Guerra in Vaticano, non solo pedofilia: ecco che cosa c'è dietro
Per la giustizia vaticana rischia fra 6 e 7 anni di condanna. Al momento però l’ex arcivescovo polacco Jozef Wesolowski, ex diplomatico e nunzio a Santo Domingo, è obbligato a risiedere in un piccolo appartamento nel palazzo dei Penitenzieri e non può uscire dallo Stato Vaticano. «Arrestato» è una parola forse più grossa della realtà, anche se l’enfasi che ha accompagnato il provvedimento restrittivo nei confronti del prelato accusato di pedofilia e di detenzione di materiale pedo-pornografico è comprensibile: mai un Papa aveva personalmente compiuto una scelta così grave.
Non c’è dubbio sull’intenzione di papa Francesco di dare un segnale inequivoco sia dentro che fuori dalla Chiesa sulla pedofilia. Proprio il Papa che allarga le braccia accogliente ai peccatori di tutto il mondo, che ha caratterizzato il suo pontificato con l’inclusione e non certo l’esclusione, ha scelto di essere inflessibile con i suoi. Il perdono è più difficile nei confronti di un sacerdote, che viola altra vocazione e altre responsabilità rispetto ai fedeli, è davvero difficile se il peccato è così terribile come l’abuso di un minore. Una linea durissima già scelta da Benedetto XVI, ma che ha fatto un salto di qualità, quasi una rivoluzione copernicana con Francesco. La vera novità in Vaticano rispetto al passato è stata guardare alle vicende di pedofilia con lo sguardo delle vittime, e non solo dei sacerdoti e delle leggi della Chiesa.
Francesco ha voluto che una vittima - una donna irlandese, Marie Collins - facesse parte per la prima volta di una commissione vaticana, quella che deve combattere il fenomeno della pedofilia. E quegli occhi di vittima sono una delle ragioni del clamoroso arresto di Wesolowski. Non è un caso se una decisione così grave è stata adottata dopo il drammatico e commovente incontro di papa Francesco a inizio luglio in Santa Marta con alcune vittime di preti pedofili. È con quegli occhi che il Papa ha chiamato a sé il dossier del processo canonico all’ex diplomatico polacco, ha esaminato le consistenti prove raccolte contro di lui, ha preso la decisione e mandato ad eseguire il provvedimento cautelare la gendarmeria vaticana come era accaduto in precedenza con l’arresto di Paolo Gabriele - aiutante da camera di Benedetto XVI - durante Vatileaks (anche quello della gendarmeria è stato segnale chiaro alla Curia Vaticana). Eppure in quegli arresti domiciliari c’è anche una particolare attenzione nei confronti del presunto colpevole.
Il provvedimento serve anche a difendere l’ex nunzio polacco da se stesso. Papa Francesco si è molto arrabbiato per le notizie di Wesolowski che gli erano giunte nelle ultime settimane. Nonostante la condanna di primo grado e la conseguente perdita della immunità diplomatica, l’ex nunzio ha condotto senza particolare attenzione la vita di prima. Non si è ritirato dalla vita pubblica, ha continuato a frequentare persone e luoghi abituali a Roma, è perfino andato a dormire in quel residence di via della Scrofa dove albergava il cardinale Jorge Mario Bergoglio fino al conclave che lo ha eletto Papa. Lì è stato visto anche con grande scandalo dal vescovo ausiliario di Santo Domingo e da alti prelati argentini che hanno subito riferito a papa Francesco preoccupati. A quel punto lo stesso ex nunzio polacco stava rischiando grosso. In Vaticano erano giunte due richieste di estradizione per il reato di pedofilia: una della Polonia, paese natale di Wesolowski (che lì avrebbe compiuto i primi reati), e una della Repubblica di Santo Domingo, dove sarebbero accaduti gli episodi più gravi e anche più vicini nel tempo.
