ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 28 ottobre 2014

La scomunica ridicola del vescovo superficiale

Dopo aver letto questa “Notificazione” (che si trova sul sito della diocesi di Albano) siamo rimasti a chiederci cosa mai essa potesse significare, e dopo un po’ di riflessione siamo giunti alla conclusione che significa un bel niente.
Eppure l’ha scritta un vescovo, un vescovo di Santa Romana Chiesa di cui si legge nel sito della sua diocesi: Segretario del Consiglio dei Cardinali per l’aiuto al Santo Padre nel governo della Chiesa Universale; Presidente della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, l’Annuncio e la Catechesi, della CEI; Vescovo Delegato CEL per la Dottrina della Fede, Annuncio e Catechesi.
Insomma, un vescovo di un certo peso… si suppone.


Ora, precisiamo subito che noi non scriviamo per difendere la Fraternità San Pio X, che sa farlo benissimo da sola e senz’altro molto meglio di noi; scriviamo perché essendo tra i fedeli che ritengono di far parte della Fraternità, ci sentiamo toccati in prima persona, per fatto personale, come si usa dire, visto che dal momento che chiediamo e riceviamo i sacramenti dai sacerdoti della Fraternità, secondo Mons. Semeraro avremmo rotto la comunione con la Chiesa cattolica.

Ovviamente si potrebbe obiettare che Mons. Semeraro ha giurisdizione solo nella sua diocesi e sui fedeli che fanno parte di essa, così che la cosa non riguarderebbe noi che facciamo parte di un’altra diocesi, ma ciò che conta è il principio disciplinare, per cui, non essendo la Fraternità un’istituzione della Chiesa cattolica, come pretende Mons. Semeraro, ed esercitando i suoi sacerdoti e i suoi vescovi un ministero illegittimo, ne deriverebbe che i fedeli cattolici, come noi, ovunque si trovino, non possano partecipare alla Messa, né richiedere o/e ricevere sacramenti dalla o nella Fraternità.

La prima cosa che si nota, gravissima, è che Mons. Semeraro, nonostante sia un vescovo, si muove in una confusione incredibile tra i canoni del Diritto Canonico, i “motu proprio” di Benedetto XVI e le sue vedute personali. Una confusione che lo porta ad affermare delle clamorose contraddizioni.
Benedetto XVI, nei suoi “motu proprio” ha ribadito che i ministri della Fraternità “non esercitano” e “non possono esercitare alcun ministero” in modo legittimo “nella Chiesa”.
Ora, chiunque conosca la lingua italiana e abbia un minimo di dimestichezza con il diritto, canonico e no, comprende chiaramente che:
primo, poiché il Papa esercita la sua giurisdizione sulla Fraternità, essa fa parte della Chiesa cattolica, contrariamente a quanto afferma con colpevole superficialità Mons. Semeraro;
secondo, che la Fraternità è “nella Chiesa” e quindi i suoi ministri esercitano il loro ministero sacerdotale “nella Chiesa”;
terzo, che non è mai esistito alcun documento che scomunica i sacerdoti della Fraternità o dichiara che essa è fuori dalla comunione ecclesiale;
quarto, che la vecchia e illegittima scomunica dei vescovi della Fraternità non è più in vigore ed operante;
quinto, che di conseguenza i fedeli cattolici sono liberi di partecipare alla Messa celebrata dai sacerdoti della Fraternità e di chiedere e/o ricevere da essi i sacramenti;
sesto, che nessun vescovo può arrogarsi il diritto di esercitare la sua giurisdizione in contraddizione con quanto constatato prima;
settimo, che nessun vescovo può esercitare la sua giurisdizione sui fedeli della sua diocesi in maniera generalizzata e a prescindere dalle loro colpe canoniche personali.

A queste nostre osservazioni a caldo, bisogna aggiungere che, già al tempo in cui erano ancora in vigore le illegittime scomuniche, la Pontificia Commissione Ecclesia Dei affrontò questa stessa questione e l’allora Segretario, Mons. Camillo Perl, già nel 2003, assicurava che si poteva assistere alla Messa celebrata nelle cappelle della Fraternità e addirittura si poteva lecitamente contribuire alla questua.

