ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 15 ottobre 2014

Contro la “Relatio”


Omosessualità. Contro la “Relatio” anche san Paolo dice la sua. E anche l’ISTAT


forte




La coincidenza sarà casuale, ma lunedì 13 ottobre, proprio nello stesso giorno in cui nell’arena politica italiana sia il partito di Matteo Renzi sia quello di Silvio Berlusconi hanno annunciato di voler legittimare le unioni omosessuali, sull’altra sponda del Tevere il segretario speciale del sinodo sulla famiglia, l’arcivescovo Bruno Forte, ha detto di auspicare anche lui la stessa cosa, perché “è una questione di civiltà”.
Forte è l’autore dei tre esplosivi paragrafi sugli omosessuali della “Relatio post disceptationem“, che invano la segreteria generale del sinodo ha poi tentato di derubricare a mero “documento di lavoro”, privo di qualsiasi valore magisteriale.

Nell’aula del sinodo e poi nei dieci circoli linguistici in cui i padri sinodali hanno proseguito il confronto c’è stata una vera e propria sollevazione contro questi tre paragrafi, ma niente più poteva cancellarne l’impatto sull’opinione pubblica di tutto il mondo. Se queste sono le tesi su cui il sinodo sta “lavorando”, ciò vuol dire che esse hanno ormai piena cittadinanza ai vertici della Chiesa.
In attesa di vedere come si svilupperà su questo punto la discussione e come la “Relatio” finale ne tirerà le somme, si può intanto osservare come sull’omosessualità il “partito” sinodale favorevole al cambiamento adotti lo stesso metodo messo in atto per la comunione ai divorziati risposati: quello di far leva sul “caso umano” di una realtà statisticamente ultraminoritaria per arrivare però a innovazioni di dimensione generale.
Il ragionamento degli ecclesiastici che spingono a una revisione radicale dell’insegnamento della Chiesa in materia di omosessualità dà per presupposto che il fenomeno delle coppie dello stesso sesso, con i relativi figli, sia di grandi dimensioni e cresca in modo irresistibile, come un “segno dei tempi” ai quali la Chiesa non può più negare accoglienza e riconoscimento positivo.
Ma se si guarda alle cifre reali, le cose sono molto diverse. Prendiamo l’Italia. Nell’ultimo censimento effettuato dall’ISTAT, quello del 2011, le coppie formate da un uomo e una donna, con o senza figli, sono risultate essere circa 14 milioni, mentre le famiglie monogenitoriali, con un solo genitore, sono risultate essere 2 milioni e mezzo.
E quante sono invece le coppie formate da persone dello stesso sesso? 7.591, cioè lo 0,05 per cento del totale delle coppie censite.
In altre parole, le coppie eterosessuali sono in Italia il 99,95 per cento del totale. Certo, l’ISTAT fa notare che “molte” persone omosessuali preferiscono non denunciare la loro situazione. Ma se solo si volesse far scendere la quota delle coppie eterosessuali al 99 per cento netto, si vedrebbe subito che i conti comunque non tornano: le coppie omosessuali dovrebbero essere, in questo caso, almeno 150 mila, cioè venti volte di più di quelle effettivamente rilevate.
E quanti sono i figli delle coppie dello stesso sesso? Appena 529, uno ogni quattordici coppie censite, duecento volte meno di quei mitici 100 mila figli propagandati dalle organizzazioni a sostegno del “matrimonio” omosessuale.
Bontà sua, la “Relatio post disceptationem” esclude l’accettazione del “matrimonio” omosessuale. Ma non alza obiezioni contro le “unioni fra persone dello stesso sesso”.
Ecco qui di seguito, come promemoria, i tre paragrafi della “Relatio” raggruppati sotto il titolo “Accogliere le persone omosessuali”:
“50. Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?
“51. La questione omosessuale ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale: si presenta quindi come un’importante sfida educativa. La Chiesa peraltro afferma che le unioni fra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna. Non è nemmeno accettabile che si vogliano esercitare pressioni sull’atteggiamento dei pastori o che organismi internazionali condizionino aiuti finanziari all’introduzione di normative ispirate all’ideologia del gender.
“52. Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partner. Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli”.
Mentre queste altre – sempre come promemoria – sono le terribili parole di san Paolo sull’omosessualità, nel capitolo 1 della lettera ai Romani:
“In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia… Essi sono inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa… Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa”.