Probabilmente entrambi i paesi hanno firmato un mandato di cattura che l’Interpol sarebbe in grado di fare eseguire. Se le manette fossero scattate a Roma, il Vaticano avrebbe avuto un grave danno dalla vicenda e Wesolowski avrebbe probabilmente trascorso i prossimi anni in una galera dominicana. L’arresto Vaticano lo ha quindi salvato da una fine ben più ingloriosa, e allo stesso tempo ha trasformato un possibile danno per l’intera Chiesa in un notevole vantaggio di immagine.
di Chris Bonface
Pedofilia: Papa Francesco chiede il dossier sul cardinale George Pell
George Pell è uno dei più stretti collaboratori di Papa Francesco ed è Prefetto della Segreteria dell'Economia, il ministero delle Finanze del Vaticano.
Prima è stata la volta di monsignor Jozef Wesolowski, nunzio della Repubblica Dominicana arrestato tre giorni fa dalla gendarmeria vaticana per pedofilia, su indicazione diretta di Papa Francesco. Ieri è toccato a monsignor Rogelio Ricardo Livieres Plano, rimosso per volontà del Pontefice dalla diocesi di Ciudad del Este – in Paraguay – perché accusato di malversazione e copertura di abusi sessuali di preti della sua diocesi. L’operazione di “pulizia” della chiesa, tuttavia, potrebbe essere solo all’inizio e la prossima vittima potrebbe essere un “pezzo da 90″, uno dei più stretti collaboratori del Santo Padre: stiamo parlando di George Pell, cardinale australiano membro del ristretto gruppo di consiglieri del Papa nominato recentemente Prefetto della Segreteria dell’Economia, di fatto il ministero delle Finanze del Vaticano.
Pell interrogato un mese dalla Commissione d’inchiesta sulla pedofilia voluta dal governo di Canberra
Stando a quanto rivelato dall’Espresso un mese fa Pell è stato ascoltato dalla Commissione d’inchiesta sulla pedofilia voluta dal governo di Canberra: al cardinale è stato chiesto conto di alcune sue decisioni di quando era arcivescovo di Melburne e di Sydney. I giudici, tuttavia, hanno voluto conoscere nei dettagli il “Melbourne Reponse”, un sistema di risarcimento introdotto nel ’96 che secondo alcuni osservatori sarebbe stato ideato per “controllare le vittime e proteggere la Chiesa”. “Se alcuni parenti di bimbi abusati hanno definito a verbale il cardinale un sociopatico – scrive il settimanale – la studiosa Judy Courtin ha spiegato che le scelte di Pell erano volte a minimizzare i reati, occultare la verità, manipolare e intimidire le vittime”.
Papa Francesco ha chiesto il dossier su Pell
Il Papa avrebbe chiesto alla Segreteria di Stato – in particolare a monsignor Beccio – il dossier riguardante Pell. Il cardinale, infatti, qualche anno fa è stato assolto per “mancanza di prove” da un’accusa di molestie su un ragazzo di 12 anni. Ai giudici avrebbe risposto con una frase sconvolgente volta a scagionare la Chiesa da ogni responsabilità: per difendersi, avrebbe paragonato i sacerdoti ai camionisti che importunano le autostoppiste: “Non credo che la compagnia di trasporti possa essere responsabile delle azioni dei suoi camionisti”. Di fatto la vicenda avrebbe già avuto qualche ritorsione sul mandato dell’australiano: Papa Francesco ne ha recentemente ridimensionato il potere sull’Apsa (amministrazione del patrimonio apostolico) esautorandolo dalle decisioni strategiche principali, che rimarranno in mano al cardinale Calcagno.
