che possiedi la verità, è la verità che possiede te» [De Veritate, 1257].

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