Intervista a mons. Antonio Livi: senza metafisica non c'è teologia
Monsignor Antonio Livi, nato a Prato nel 1938, è uno dei più importanti teologi italiani. Allievo di Etienne Gilson (1884-1978), è iniziatore nel Novecento della scuola filosofica del senso comune, rappresentata dalla ISCA (International Science and Commonsense Association), che ha come organo ufficiale la rivista "Sensus communis - International Yearbook of Alethic Logic", di cui è fondatore e direttore. Docente, di antropologia, filosofia e di logica, socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso, è stato il Decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense dal 2002 al 2008 e Professore emerito di Filosofia della conoscenza nella Pontificia Università Lateranense dal 2008. Autore di diversi libri importanti, tra cui «Vera e falsa teologia. Come distinguere l'autentica "scienza della fede" da un'equivoca "filosofia religiosa"», edito dalla Casa Editrice Leonardo da Vinci, della quale è anche il direttore editoriale. Molto gentilmente ha accettato di rilasciare un'intervista al nostro sito.
Mons. Livi, prima di tutto, La ringraziamo per averci concesso quest’intervista. Vorremmo cominciare chiedendoLe se può spiegare in cosa consiste esattamente la metafisica.
La metafisica non è un optional per l’intelligenza. Essa è l’essenza stessa della filosofia, in quanto esigenza razionale dell’uomo che desidera orientarsi nel mondo in cui vive e si domanda da dove viene, dove va e che ruolo gli spetta nella vita. La filosofia è ricerca di quella sapienza che è molto più necessaria per l’uomo di quanto non siano le conoscenze tecniche offerte dalle scienze particolari. Questa sapienza l’uomo la trova in sé stesso, inizialmente, nelle certezze fondamentali che costituiscono il “senso comune”, e poi anche nella religione naturale, che è presente in forme diverse tutte le civiltà. Ma un approccio propriamente scientifico (ossia rigoroso e dimostrativo) ai grandi temi della sapienza è pure necessario, e per questo la civiltà greca classica elaborò una “scienza dell’intero” che è appunto la metafisica. Essa fu ed è tuttora talmente ricca di vera sapienza naturale che il cristianesimo, quando si diffuse nel modo ellenistico, ne fece lo strumento privilegiato dell’interpretazione razionale della verità rivelata. Così nacque la teologia cristiana, che senza metafisica non può esistere, perché i dogmi della Chiesa cattolica - che la teologia è chiamata a interpretare razionalmente - sono tutti formulati in termini metafisici. Lo spiegò molto bene, agli inizi del Novecento, Réginald Garrigou-Lagrange (vedi il suo capolavoro, Il senso comune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche, trad. it., Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013).
Nella stragrande maggioranza dei seminari, così come nelle università teologiche, nonché dalle cattedre episcopali, viene insegnato che la metafisica tomista è superata, perché ha un concetto dell’uomo come di un “animale razionale”. La “svolta antropologica”, invece, avrebbe restituito alla persona umana la dignità che le compete: essere il centro dell’universo. Qual è la sua opinione?
Chi dice cose di questo tipo dimostra una sconfinata ignoranza delle cose di cui parla. In realtà, la dignità dell’uomo è stata difesa e attuta nella prassi sociale proprio dalla teologia cristiana, che ha elaborato già nell’età patristica l’originale e feconda nozione dell’uomo come “persona”. E questa preziosa nozione è di natura schiettamente metafisica, tant’è che coloro che la mettono da parte non hanno più argomenti per difendere la vita dalla prassi abortista e dalle leggi che la giustificano. Senza metafisica tutte le opinioni, anche le più assurde, sul nascituro sembrano convincenti e ammissibili, tanto che di fatto sono ammesse dalla cultura dominante. Quanto alla “svolta antropologica”, essa in realtà ha solo tolto alla teologia la nozione di Dio come creatore e redentore dell’uomo, facendo credere a qualche sprovveduto che è l’uomo e non Dio l’autore della legge morale.
Uno delle sue opere più belle e più importanti è, senz’altro, «Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”». Può spiegare, per quando sia possibile farlo in un’intervista, come riconoscere la “scienza della fede” dalla “filosofia religiosa”»?