continua su: http://www.fanpage.it/pedofilia-papa-francesco-chiede-il-dossier-sul-cardinale-george-pell/#ixzz3EQRNyLWj http://www.fanpage.it
Wesolowski, processo in Vaticano blinda competenza: mossa astuta oltre immagine
L'arresto dell'ex nunzio (ambasciatore) vaticano è stata una mossa geniale: non è stato solo un colpo di immagine, ma blinda la competenza territoriale di future cause contro l'alto prelato e il suo datore di lavoro, il Vaticano
di Antonio Buttazzo
di Antonio Buttazzo
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:
L’arresto dell’ex nunzio apostolico a Santo Domingo Jozef Wesolowski, ai domiciliari con le accuse di abusi sessuali su minori e possesso di materiale pedopornografico, dal punto di vista mediatico segna certamente un punto a favore delle Autorità del Vaticano impegnate nella offensiva contro il fenomeno della pedofilia all’interno della Chiesa.
Tuttavia, a ben vedere, dal punto di vista giuridico, la misura cautelare applicata al monsignore ed il conseguente esercizio della Giurisdizione Vaticana su fatti commessi all’estero da un proprio cittadino, si risolve de facto con la negazione della giurisdizione di almeno altri 2 Stati che in base al loro diritto interno avevano la potestà di punire quel reato e cioè Santo Domingo e Polonia.
I primi si sono dovuti arrendere di fronte alla immunità diplomatica di cui godeva il vescovo, i polacchi invece che pure potevano perseguire il reato commesso dal loro cittadino all’estero (l’alto prelato gode di doppia cittadinanza), hanno preferito non forzare la mano al Vaticano limitandosi a chiedere informazioni non vincolanti per lo Stato di Città del Vaticano.
A seguito del processo canonico, diverso da quello penale, monsignor Wesolowski è stato condannato, seppure solo in primo grado, alla riduzione allo stato laicale.
Ne consegue la perdita della immunità diplomatica ed anche il rischio di perdita della cittadinanza vaticana, cosa che evidentemente lo esporrebbe ad una richiesta di estradizione dall’esito a questo punto, molto probabilmente, favorevole allo Stato richiedente.
Insomma, se l’ex Nunzio apostolico non fosse ora detenuto ai domiciliari in una residenza vaticana in attesa di giudizio, ci sarebbero buone possibilità che il processo finisca con l’attenderlo in qualche meno confortevole galera dei Caraibi o in quelle gelide della Polonia , e ciò non appena il giudizio canonico che ha statuito sulla perdita dello status precedente diviene definitivo.
Insomma, l’esercizio dell’azione penale, comporta l’obbligo di un giudizio da parte del tribunale vaticano.
Una sentenza definitiva di condanna, comporta il divieto del ne bis in idem.
In conclusione, ad una futura richiesta di estradizione verso Santo Domingo o Polonia, non sarebbero pochi gli argomenti spendibili ,dallo stato estradante o dal condannato, per opporsi alla consegna.
Ed allora ci chiediamo, non è che qualche tempo in un residence con vista sugli spettacolari giardini del Vaticano servono ad evitare una lunga permanenza ai Caraibi ma ben lontani dalle sue spiagge bianche e dal suo mare cristallino?
L’arresto dell’ex nunzio apostolico a Santo Domingo Jozef Wesolowski, ai domiciliari con le accuse di abusi sessuali su minori e possesso di materiale pedopornografico, dal punto di vista mediatico segna certamente un punto a favore delle Autorità del Vaticano impegnate nella offensiva contro il fenomeno della pedofilia all’interno della Chiesa.
Tuttavia, a ben vedere, dal punto di vista giuridico, la misura cautelare applicata al monsignore ed il conseguente esercizio della Giurisdizione Vaticana su fatti commessi all’estero da un proprio cittadino, si risolve de facto con la negazione della giurisdizione di almeno altri 2 Stati che in base al loro diritto interno avevano la potestà di punire quel reato e cioè Santo Domingo e Polonia.
I primi si sono dovuti arrendere di fronte alla immunità diplomatica di cui godeva il vescovo, i polacchi invece che pure potevano perseguire il reato commesso dal loro cittadino all’estero (l’alto prelato gode di doppia cittadinanza), hanno preferito non forzare la mano al Vaticano limitandosi a chiedere informazioni non vincolanti per lo Stato di Città del Vaticano.
