Un Sinodo un po' taroccato?
Se è vero che la Chiesa non è una democrazia, e non si va avanti a colpi di maggioranza, non si può neanche sottoporre l’insieme dei credenti a minigolpe teologici e dottrinali.
Come la natura, la Chiesa non ama i salti.
Come la natura, la Chiesa non ama i salti.
Quando il relatore – un cardinale di Santa Romana Chiesa – disconosce più o meno espressamente la paternità di una relazione che porta la sua firma, c’è un problema.
Quando lo stesso cardinale, in riferimento a un brano del testo certamente molto interessante e foriero di problemi, richiesto di spiegazioni, gira la risposta a un arcivescovo Segretario aggiunto (dal Papa) al Sinodo, perché è lui l’autore, c’è un problema.
Quando molti vescovi e cardinali, dalla Polonia all’Africa all’Australia, si lamentano perché la Relatio così come è stata scritta e presentata alla stampa non riflette secondo loro quello che è stato detto nell’aula, e aggiunge cose che non sono mai state dette, c’è un problema.
Quando il testo viene dichiarato “inaccettabile” da cardinali e vescovi, “irredimibile” da un altro, e quando dai Circuli Minores si dice che “stiamo lavorando per rivedere il testo, cassare alcune espressioni e così via, ma è un testo malato e non si sa quanto saranno accettate le proposte”, c’è un problema.
Quando ci sono vescovi – e più di uno – che dicono di non voler più venire a eventuali futuri Sinodi, se si svolgono così, perché si tramutano in farsa, c’è un problema. Quando il cardinale sudafricano Napier afferma via twitter, cioè in maniera pubblica, che “mentre è possibile che alcuni elementi stiano cercando di adeguarsi all’opinione del mondo, la maggioranza vuole restare fermamente con la verità”; cioè afferma esattamente il contrario della tesi che alcuni giornalisti per i motivi più vari tentano di accreditare, c’è un problema.
Quando nelle scelte di vertice per il Sinodo un intero continente in cui si sta realizzando la maggiore crescita del cristianesimo e del cattolicesimo in termini di fedeli (a differenza di Europa e America del Nord, o dell’America Latina dove gli evangelici ingoiano milioni di ex-cattolici), e cioè l’Africa viene dimenticato, c’è un problema.
La cupola sinodale ha deciso di non rendere pubblici gli interventi dei partecipanti, contro una prassi decennale, la trasparenza e il diritto dei cristiani a sapere; e poi ha deciso di rendere pubblico un documento di lavoro in cui moltissimi non si riconoscono, e in cui le frasi più discutibili e discusse sono con grande probabilità l’espressione di pochi teologi e vescovi. E’ difficile non pensare a un tentativo di guidare e manipolare il treno del Sinodo.
Quando, in seguito alla pubblicazione del documento, si è costretti a fare marcia indietro, e “Voice of the Family”, che raggruppa milioni di cattolici in tutto il mondo in quindici diverse organizzazioni lo definisce tout court “un tradimento”, e afferma che “Quelli che controllano il Sinodo hanno tradito i genitori cattolici. Il report è uno dei peggiori documenti ufficiali mai redatti nella storia della Chiesa”, c’è un problema.
Il Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia è il primo appuntamento ufficiale di Chiesa del regno di papa Francesco. E non si sta rivelando un successo, sotto nessun punto di vista, se non quello della confusione. Purtroppo il Papa non appare, come forse sarebbe più prudente e auspicabile, per rassicurare i cattolici, al di sopra e fuori delle parti. Il card. Kasper, uno dei più fieri protagonisti della battaglia, non fa che ripetere che ne ha parlato al Papa. La scelta dell’arcivescovo Forte, autore secondo molti della relazione dei giorni scorsi, come segretario aggiunto, è papale. Così come quelle dei membri aggiunti della Commissione che stenderà il rapporto finale; tutti orientati in una direzione, che però – a quanto dice il card. Napier, e non solo lui, non rappresenta il sentire comune e maggioritario dell’assemblea.
E questo non è un bene, se si cerca un’unità di sentimenti, e non quello che il card. Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, ha definito un “pensiero unico nella Chiesa”. Se è vero che la Chiesa non è una democrazia, e non si va avanti a colpi di maggioranza, non si può neanche sottoporre l’insieme dei credenti a minigolpe teologici e dottrinali.
Come la natura, la Chiesa non ama i salti.