Da tutto questo deriva che questa “Notificazione” è senza fondamento, senza serietà e senza cura pastorale e, pur essendo firmata da un vescovo, è di fatto nulla e contraria al diritto della Chiesa. Tale che nessun fedele della diocesi di Albano è tenuto a rispettarla, né ha l’obbligo di confessare un peccato che non è tale e che quindi non ha potuto neanche commettere.

Il fatto che il vescovo abbia potuto concepire una simile “Notificazione” sta a significare che i moderni vescovi cattolici trattano la religione e la cura d’anime in maniera del tutto superficiale, come se si trattasse di esprimere una mera opinione personale sul gusto del caffè del mattino, e del tutto dimentichi che essi sono i successori degli Apostoli e gli esecutori della volontà di Nostro Signore, e non i dispensatori della loro personale volontà.

L’unica cosa che in questa “Notificazione” ha un qualche fondamento è l’affermazione tratta dai “motu proprio” di Benedetto XVI, secondo cui i ministri della Fraternità eserciterebbero il loro ministero sacerdotale, “nella Chiesa”, in maniera illegittima.
La cosa richiederebbe una lunga trattazione canonica e quindi qui ci limitiamo a far notare due cose:
prima, che neanche il Papa può giuocare con la vita spirituale dei fedeli e sostenere che i ministri della Fraternità sono cattolici e amministrano validamente i sacramenti cattolici e tuttavia lo fanno, da cattolici, in maniera illegittima. Un fedele che si comunica ad una Messa della Fraternità, secondo il Papa, riceverebbe un vero sacramento, ma lo riceverebbe in maniera illegittima: come dire che è un vero seguace di Cristo, ma insieme non lo è. Si tratta semplicemente della nota contraddizione religiosa che imperversa a partire dal Vaticano II.
Seconda, se la Fraternità e i suoi ministri non sono cattolici, il Papa ha il dovere di dirlo, ma non può confondere i fedeli affermando che sono cattolici, che non c’è più la scomunica, e tuttavia è come se questa ci fosse e come se quei ministri non fossero cattolici. Questo sarà pure un cavillo canonico, ma non è una cosa seria in termini di cura d’anime.

E la cosa assume i connotati del grottesco quando si vede lo stesso Papa partecipare alla communicatio in sacris con ministri tuttora scomunicati dalla Chiesa e poi affermare, con solennità documentale, che il ministero valido dei ministri validi della Fraternità che non è scomunicata, e che quindi è in comunione con la Chiesa cattolica, sarebbe “illecito”.
Un fedele cattolico che non ha fatto tutti gli studi teologici e canonici del Papa, come farà a regolarsi per non sentirsi in colpa?

La verità è che papa Ratzinger, da buon “perito conciliare”, ha voluto sancire che la Fraternità non è fuori dalla Chiesa, ma che per intanto, non essendo disposta ad abbracciare tutti gli equivoci e le eterodossie del Vaticano II, resta in stato di quarantena, come fosse un’appestata a cui i fedeli è meglio che non si accostino per non restarne infettati.
Detta in altri termini, papa Ratzinger ha voluto sancire che si può essere cattolici e seguaci di Cristo, ma fino a quando non si entri in possesso di un pezzo di carta rilasciato dal Vaticano, non si sarebbe né cattolici, né seguaci di Cristo. 
Se non fosse ridicolo, sarebbe blasfemo.
Non è il Papa che stabilisce l’ortodossia dei cattolici, ma è l’ortodossia cattolica che impone al Papa di “pascere le pecorelle del Signore”, e non come vuole il Papa, ma come vuole Nostro Signore. 