A seguito del processo canonico, diverso da quello penale, monsignor Wesolowski è stato condannato, seppure solo in primo grado, alla riduzione allo stato laicale.
Ne consegue la perdita della immunità diplomatica ed anche il rischio di perdita della cittadinanza vaticana, cosa che evidentemente lo esporrebbe ad una richiesta di estradizione dall’esito a questo punto, molto probabilmente, favorevole allo Stato richiedente.
Insomma, se l’ex Nunzio apostolico non fosse ora detenuto ai domiciliari in una residenza vaticana in attesa di giudizio, ci sarebbero buone possibilità che il processo finisca con l’attenderlo in qualche meno confortevole galera dei Caraibi o in quelle gelide della Polonia , e ciò non appena il giudizio canonico che ha statuito sulla perdita dello status precedente diviene definitivo.
Insomma, l’esercizio dell’azione penale, comporta l’obbligo di un giudizio da parte del tribunale vaticano.
Una sentenza definitiva di condanna, comporta il divieto del ne bis in idem.
In conclusione, ad una futura richiesta di estradizione verso Santo Domingo o Polonia, non sarebbero pochi gli argomenti spendibili ,dallo stato estradante o dal condannato, per opporsi alla consegna.
Ed allora ci chiediamo, non è che qualche tempo in un residence con vista sugli spettacolari giardini del Vaticano servono ad evitare una lunga permanenza ai Caraibi ma ben lontani dalle sue spiagge bianche e dal suo mare cristallino?
Tuttavia, a ben vedere, dal punto di vista giuridico, la misura cautelare applicata al monsignore ed il conseguente esercizio della Giurisdizione Vaticana su fatti commessi all’estero da un proprio cittadino, si risolve de facto con la negazione della giurisdizione di almeno altri 2 Stati che in base al loro diritto interno avevano la potestà di punire quel reato e cioè Santo Domingo e Polonia.
I primi si sono dovuti arrendere di fronte alla immunità diplomatica di cui godeva il vescovo, i polacchi invece che pure potevano perseguire il reato commesso dal loro cittadino all’estero (l’alto prelato gode di doppia cittadinanza), hanno preferito non forzare la mano al Vaticano limitandosi a chiedere informazioni non vincolanti per lo Stato di Città del Vaticano.
A seguito del processo canonico, diverso da quello penale, monsignor Wesolowski è stato condannato, seppure solo in primo grado, alla riduzione allo stato laicale.
Ne consegue la perdita della immunità diplomatica ed anche il rischio di perdita della cittadinanza vaticana, cosa che evidentemente lo esporrebbe ad una richiesta di estradizione dall’esito a questo punto, molto probabilmente, favorevole allo Stato richiedente.
Insomma, se l’ex Nunzio apostolico non fosse ora detenuto ai domiciliari in una residenza vaticana in attesa di giudizio, ci sarebbero buone possibilità che il processo finisca con l’attenderlo in qualche meno confortevole galera dei Caraibi o in quelle gelide della Polonia , e ciò non appena il giudizio canonico che ha statuito sulla perdita dello status precedente diviene definitivo.
Insomma, l’esercizio dell’azione penale, comporta l’obbligo di un giudizio da parte del tribunale vaticano.
Una sentenza definitiva di condanna, comporta il divieto del ne bis in idem.
In conclusione, ad una futura richiesta di estradizione verso Santo Domingo o Polonia, non sarebbero pochi gli argomenti spendibili ,dallo stato estradante o dal condannato, per opporsi alla consegna.
Ed allora ci chiediamo, non è che qualche tempo in un residence con vista sugli spettacolari giardini del Vaticano servono ad evitare una lunga permanenza ai Caraibi ma ben lontani dalle sue spiagge bianche e dal suo mare cristallino?
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.