Nel Cenacolo del Beato Angelico una lezione su eucaristia e matrimonio


beatoangelico
Per ciò che ha scritto nel post precedente contro la comunione ai divorziati risposati suor Gloria Riva ha ricevuto un buon numero di obiezioni. Alle quali risponde così.
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L’AFFRESCO del Beato Anglico meriterebbe molto più spazio per essere commentato. Io ho scritto un libro sul Convento di San Marco  Firenze che, pur non essendo un indagine critica sugli affreschi, affronta in modo più completo le diverse simbologie. In questo i nostri lettori hanno ragione, ed interrogarsi è pur sempre segno di grande attenzione, quindi li ringrazio.
Il loro argomentare però, ahimè, mi rende ragione della lontananza che ormai abbiamo con la mentalità simbolica medioevale e alcune delle obiezioni che sono sorte in merito all’affresco del Beato Angelico i contemporanei più sprovveduti dello stesso artista non se le sarebbero nemmeno poste.
Anzitutto, nel grande e ben orchestrato complesso degli affreschi del Convento di San Marco è presente un progetto preciso che si accorda con la millenaria tradizione monastica, la quale si avvale – all’interno dei suoi metodi formativi – anche degli “exempla”, cioè di modelli e immagini che richiamino i monaci ai loro doveri.
Un secondo fatto importate è che i simboli hanno sempre avuto una doppia valenza (a partire dallo stesso testo biblico). L’esempio più efficace potrebbe essere la parentela tra serpente infuocato (quelli del deserto incontrati dal popolo e da Mosè) e il serafino (che sempre essere infuocato è): il primo con valenza totalmente negativa – quasi diabolica – l’altro con valenza totalmente positiva.
Allo stesso modo nella pittura dell’Angelico la postura come i colori degli abiti hanno una valenza grande e un linguaggio chiaro.
Nell’affresco della cella n. 35, la Madonna non si trova dallo stesso lato degli altri quattro commensali che sono in attesa di ricevere la comunione. Le vesti della Vergine sono poi identiche a quelle del Cristo perché, come diceva già Tertulliano, “caro Christi caro Mariae”.
Altro quindi è lo stare dall’altra parte della mensa per la Madonna, altro è lo stare dall’altra parte della mensa per Giuda. Se lo stare in ginocchio dall’altra parte della mensa avesse il medesimo significato simbolico come spieghiamo che la Madonna è in ginocchio e dall’altra parte della mensa come Giuda? Evidentemente l’Angelico che era tutt’altro che disinformato in ambito teologico ha voluto dare un’altra ragione.
Tra i commensali seduti a mensa sul lato sinistro dell’affresco, il primo, san Giovanni, sta con le mani levate, invitando quasi a meditare sul mistero qui celebrato: il Verbo in Cristo si è fatto carne, ma nel sacramento si è fatto cosa, “res”, per dirla con san Tommaso che alla cultura dell’Angelico non era certo estraneo.
Un secondo apostolo accanto a lui (variamente interpretato ma nel quale potremmo riconoscere Andrea o lo stesso Pietro) volgendosi verso Giovanni guarda però la Vergine, grazie a cui abbiamo la certezza dell’incarnazione: Cristo fu vero uomo. Per questo la Madonna e Cristo hanno lo stesso colore negli stessi abiti: perché appunto la carne di Cristo è la carne di Maria. Ora Cristo dandoci la sua carne nel sacramento, ci dà appunto – come scrivevo nell’articolo – una iniezione di eternità. La sua carne è entrata nell’eternità, la sua carne – che è la nostra carne – è stata assunta dal Verbo perciò tutto ciò che è stato assunto è stato redento.
Ma per partecipare di questa carne è necessario l’incontro con Cristo e l’adesione a lui. Maria allora è l’”exemplum” non di chi ha peccato ma – esattamente il contrario – di chi ha seguito Cristo come perfetto discepolo. Scrisse infatti sant’Agostino che la Madonna è grande non per essere stata Madre del Signore (quello è un privilegio che le è stato concesso) ma perché è stata discepola del Signore. Ella concepì prima nelle orecchie che nel grembo.