Per essere esatti, è vero che non deve trascurarsi l’importanza della potestà di governo del Papa, e che quindi le leggi della Chiesa devono essere rispettate, ma esse non servono a “fare” i cattolici, bensì a “servire” i cattolici. Per di più, lo ribadiamo ancora una volta, non è il Codice di Diritto Canonico che determina la dottrina e l’ortodossia, ma è la dottrina e l’ortodossia che fa scaturire da sé il Diritto Canonico.
Diversamente, sarebbe come dire che non è dal Vangelo che derivano le leggi della Chiesa, ma, assurdamente, è dalle leggi della Chiesa che deriverebbe il Vangelo.

Ora, fino a quando il Papa non sancirà in maniera certa e immutabile che il Vaticano II è pari al Vangelo, e non solo riconducibile ad esso per “ermeneutica” meramente umana, nessuno può essere chiamato fuori dalla Chiesa per non voler aderire agli equivoci e alle eterodossie prodotte da quell’infelice assise di vescovi:né il semplice fedele, né, a più forte ragione, una istituzione ecclesiale che è cattolica per implicita ed esplicita ammissione dello stesso Papa, come la Fraternità San Pio X.
Ed è inutile continuare a giuocare con l’intelligenza dei fedeli, ripetendo a destra e a manca che la Fraternità San Pio X non sarebbe in “piena comunione” con il Papa, perché anche questa è una storiella che andrà pure bene come espediente pubblicitario, ma non ha alcun fondamento logico, né alcun fondamento canonico:la comunione c’è o non c’è. Nessuna persona sana di mente potrebbe affermare seriamente che possa esserci la comunione, ma che questa possa essere non pienaSe la comunione non è piena è vuota, per dirla con una battuta provocatoria, e quindi non esiste, e quindi non c’è.Se la Fraternità San Pio X è fuori dalla comunione con la Chiesa cattolica, lo si dica, e lo si dica seriamente e senza distinguo; se invece essa non è fuori dalla comunione con la Chiesa cattolica, la si smetta di usare falsi distinguo e si ponga fine a questa farsa che dura da troppo tempo.

Visto come stanno le cose, e visto che la Fraternità San Pio X non è mai stata dichiarata “non cattolica”, tranne che in questa risibile “Notificazione”, e che anzi è stato continuamente ribadito, in vario modo dallo stesso Papa, che è validamente cattolica, forse è giunto il momento che i fedeli in generale e i sacerdoti e vescovi della Fraternità in particolare, la smettano di favoleggiare di superflui e capziosi “pezzi di carta” e si limitino a vivere da cattolici, non tenendo in alcun conto i cavilli canonici inventati dal Vaticano attuale che è accecato dalla nebbia venefica del Vaticano II.
La domanda che poniamo, soprattutto ai vescovi della Fraternità, è la seguente: in questi 40 anni di esercizio del loro ministero, tutti i fedeli che hanno usufruito dei sacramenti da essi amministrati, sono andati e vanno all’Inferno oppure no?
Se vanno all’Inferno, questi vescovi abbiano la decenza di sciogliere la Fraternità e di smetterla di ingannare tante anime; se non vanno all’Inferno, questi vescovi hanno il dovere di continuare sulla stessa strada seguita finora, senza inseguire i sogni più o meno personali di un qualche “riconoscimento” che, come non è servito in questi 40 anni, continuerà a non servire per gli anni a venire, fino a quando Dio vorrà. 
Tutto il resto è accademia atta a soddisfare i conati di autocompiacimento di qualcuno, i quali, in quanto tali, non solo sono molto poco cattolici, ma possono solo arrecare confusione e divisione, in perfetta linea con la mefiticità del mondo moderno e del Vaticano II. 

di Belvecchio


  
Fraternità San Pio X, Mons. Semeraro,Ecclesia Dei
ed altro


Apprendiamo da questo sito, dell’iniziativa del vescovo di Albano Laziale, Mons. Semeraro, di “bastonare” il fedele che ama recarsi presso la Fraternità San Pio X, per assistere al Sacrificio di Cristo, secondo il Rito Tridentino.

Premettiamo: non scrive un frequentatore della FSSPX.