SAN PIETRO E DINTORNI | Marco Tosatti |
Non lo so, sarà un mio pensiero, l’impressione singolare di un peccatore come miliardi di altri. Però l’aria sinodale – qualcuno dice addirittura conciliare – che in questi giorni soffia sulla Chiesa non mi convince del tutto. Da quanto trapelato, sembra infatti radicarsi, fra i centonovantuno padri convocati, una sostanziale resa non tanto a specifiche richieste mondane ma, addirittura, alla generale mentalità mondana. L’idea cioè che la Chiesa debba fare i conti col mondo, a volte, mi pare quasi anticipi il fatto che la Chiesa, e soprattutto i suoi servitori, debbono fare i conti con Dio. Se così fosse, se l’impressione certamente approssimativa di un peccatore come miliardi di altri, fosse anche parzialmente vera, sarebbe un problema. E la ragione di questa problematicità è semplice: se il doveroso esercizio della misericordia celasse la tentazione di piacere al mondo, di camuffare i peccati in sciocchezzuole da poco, la misericordia si tradurrebbe presto in un lasciapassare che renderebbe meno desiderabile non solo la misericordia, ma lo stesso Vangelo.
Se infatti si assottigliasse sempre più la differenza fra ciò che è cristiano e ciò che non lo è, perché rimanere nella fede? Se la condotta di chi cerca, sia pure fra errori ed infedeltà, di conformarsi agli insegnamenti di Gesù e quella di chi non si perita d’essersi già conformato a quelli del mondo quasi si equivalessero, che ne sarebbe della verità e, ancor prima, della carità? La centralità di questi interrogativi non deriva dal confondere il Cristianesimo con un codice etico né dalla nostalgia per chissà quale rigore morale passato, bensì dal bisogno di una direzione necessaria e cristallina, in assenza della quale – ripeto – il Cristianesimo stesso perderebbe d’interesse divenendo purtroppo solo una delle tante proposte esistenziali possibili. La dimostrazione evangelica di questo aspetto, peraltro rintracciabile in più accadimenti, è che è vero: Gesù ha a cuore anzitutto i peccatori (cosa, per me, estremamente consolante), ma mai si congeda da loro senza prima una chiara, forte ed inequivocabile richiesta: «Non peccare più».
In nessun caso, cioè, Gesù ha addolcito le sue parole. Neppure quando questo gli costava incomprensione. Lo si racconta bene nel Vangelo di Giovanni, che riferisce come «molti discepoli, dopo aver udito» quello che Gesù aveva predicato loro, «dissero:”Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?”» (Gv, 6:60). Sono le stesse lamentele che non pochi fedeli ed anche diversi non cattolici esprimono oggi nei confronti dell’insegnamento della Chiesa, giudicato troppo rigido: «Chi può ascoltarlo?». L’aspetto notevole è che la difficoltà di aderire al Cristianesimo veniva accusata da persone che, a differenza nostra, avevano a che fare direttamente con Gesù. Eppure neanche a Lui – il Figlio di Dio in persona, che certo non difettava di misericordia – furono risparmiate critiche: «Questo parlare è duro», si sentì dire. Critiche dinnanzi alle quali Gesù non solo ha vinto la tentazione di provare a piacere di più, ma ha rilanciato: «Perciò Gesù disse ai dodici: “Non volete andarvene anche voi?”» (Gv, 6:67).
Il punto allora è: come mai, di fronte ad un mondo che chiede novità alla Chiesa, non si sente rispondere – o si sente appena sussurrare – con quella domanda: «Non volete andarvene anche voi»? E’ la tentazione di piacere? Chissà. Intanto, non so voi, sarà solo un mio pensiero, ma a me seguire Gesù costa. E tanto. Mi costa sacrifici, impegno e soprattutto la ricorrente consapevolezza – non proprio esaltante, lo assicuro – di non essere vicino a Dio pur essendo lontano dal mondo, di rischiare di vivere da randagio, a metà strada, spaesato. Però non baratterei il percorso per nulla al mondo perché, mettendomi davanti ai miei enormi limiti, la Chiesa mi offre un perdono fantastico e totale che però non cercherei, se mi credessi già a posto. Sono stato vestito e sfamato e abbracciato perché sapevo – perché mi è stato detto – di essere nudo, malnutrito e solo. Se la Chiesa che mi ha finora accolto avesse, per paura di offendermi, tentato di dirmi che la mia nudità e il mio appetito e la mia solitudine erano illusioni ottiche, non avrei cercato – e non continuerei a cercare – quel Pane così buono. E mi perderei il meglio.
giulianoguzzo.com
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2014/10/la-tentazione-di-piacere/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-tentazione-di-piacere
è volontà del vero cristiano cercare Gesù x riscattarsi dalla vita di peccato x guadagnarsi un posto in paradiso......la ricompensa del peccato è l'inferno...... se passano queste aperture non seguiamoli.....
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