Quindi la Madonna è in ginocchio nel segno forte dell’adorazione: “ad os”, portare la mano alla bocca e baciare. Ella sta bocca a bocca con quel sacramento perché è stata con l’orecchio teso verso quel Signore che il sacramento cela.
Dall’altra parte invece ci sono gli apostoli che anelano a questo, che sono – potremmo dire – alla sua scuola. Una scuola anzitutto di umiltà che è verità. Lo stare in ginocchio come seduti per terra esprimeva nel Medioevo anche l’umiltà in quanto verità, l’essere “humus”, terra, quindi riconoscere pienamente la propria creaturalità: ha guardato all’umiltà della sua serva. è evidente allora che una è la verità della Vergine e altra quella degli apostoli o di Giuda.
L’indegnità poi degli apostoli di ricevere i sacramenti l’ha palesata chiaramente l’evangelista Giovanni il quale, non parla della istituzione dell’eucaristia bensì della lavanda dei piedi. Cristo lascia intendere che è necessario che egli ci lavi i piedi, perché non tutti siamo mondi.
Nelle predicazioni del tempo dell’Angelico il sacramento della confessione e il sacramento dell’eucaristia erano strettamente legati, non c’era l’uno senza l’altro. Da qui lo stare in ginocchio viene inteso come disposizione al pentimento, condizione necessaria per essere in grazia di Dio (anche per chi si confessa). Certamente anche gli apostoli dovevano avere questa disposizione, pena la sorte di Giuda, la cui colpa non fu il tradimento (giacché in diverso modo e misura tradirono anche gli altri apostoli compreso Pietro) ma disperare della salvezza e non disporsi al pentimento.
Possiamo negare che l’Angelico guardasse così al sacramento? O vogliamo leggere le opere del XV secolo con la mentalità del “cattolico” post moderno (e le virgolette non sono casuali)?
Dire per esempio (come mi è stato scritto) che “la presenza in ginocchio della donna nel cenacolo” indicherebbe che è “anch’essa investita del potere di celebrare l’eucaristia” dal momento che “ai presenti, donna compresa, è stato detto ‘fate questo in memoria di me’” non sarebbe far dire all’Angelico quello che non avrebbe nemmeno potuto pensare o immaginare?
In realtà l’Angelico fu ardito nel collocare Maria nel cenacolo, perché ancora ai suoi tempi si discuteva se la donna avesse o no un’anima. E anche la donna più donna, la Madonna appunto, non veniva facilmente accostata all’altare o al mistero dell’eucaristia, amministrato solamente da uomini. Quello dell’Angelico fu uno sguardo contemplativo e teologico già innovatore ma non nel senso di un sacerdozio offerto alle donne come lo si è inteso nella sopracitata citazione. Questo sarebbe obiettivamente fuorviante.
Qualcun altro ha attributo agli sgabelli vuoti e agli apostoli inginocchiati una funzione puramente estetica perché “quale sarebbe stato l’effetto prospettico di avere tutte le figure in piedi schiacciati sulla parete, oppure avanti coprendo alcune delle figure retrostanti?”.
Forse potremmo credere che accingendosi a un compito così grande l’Angelico non conoscesse Giotto? o Duccio da Boninsegna nella vicina Siena, dove la problematica era stata risolta benissimo e senza alcun imbarazzo? E che dire allora dello stesso soggetto realizzato dall’Angelico negli Armadi degli Argenti dove la prospettiva è totalmente diversa (ma dove gli sgabelli vuoti ci sono ugualmente anche se non ce n’era un bisogno specifico dal punto di vista compositivo)?
Mi sembra che una posizione simile banalizzi un autore che ha voluto insegnare con la sua arte al monaco la verità dei suoi gesti quotidiani e la profondità di sentimenti da coltivare rispetto all’opera di salvezza del Salvatore, fra cui l’assillo per coloro che non potevano accostarsi alla mensa del Signore, la vita offerta per le anime, la riparazione per le comunioni sacrileghe (delle quali si parlava eccome al tempo dell’Angelico).