Per chi non lo sapesse, mettiamo al corrente degli incarichi assegnati a Sua Eccellenza:
-    Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis del Monastero Esarchico di Santa Maria di Grottaferrata (4 novembre 2013);
-    Segretario del Consiglio dei Cardinali per l'aiuto al Santo Padre nel governo della Chiesa Universale (Chirografo di papa Francesco del 28 settembre 2013);
-    Membro della Congregazione delle cause dei santi (31 gennaio 2009);
-    Nell'ambito della Conferenza Episcopale Italiana è Presidente della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, l'Annuncio e la Catechesi dal 25 maggio 2010 per il quinquennio 2010-2015;
-    Membro del Consiglio Permanente della C.E.I. per lo stesso quinquennio;
-    Vescovo Delegato CEL per la Dottrina della Fede, Annuncio e Catechesi (2011).
-    Presidente del Consiglio d'Amministrazione di Avvenire dal 5 maggio 2007 e riconfermato il 14 maggio 2013 per un altro triennio.

Ebbene, dal punto di vista strettamente teologico, riteniamo che una irregolarità canonica (quella di cui è accusata la menzionata FSSPX) non coincida con una situazione di scisma, quello che invece sembra essere l’effetto paventato della frequentazione di tale irregolare Fraternità.

San Tommaso definisce lo scisma come “scissura degli animi”, contraria all’unione della carità, che unisce tutta la Chiesa nell’unità dello Spirito, unità considerata in ordine al suo Capo, che è Cristo, di cui il Papa è Vicario. Parafrasando, nella rottura scismatica non si ravvisa la volontà di permanere nell’unione di carità con il Sommo Pontefice; brutalmente, così come avvenne nel caso dello Scisma d’Oriente del 1054, viene messa in discussione la medesima Autorità Papale, il suo indispensabile collegamento con la Fede Cattolica ed il suo fondamento scritturistico: gli Ortodossi tolsero dalla Divina Liturgia la preghiera specifica per il Vescovo di Roma, Papa della Chiesa e ne giustificarono l’eliminazione argomentandone l’insussistenza dottrinale. A fortiori il discorso potrebbe farsi per tutta la Riforma.

Una irregolarità canonica (ecclesiastica), espressione utilizzata in particolare quale presupposto per la legittima ricezione dell’Ordine sacro, non è di per sé né una pena né una censura, ma costituisce un impedimento canonico perpetuo, che, appunto, vieta anzitutto la recezione dell’ordine sacro, e l’uso di esso…

Tale irregolarità può essere ex defectu oppure ex delicto; il caso della Fraternità rientrerebbe nella seconda ipotesi e vi rientrerebbe proprio per via dell’accusa di scisma, a proposito del quale, tuttavia, possiamo con certezza affermare, in particolare dopo la remissione delle scomuniche, l’inconsistenza. Infatti, non essendo più scomunicati, i Vescovi della Fraternità sono necessariamente “comunicati”, cioè considerati in comunione con Roma.
Il mancato inquadramento canonico della medesima FSSPX a questo punto si riduce alla non individuazione della fattispecie giuridica, prevista dal diritto canonico, dentro la quale collocare tale ordine e non già quindi all’impossibilità di esercitare il sacerdozio, proprio perché non v’è scisma né eresia né apostasia.
Non basta infatti che si scriva della mera irregolarità della Fraternità, la quale – si badi bene!! -  non è stata mai scomunicata. E non è sufficiente neppure a motivare lo scisma sul fatto che le “…questioni dottrinali, ovviamente rimangono e, finché non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero”; anche qui infatti non si parla di scisma, ma di irregolarità e ci si domanda inoltre quali siano tali questioni dottrinali, dal momento che, strictosensu, la scomunica non ha avuto luogo per le supposte questioni dottrinali.
È stata la decisione di conferire l’Ordine episcopale, da parte di mons. Lefebvre, a determinare tale provvedimento. (Sull’argomento non ci possiamo dilungare, si porge però all’attenzione del lettore lo studioqui pubblicato, nel quale si dimostra che in realtà, canonicamente parlando, neppure v’è stata vera scomunica).