La vera teologia è quella scienza che fa un cristiano che crede alla rivelazione divina, formalizzata nei dogmi della Chiesa, e tenta di illustrare razionalmente i contenuti di questa rivelazione, svolgendo così una missione culturale preziosa al servizio della fede di tutti noi. Quando invece uno studioso, cattolico o luterano che sia, prescinde dalla verità della rivelazione divina e mette i dubbio o interpreta arbitrariamente i dogmi della fede, le sue tesi sono mera “filosofia religiosa”. La “filosofia religiosa” si riconosce subito, perché è sempre un discorso ambiguo, spesso soltanto retorico, che tenta di imporre anche ai credenti una sapienza meramente umana, con la pretesa di possedere una conoscenza superiore rispetto alla fede dei “semplici” e persino rispetto al magistero della Chiesa (tecnicamente questo si chiama “gnosticismo”).
Nouvelle théologie, faux théologiens
La “nouvelle théologie” è vera o falsa teologia?
La “nouvelle théologie” comprende studiosi e opinioni teologiche molto diverse. Alcune di queste opinioni sono state severamente condannate da Pio XII nell’enciclica Humani generis (1950). Altre sono state accettate dal magistero ecclesiastico, ma sempre come opinioni, che restano legittime nella misura in cui non escludono fanaticamente le opinioni diverse (ad esempio quelle della benemerita e sempre valida scuola tomistica).
Le facciamo alcuni nomi molto noti nel mondo teologico contemporaneo: Pierre Teilhard de Chardin, Karl Rahner, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Hans Urs von Balthasar, John Courtney Murray; Yves Congar, Dominique Chenu, Edward Schillebeeckx; Louis Bouyer, Bernhard Häring, Johann Baptist Metz e Hans Küng. Può dirci, fra costoro, chi è stato un autentico teologo e chi, invece, un ambiguo filosofo religioso?
Si fa presto a rispondere: Pierre Teilhard de Chardin, Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Bernhard Häring, Johann Baptist Metz e Hans Küng sono tutti autori di teorie teologiche false, in quanto contrarie allo spirito e talvolta anche alla lettera del dogma cattolico. Le loro opere sono tutte espressioni della medesima filosofia religiosa di stampo immanentistico e progressistico, anche se ciascuno di essi ha lavorato in campi diversi. Degli altri autori da Lei citati si può dire che sono teologi seri, autori di opere importanti, anche se alcuni di loro hanno aderito talvolta a correnti di pensiero di orientamento fideistico. Ci sono poi altri nomi da ricordare tra i veri teologi, ad esempio lo svizzero Charles Journet e naturalmente il tedesco Joseph Ratzinger.
"Falsi profeti" e "cattivi maestri"? No, grazie.
Lei è stato protagonista di un’annosa polemica con Enzo Bianchi, il “priore” della comunità di Bose. In più di una occasione Lei ha messo in guardia i fedeli dai “falsi profeti” e dai “cattivi maestri”. Come riconoscere – e difendersi – da queste due pericolose categorie?
Ripeto ancora una volta che il criterio cattolico per discernere il vero profeta dal falso profeta e il buon maestro dal cattivo maestro è la fedeltà ai dogma cattolico. Già san Paolo ammoniva i primi cristiani: «Se qualcuno propone un Vangelo diverso da quello che io vi ho annunciato, non unitevi a lui!». L’unico Maestro è Gesù, come Egli stesso ha formalmente dichiarato. Poi Gesù ha voluto affidare la rivelazione dei misteri della salvezza agli Apostoli, dicendo: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi disprezza me». Quindi, noi cattolici dobbiamo dare retta sempre e soltanto al magistero della Chiesa, ossia alla dottrina degli Apostoli e dei loro successori, una dottrina che costituisce una catena ininterrotta di fedele trasmissione degli insegnamenti e dei comandamenti di Cristo Maestro. Quando sentiamo teologi o “santoni” che criticano il magistero della Chiesa (quello solenne dei concili ecumenici e quello ordinario dei Papi), e propagandando una nuova Chiesa «senza dogmi e senza magistero», possiamo essere certi che si tratta di “cattivi maestri”. Dobbiamo evitare di diventarne discepoli, e se possiamo sarà bene anche dissuadere gli altri da credere che siano davvero la “voce dello Spirito”. Non occorre parlar male di nessuno: basta chiarire che ci sono forti e fondati motivi per credere al magistero della Chiesa, che sappiamo essere assistito infallibilmente dallo Spirito Santo, mentre non c’è assolutamente alcun motivo per credere a quelle persone, quale che sia l’appoggio del quale godono da parte dei mass media...