Oltre a tutto, collocare Giuda assieme ad altri apostoli era una costante in opere che facessero riferimento alla tradizione domenicana ed era in aperto contrasto con altre tradizioni religiose e correnti teologiche. Giuda, per la tradizione domenicana, non era un predestinato, uno scelto per un compito necessario del quale tutto era già scritto, e dunque non era mai raffigurato isolato e solo dall’altra parte della tavola alla maniera, ad esempio, di un Perugino. Era piuttosto inserito nel gruppo degli altri apostoli per sottolineare il libero arbitrio, l’assoluta libertà di Giuda nei confronti di Cristo dove, anche a fronte del gesto estremo del tradimento, aveva ancora la libertà e l’opportunità di pentirsi per essere salvato.
Un’analoga collocazione la adottò più tardi Leonardo da Vinci nel suo famoso Cenacolo – sempre dentro a un convento domenicano – dove Giuda abbassa la testa sottraendosi volontariamente dalla linea prospettica dello sguardo di misericordia del Salvatore. E a proposito di quest’opera mi domando perché certe domande non furono sollevate dai più quando, all’uscita di una certa interpretazione della Cena vinciana da parte di Dan Brown, si dedussero cose del tutto incompatibili con l’ambiente storico e culturale di Leonardo. Forse perché tutto sommato Dan Brown diceva cose appetibili e più in linea con una certa mentalità cara a questo nostro tempo.
Anch’io sono stata educata con il catechismo di Pio X e mi hanno insegnato a trattare con coscienza il sacramento dell’eucaristia, eppure anch’io non ho rispettato talora certi insegnamenti, essendomi lasciata affascinare in passato da altro genere di teorie e teologie, perciò non trovo strano che le persone sposate o le fidanzate e le consacrate e i consacrati e i preti stessi abbiano bisogno di confessarsi prima di ricevere il sacramento. Del resto, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, direbbe ancora oggi Gesù. Ma la mia annotazione, in ogni caso, era riferita implicitamente a quanti affermano che sono tanti i fidanzati che vivono una sessualità identica agli sposati e non per questo si astengono dal fare la comunione, oppure sono tanti gli sposati che cadono in adulterio eppure fanno la comunione e, allora, perché negarla a quanti vivono situazioni irregolari? Questi fanno alla luce del sole quello che altri fanno di nascosto (e questo, secondo alcuni, basterebbe per risanarli).
In realtà bisognerebbe rieducare a una confessione più frequente, intanto perché il peccato contro il sesto comandamento non è l’unico peccato, ce ne sono altri ben più gravi, e poi perché ciò che la Chiesa deve avere a cuore è la formazione della coscienza, tanto che cade in una implicita auto-scomunica chi vive stabilmente e pubblicamente una condizione che, in coscienza, non dovrebbe essere ammissibile per un cristiano.
Con tutto ciò credo – e lo ribadivo anche nel mio articolo – che sia necessario prendere in considerazione a livello del magistero le tante situazioni irregolari e operare un discernimento su come risanare una così grande falla del fatto cristiano nella famiglia. Il liberalizzare però non è mai stato un rimedio, non lo è stato nell’aborto, non lo è stato con il divorzio, e non lo sarà nemmeno con una ammissione dei divorziati risposati e affini alla comunione.

3 commenti:

  1. governo mondiale.....religione mondiale.....rovina totale Signore salvaci!

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  2. Sono convinto sempre di più che la Vera Chiesa Cattolica e Apostolica è composta solo dai Sacerdoti che celebrano la Santa Messa Tradizionale di sempre (Vetus Ordo).
    Io penso che al povero Padre Pio quando i modernisti massoni l'hanno obbligato a concelebrare la nuova messa nel 1968 ( ultima messa di Padre Pio), Dio gli ha tolto le stimmate per dimostrare che quel sacrificio a Lui non era gradito.
    Su youtube è presente il filmato di questa messa.( da notare la sofferenza del povero Padre Pio la quale non è dovuta soltanto alla sua malattia, ma soprattutto al martirio spirituale di partecipare a una messa non cattolica).

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  3. il veleno del modernismo ha ottenebrato le menti....preghiamo il Signore che rinnovi nel clero la grazia del sacerdozio amen!

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