Ma andiamo avanti, precisando che le considerazioni sopra esposte non costituiscono elucubrazioni personali di chi scrive, ma si fondano niente meno che sulla presa d’atto di un documento ufficiale della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei che il vescovo di Albano Laziale sembra aver dimenticato.

Ci domandiamo: è canonicamente regolare la pronuncia di un vescovo di segno diametralmente opposto a quello di una Commissione Pontificia istituita ad hoc su una materia?
Ma, a parte l’ironia sottile che potremmo evincere da questa ambigua situazione, che ci obbligherebbe ad essere “strabici”, vorremmo sapere perché ci vediamo costretti a subire gli incontri ecumenici promossi dalla medesima diocesi di Mons. Semeraro ed invece ad evitare come la peste la menzionata FSSPX.

Traiamo dal sito ufficiale della Diocesi, il seguente programma; incontri presieduti da Mons. Marcello Semeraro:
-    Venerdì 31 ottobre: La radice ebraica e biblica del cammino ecumenico (don Giuseppe SORANI, della Comm. Ecum. Dioc. di Roma)
-    Venerdì 7 novembre: La radice comunionale-sinodale del cammino ecumenico (Padre Marius DUMBRAVA, parroco ortodosso romeno di Ciampino).
-    Venerdì 14 novembre: la radice e la finalità missionaria del cammino ecumenico (Gabriela LIO, vicepresidente della FCEI).
-    Venerdì 21 novembre, 50° anniversario della Unitatis Redintegratio: Il rinnovato impegno della Chiesa Cattolica per la ricerca della piena Unità dei Cristiani dall’Unitatis Redintegratio alla Evangelii Gaudium (Padre Michel VAN PARYS, abate del Monastero di S. Nilo a Grottaferrata).

La domanda, forse un po’ polemica, ci scusino i lettori, è la seguente:
perché accanirsi tanto contro la Tradizione (o contro coloro che sembra vogliano difenderla o comunque conferirle la giusta importanza), quando si sciorinano tante e tali aperture ecumeniche a destra e a manca? 

Ci si spieghi perché è possibile mettere a disposizione intere Chiese cattoliche (parliamo degli edifici consacrati) a favore di cristiani “non in comunione” con la Chiesa Cattolica (a Genzano di Roma, nella medesima Diocesi di Albano, per esempio, la ex chiesa del convento dei Francescani, è stata data in uso agli Ortodossi) e poi accanirsi con coloro che frequentano la S. Messa presso la FSSPX?
Perché, attenzione! Non si colpisce in questo modo la medesima Fraternità; il destinatario primo di tale imposizione è il fedele stesso; e questo, alla luce della cosiddetta “liberalizzazione della Messa antica”, sembra quantomeno paradossale. Quindi estrosità assicurata: si può ascoltare senza rischi (secondo la Diocesi) il parroco ortodosso rumeno, parroco che non riconosce il Papa, la sua Autorità, il suo Magistero ecc…, e non si può sentire una predica di un sacerdote della FSSPX.
Ci si spieghi per favore!

Ma la Diocesi di Albano, forse inconsapevolmente (lo speriamo davvero!), tollera ben altro.
Nell’istituto dei Padri Somaschi hanno avuto luogo diversi incontri dei cosiddetti “omocristiani”. 
Di cosa si tratta?
Dell’alternativa gay all’insegnamento ufficiale della Chiesa proprio sugli “invertiti”.
Del resto, come sostenuto nel Sinodo, hanno molto da offrire! Infatti l’omosessualità non sarebbe condannata da Dio nella sua pratica, ma compresa e valorizzata per la salvezza!
Quello che credono questi omocristiani (così si autodefiniscono) lo si può trovare qui.

In estrema sintesi, occorre aprirsi “all’amore omosex” come ad un amore vero e non peccaminoso rispetto a quello eterosessuale.
Si dimentica un’ovvietà: l’amore eterosessuale è per natura (e fisiologicamente, in assenza di patologie) portato ad essere fruttifero, a moltiplicarsi, a generare la vita. Questo amore, che unisce la coppia nel matrimonio, è talmente grande da avere un effetto moltiplicatore. Come in Dio stesso, nel Cielo, dove l’amore del Padre aumenta l’amore delle creature, divinizzandole e facendole traboccare del suo amore e della sua vita, così – ferme le distanze! – l’amore della coppia diviene vita, destinata a Dio stesso, all’Eternità.
L’omosessualità, in questo contesto, non può avere altra ragion d’essere che la castità perfetta e la purezza di cuore.

