La Chiesa, la Comunione, i divorziati risposati e la Grazia che non può essere senza spese perché «siamo stati redenti a caro prezzo»
Caro direttore, è da mesi che cerco di seguire con molta attenzione il dibattito in atto nella Chiesa cattolica sul problema della Eucaristia ai divorziati risposati, dibattito che vede due posizioni nettamente contrapposte tra loro. Dopo aver letto tutto il possibile, mi pare di poter dire che alla base di tante posizioni, lontane dall’insegnamento di Cristo e sua Chiesa, c’è la mancanza di una fede personale e la non-appartenenza alla sua Chiesa, se non per alcuni aspetti formali ed esteriori che non hanno incidenza nella vita.
La mia esperienza mi dice che ogni aspetto della vita (studio, lavoro, amicizia, amore, sofferenza, famiglia eccetera) viene vissuto (almeno si cerca di viverlo) avendo come centro vitale il Signore Gesù, se sono credente; o la nostra vita sarà per forza frammentata e disorganica, come certe periferie delle nostre squallida città, che fanno da cornice ai centri storici medioevali dove c’è un progetto, un disegno preciso, con una sua piazza, la cattedrale e il comune: luogo che dava armonia al tutto.
Si arriva al matrimonio (quando si arriva, perché ormai la convivenza sembra prevalere) con un bagaglio culturale ed una esperienza di vita già bene definiti: non è certo il corso per fidanzati che può cambiare le cose (a parte qualche miracolo).
L’educazione al matrimonio e alla vocazione famigliare e ad una vita di amore, come la intende Gesù, necessita di un cammino e di un percorso costante e solido di contenuti e di esperienze buone fin dalla prima adolescenza.
Ma qui sta il problema: se la proposta di vita cristiana non è affascinante, perché dovrei farla mia? Se nessuno mi aiuta a fare esperienza della convenienza di Cristo per la mia vita (ci si limita ad educare alla mondialità, al volontariato, all’assistenzialismo eccetera), perché dovrei abbracciare questa ipotesi di vita?
Certo: non pochi dicono di avere fede, ma non è una fede vivente (non dico coerente, perché siamo tutti peccatori, ma vivente). Vivente significa che un uomo capisce esistenzialmente che Cristo è la risposta alla sua vita e al mondo.
Anche se come Eliot scrive: «Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima. Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce. Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via».
Preparandomi a scrivere questa “lettera” mi sono ricordato di una pagina diSequela, libro scritto da Bonhoeffer. Il primo capitolo si intitola: “La grazia a caro prezzo”.
«La grazia a buon prezzo è il nemico mortale della nostra Chiesa. (…) Grazia a buon prezzo è grazia considerata materiale da scarto, (…) sacramento sprecato; grazia considerata magazzino inesauribile della Chiesa, da cui si dispensano i beni a piene mani, a cuor leggero, senza limiti; grazia senza prezzo, senza spese.
(…) Grazia a buon prezzo è (…) perdono dei peccati inteso come verità generale, come concetto cristiano di Dio. Chi la accetta, ha già ottenuto il perdono dei peccati. La Chiesa che annunzia questa grazia (…) è già partecipe della grazia. In questa Chiesa il mondo vede cancellati, per poco prezzo, i peccati di cui non si pente e dai quali tanto meno desidera essere liberato. Grazia a buon prezzo, perciò, è rinnegamento della Parola vivente di Dio, rinnegamento dell’incarnazione della Parola di Dio.
Grazia a buon prezzo è giustificazione non del peccatore, ma del peccato. Visto che la grazia fa tutto da sé, tutto può andare avanti come prima. (…) Perciò anche il cristiano viva come vive il mondo, si adegui in ogni cosa al mondo e non si periti in nessun modo – a scanso di essere accusato dell’eresia di fanatismo – di condurre, sotto la grazia, una vita diversa da quella che conduceva sotto il peccato. Si guardi bene all’infierire contro la grazia, (…) tentando di condurre una vita in obbedienza ai comandamenti di Gesù Cristo! (…) Il cristiano viva come vive il resto del mondo!
(…) Grazia a buon prezzo è annunzio del perdono senza pentimento, è battesimo senza disciplina di comunità, è Santa Cena senza confessione dei peccati, è assoluzione senza confessione personale. Grazia a buon prezzo è grazia senza che si segua Cristo, grazia senza croce, grazia senza il Cristo vivente, incarnato.
Grazia a caro prezzo è (…) perché chiama a seguire Gesù Cristo; (…) è cara, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore. La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata molto a Dio; a Dio è costata la vita del suo Figliolo – “siete stati redenti a caro prezzo” – e perché per noi non può valere poco ciò che a Dio è costato caro. (…) Essa ci viene incontro come misericordioso invito a seguire Gesù, raggiunge lo spirito umiliato ed il cuore contrito come parola di perdono».
Dopo questo testo vorrei riproporre due interventi: uno è quello del cardinal Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi: non chiude alla riflessione su «alcune iniziative innovative che rispondono alle nuove sfide delle evangelizzazione». Il punto chiaro, però, è che l’aiuto che si deve concedere ai divorziati risposati ha un limite ben chiaro, «quello imposto dalla verità dei sacramenti della Chiesa». La ragione di questa limitazione non è morale ma sacramentale. Il secondo matrimonio rimane un ostacolo oggettivo che non permette di partecipare alla sacramentalità di Cristo e della Chiesa.
Così invece padre Pepe di Paola: «Noi rispettiamo la gente. Se le persone cercano di comunicarsi, diamo loro la Comunione. Non siamo dei giudici che decidono chi si deve comunicare e chi no. Quando ci troviamo davanti a persone che convivono senza essere sposate in chiesa, non alziamo barricate, neppure nel caso dei sacramenti e della Comunione. Ci opponiamo a quelli che hanno solo precetti».
Che lo Spirito Santo, spirito di sapienza, illumini la Chiesa.
http://associazionemadonnaumiltapistoia.blogspot.it/2014/09/la-chiesa-la-comunione-i-divorziati.html
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