Il "concilio mediatico" è forse quello dei teologi?
Siamo nel cinquantesimo del Vaticano II. Il 21° concilio che cosa è stato, concretamente, per la Chiesa cattolica? Uno mezzo, un fine, una benedizione, un disastro, una svolta, oppure?
Sono state dette tante cose sul Vaticano II in questi cinquant’anni. Io, come cattolico, non voglio parlarne se non come un momento di quella «evoluzione omogenea del dogma» (secondo l’espressione felice di Marin Sola) che assicura sempre ai fedeli la trasmissione fedele della dottrina di Cristo e la sua opportuna applicazione pastorale in ogni tempo. Questo concilio ecumenico non ha voluto introdurre alcuna variazione sostanziale nel dogma, ma solo aprire la strada a una nuova evangelizzazione, nei modi ritenuti più confacenti alla situazione culturale del mondo moderno. Le riforme conciliari, come quella della liturgia, sono state viste come utili alla pastorale anche da personalità ecclesiastiche di profonda spiritualità e di sicura ortodossia, come il cardinale Siri (vedi Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014). Certo, ci sono stati anche tanti orribili abusi liturgici, ma sono tutti contrari alla lettera e allo spirito dei decreti conciliari. Como sono contrari alla lettera e allo spirito dei decreti conciliari i discorsi di chi manipola il Vaticano II per imporre, sotto l’etichetta di “teologia conciliare”, la propria ideologia. Il Vaticano II è un momento del magistero ecclesiastico, che ha come unici titolari i vescovi in comunione con il Papa. Un concilio è autorevole perché un Papa lo ha convocato, un Papa lo ha presieduto e infine un Papa lo ha promulgato. Il Concilio non è un’assemblea di teologi, con una maggioranza (i progressisti) che ha vinto e una minoranza (i conservatori) che è stata sconfitta. Lo ha spiegato bene papa Benedetto XVI, quando ha voluto distinguere opportunamente tra il vero Concilio e il «concilio dei media». E qui torniamo al discorso dei falsi profeti e dei cattivi maestri, il cui imperdonabile peccato è di essersi sostituiti arbitrariamente, con l’uso accorto della retorica, a chi nella Chiesa ha autorità (divina) per insegnare, dirigere e santificare.
Papa Francesco tra entusiasmo e perplessità
Il personalissimo pontifico di papa Francesco – forse il primo vero “papa del Vaticano II” –, fatto più di gesti che di magistero, entusiasma molti, ma lascia perplessi altrettanti. Un papa può essere criticato? E, se la risposta è positiva, in che modo?
Io non direi che l’attuale pontefice sia «il primo vero papa del Vaticano II». Stando alla realtà, ossia ai criteri dettati dalla dottrina teologica, il Vaticano II è stato fedelmente e pienamente attuato già dagli insegnamenti e dalle decisioni pastorali di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Non ha alcun senso affermare il contrario (come fanno falsi i teologi come Hans Küng e cattivi maestri come il cardinal Martini). Papa Francesco, quando ha parlato come maestro della fede, non ha mai contraddetto i suoi predecessori. I suoi due unici documenti dottrinali (l’enciclica Lumen fidei e l’esortazione apostolica Evangelii gaudium) non contengono alcun insegnamento in contrasto con quelli di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Se poi si vuole parlare di gesti e discorsi che non impegnano in alcun modo l’infallibilità, e quindi non vincolano in coscienza i fedeli cattolici, tutti sono liberi di commentarli positivamente o negativamente (sempre con il dovuto rispetto). Ma io raccomando a tutti di usare meglio il poco tempo che abbiamo a disposizione: ci dobbiamo dedicare soprattutto a conoscere, ad amare e a vivere sempre di più la nostra santa fede cattolica e i comandamenti divini, meditando la Sacra Scrittura e prestando attenzione ai documenti del Magistero, compendiati nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Potrebbe dare dei consigli pratici sia ai “fedeli entusiasti”, affinché non cadano nella papolatria, e ai “fedeli perplessi”, affinché non inciampino nella disobbedienza?