Scorrendo ancora le pagine del suddetto forum, si deve ravvisare un’altra grande menzogna creduta e palesata da questi “omocristiani”: l’origine del loro stato/situazione si imputa al Creatore stesso. Tale falsità, mai provata scientificamente, è anzi sonoramente smentita da molti studiosi, tanto antichi quanto moderni (si veda per tutti: Joseph Nicolosi). Insomma questa “omocristianità” altro non sarebbe se non la versione biblica “politicamente corretta” ed epurata del cristianesimo moderno, privo di pregiudizi ed aperto a tutti e a tutto, compreso il peccato… salvo, sempre e comunque, alla santa Tradizione, unica vera acerrima nemica della “loro salvezza”.

Ebbene, mentre chiediamo che ci si perdoni la digressione ritenuta tuttavia necessaria, e tutto quanto considerato e valutato, dalle colonne di questo sito chiediamo a Mons. Semeraro, tanto zelante nell’avvisare dei pericoli incombenti nel frequentare la FSSPX, di:
-    Ammonire l’istituto dei Padri Comaschi sopramenzionato dal sostenere/ospitare in futuro incontri di tal fatta;
-    Ammonire i partecipanti che, al partecipare ad essi, si rischia di avallare il peccato capitale che grida vendetta al cospetto di Dio.

La Vergine Santissima interceda

di F. R.

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1008_F-R_FSSPX_Semeraro_altro.html


Cosa bolle in pentola tra Vaticano e tradizionalisti

I tradizionalisti rappresentano, da sempre, una “spina nel fianco” per ogni pontefice. E’ forse con Benedetto XVI, sensibile alla liturgia ed alla tradizione, che si è andati molto vicino ad un riavvicinamento tra il Vaticano e la Fraternità San Pio X, guidata da monsignor Fellay. Ma tutto è saltato con la sua rinuncia. Cosa succederà ora con Papa Francesco? Una bussola per districarsi nel labirinto delle relazioni tra i tradizionalisti ed il Vaticano è rappresentata dall’intervista rilasciata da monsignor Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei alla rivista francese “Famille chrétienne” in occasione del pellegrinaggio annuale del Populus Summorum Pontificum conclusosi con la messa celebrata in San Pietro dal cardinale americano Raymond Leo Burke.


L’ultimo incontro ad alto livello
L’ultimo incontro ad alto livello tra le due delegazioni si è svolto il 23 settembre 2013 quando monsignor Fellay ha incontrato il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Muller. Il comunicato rilasciato dalla Sala Stampa della Santa Sede lasciava aperte le possibilità di una futura riconciliazione. Si parlava, infatti, di un incontro svoltosi “in un clima di cordialità” nel corso del quale si è deciso di procedere per gradi “verso il superamento delle difficoltà e l’auspicato raggiungimento della piena riconciliazione”. Parole confermate dalla recente intervista di monsignor Pozzo, il quale ha dichiarato che le relazioni tra le parti in causa continuano “anche dopo l’elezione di Papa Francesco”. Sembrano quindi trovare sempre più fondamento le parole che il successore di Benedetto XVI avrebbe pronunciato tempo fa ad alcuni suoi collaboratori: “non condannerò i lefebvriani, né impedirò ad alcuno di andare da loro”.
Punti controversi
Ma quali sono le questioni che dividono Santa Sede e Fraternità San Pio X? Monsignor Pozzo ha chiarito che si tratta di questioni di due ordini diversi. Da un lato, infatti, vi sarebbero contrasti sulla “situazione pastorale-ecclesiale post conciliare” e più generalmente “nel contesto della modernità”. Dall’altro lato, poi, vi sarebbero anche questioni dottrinali specifiche “relative all’ecumenismo, al dialogo con le varie religioni e, in particolare, alla questione della libertà religiosa”. Lo spiraglio per una riconciliazione arriva, però, da una chiara affermazione di monsignor Pozzo: “le riserve o le posizioni della Fraternità su certi aspetti che non riguardano la fede ma che concernono i temi pastorali o di insegnamento prudente del Magistero non devono essere necessariamente ritirati o annullati dalla Fraternità”. Vale a dire, quindi, che purché non riguardino questioni dottrinali, le critiche verso la gerarchia ecclesiastica ed il suo modus operandi sono legittime e possono continuare.
Una prelatura personale per i fedeli
Quale la possibile soluzione per trovare un’intesa tra le parti? Secondo il Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei la soluzione dovrebbe essere quella di giungere alla creazione di una vera e propria Prelatura personale che “non solleverebbe obiezioni da parte della Fraternità San Pio X”. Si tratterebbe in pratica di una soluzione analoga a quella dell’Opus Dei, la cui “caratteristica principale sarebbe quella di non avere una circoscrizione territoriale, contrariamente alle diocesi, riconoscendo, tra l’altro, al prelato il diritto di erigere un seminario e di ordinare i seminaristi”. Si porrebbe poi il problema del rapporto con i vescovi diocesani, che ad oggi non è ancora stato affrontato e che secondo monsignor Pozzo andrebbe risolto “tramite accordi bilaterali con le varie diocesi”. Per il Segretario della commissione incaricata di negoziare con i lefebvriani, però, nulla esclude la possibilità che ad alcuni sacerdoti della Fraternità sia affidata la cura di alcune parrocchie al di fuori di quelle della Fraternità stessa.
Nessuna capitolazione per la Fraternità
Ma è forse una frase di monsignor Pozzo a tranquillizzare la Fraternità ed il mondo tradizionalista. Pozzo, infatti, è stato piuttosto chiaro: “non è vero che la Santa Sede intende imporre una capitolazione alla Fraternità San Pio X”. Al contrario, la invita “a ritrovarsi al suo fianco nello stesso quadro di principi dottrinali necessari per garantire una costante aderenza alla fede e alla dottrina cattolica del Magistero e della Tradizione”. Quali, però, i tempi di una possibile riconciliazione? Trapela, qui, una certa cautela: “non credo che ora possiamo indicare un termine preciso per la conclusione del cammino intrapreso. L’impegno da parte nostra è di procedere per fasi, senza scorciatoie improvvisate”. Con un unico obiettivo, ben illustrato da monsignor Pozzo: “promuovere l’unità nella carità della Chiesa universale guidata dal successore di Pietro”.



28 - 10 - 2014Fabrizio Anselmo
http://www.formiche.net/2014/10/28/sinodo-papa-burke/

 IL VESCOVO SEMERARO VA CONTRO PALESEMENTE L'INIZIATIVA DI PAPA FRANCESCO DI RIAVVICINARE LA FRATERNITA' SAN PIO X.



http://www.unavox.it/Documenti/doc0165_CED_MessaFSSPX.htm


http://www.unavox.it/Documenti/doc0165_CED_MessaFSSPX.htm


Spiace vedere che tra i collaboratori di Papa Francesco ci siano Vescovi che vanno contro la sua "mens".  Infatti Papa Francesco ai lefevbriani disse: "c'è chi pensa che li scomunicherò, ma si sbaglia", e "non li condannerò, né impedirò ad alcuno di andare da loro". E poi fece seguito, come promesso la riapertura dei colloqui.
Mons. Semeraro già da tempo farebbe capire che sarebbe "il prescelto" per prendere la poltrona del Cardinale Vicario Agostino Vallini oramai a pochi mesi dalla pensione! E' bene che Papa Francesco apra gli occhi su chi siano questi suoi collaboratori ingrati! Un castigo per Roma sarebbe la sua nomina in una città che per sua vocazione deve accogliere e comprendere e non come ha fatto ad Albano chiudere e scomunicare!
Dio ci salvi da questa calamità!

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