Vale per questa domanda quello che ho detto rispondendo alla domanda precedente. Preciso solo una cosa: la disobbedienza al papa si ha solo quando si agisce contro ciò che è stabilito dal Diritto canonico o è stato formalmente ordinato dall’autorità pontificia attraverso uno dei dicasteri della Santa Sede. Non c’è disobbedienza se un fedele cattolico assume opinioni e attua iniziative all’interno di quei precisi margini di libertà che la Chiesa gli riconosce.
Matrimonio e famiglia, la pastorale deve insegnare la dottrina, non raggirarla
Parliamo della famosa “relazione Kasper” dello scorso febbraio sulle situazioni irregolari di molte famiglie. Pensa che la “soluzione”, chiamiamola così, del cardinale tedesco sia quella giusta? Non Le pare – Le porgiamo la domanda in quanto teologo dogmatico – che si stia cercando di “raggirare” l’“ostacolo” dell’immutabilità dogmatica per mezzo della prassi pastorale?
Se da una parte il cardinal Kasper (che come teologo è assai ambiguo e incoerente) vaneggia di una presunta “pastorale” che di fatto mette da parte il dogma sacramentario e il diritto canonico, altri cardinali teologicamente molto più credibili (tra gli altri, Carlo Caffarra, Mauro Piacenza e Walter Brandmüller) hanno chiarito a più riprese che nella Chiesa la pastorale è un’applicazione fedele e intelligente del dogma all’opera di santificazione dei fedeli. Non è una mera prassi di “accoglienza” e di benevolenza umana con le persone che sono in stato di peccato mortale e non ne vogliono uscire, cambiando vita e ricorrendo al sacramento della riconciliazione. La pastorale è incoraggiamento alla conversone, non connivenza con il peccato altrui (forse per rendere la propria coscienza meno avvertita circa i peccati propri).
Infine, nel ringraziarla ancora calorosamente, le domandiamo – se ai prossimi sinodi sulla famiglia vincerà la “soluzione Kasper” – come dovrà comportarsi il piccolo gregge che vuole restare fedele al comandamento del suo vero e unico Buon Pastore?
Escludo ne modo più categorico la possibilità che il Papa avalli un sinodo dei vescovi nel quale venga abolita la dottrina sacramentaria e canonica sul matrimonio e l’Eucaristia. Se ciò avvenisse, sarebbe davvero l’inizio di uno scisma nella Chiesa. Eventualità che nessun fedele cattolico può auspicare e tanto meno contribuire a che si verifichi. L’attivo contributo a far sì che ci siano eresia e scisma costituisce uno tra i peggiori peccati contro lo Spirito Santo. Se un legge il libro dell’Apocalisse si accorge che Dio prevede questi mali per la sua Chiesa: non solo le persecuzioni da “fuori”, ma anche gli attentati da “dentro”, come sono appunto l’eresia e lo scisma. Ma la Scrittura ci assicura anche che «le porte degli inferi non prevarranno». La Chiesa è di Cristo, ripeteva Benedetto XVI negli ultimi giorni del suo pontificato. Ciò significa che noi, semplici fedeli, nel tempo del nostro pellegrinaggio terreno non dobbiamo fare altro che essere personalmente fedeli, cioè vivere uniti a Cristo con la grazia santificante, e poi adoperarci con tutti i mezzi dell’apostolato affinché anche gli altri (quelli che possiamo orientare con il nostro esempio e la nostra parola) lo siano. Poi, lasciamo tutto nella mani della Provvidenza, e non pretendiamo di sostituirci ad essa.
Questo è il sito personale del prof. Antonio Livi:
Sito ufficiale della Casa Editrice Leonardo da Vinci
solita storia, un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Per il sinodo staremo a vedere , le premesse sono molto " acide " . jane
RispondiElimina