La demonizzazione della forma, specialmente ecclesiale e liturgica, è servita ad ottundere quella sensibilità che attiva anche l’intelligenza, che fa suonare in noi il campanello d’allarme, come la dissonanza di una sirena ci avverte del pericolo imminente o del danno già compiuto.
di Patrizia Fermani
Molti credono che il cristianesimo cattolico autentico, e non quello nominale, sia insostituibile per la sopravvivenza della civiltà nel terzo millennio. E non occorre essere fedeli praticanti per avere chiara questa idea, insieme alla percezione angosciante che si stia procedendo a grandi passi verso un annientamento morale e fisico. Ovviamente la civiltà va intesa come l’affinamento culturale assicurato dalla ragionevolezza dei modi di vivere e convivere che libera la capacità di intelligenza e la capacità di bellezza; che riesce a modellarsi, nella eterna divina armonia tra intelletto e sensi, sulle direttrici di un Ordine superiore, sul senso profondo della legge di un Dio creatore e provvidente.
Non per nulla la fede cristiana ha accumulato per i propri figli un patrimonio di bellezza che sopravvive ancora nell’Europa cristiana e mostra l’essenza del cristianesimo più di qualunque disquisizione teologica e indagine speculativa. L’ultimo Papa ne ha avuto come nessuno la consapevolezza e la ha espressa con parole accorate e magistrali, sapendo che la bellezza è il frutto ma anche il lievito dello spirito cristiano, e la sapienza della fede la via della salvezza.
Ora tutti quelli che credono nella insostituibilità del cattolicesimo autentico per la sopravvivenza di una civiltà dello spirito, comunque essa si esprima, sentono il pericolo imminente che ha preso velocemente la forma di una distruzione dall’interno, capace di spazzare via i resti dell’era cristiana. Una distruzione partita paradossalmente dall’entourage del papato.
Il malessere accumulato durante i mesi del nuovo pontificato trova ora sollievo nelle parole, chiare e inequivocabili, di pochi uomini di Chiesa che giganteggiano su un clero diventato normalmente insignificante per la causa di Cristo, e spesso anche dannoso.
Tuttavia occorre che dietro a questi autentici uomini di fede si formi un esercito capace di tenere alta la vera bandiera al posto di quella contraffatta da decenni di simil cattolicesimo. Perché, dietro a Begoglio e a Kasper, a Forte e a Maradiaga, a Baldisseri e a De Aviz e a tutto il corpo dei guastatori, c’è l’intendenza del clero più attempato che in seminario ha letto Kasper e Metz e Congar già quarant’anni fa, e ha preso come modello Balducci e Milani. Oppure c’è quello più giovane cresciuto alla scuola di Martini e del Corriere della Sera e privo di strumenti critici capaci di scalzare un sistema sclerotizzato di pensiero preconfezionato.
Ma, dietro ancora, c’è il popolo di un dio socio politico, un popolo che per sapere quale fede professa e quali sono i suoi doveri di “cattolico” accende la televisione o legge Famiglia Cristiana, e così riesce a mettere d’accordo conformismo politico e conformismo pseudo religioso, sicuro di essere al sicuro in terra perché il problema dell’aldilà lo risolve adesso anche con la cremazione. In altre parole, dietro a Bergoglio e al suo entourage c’era già il popolo di un dio profano, quel popolo che non ha sentito il bisogno di ribellarsi cinquant’anni fa quando i muratori mimetici e quelli veri hanno costruito le mense del nuovo “cattolicesimo” protestante. Che ha accettato senza problemi una nuova religione sostitutiva, consacrata dalle trombe dei telegiornali, una religione che non avrebbe più disturbato la politica perché l’arco costituzionale era in grado di omologare ogni visione del mondo, laica o religiosa che fosse, e d’ora in poi sarebbe stata solo questione di mettersi d’accordo su come scambiarsi le parti in commedia. Il cattocomunismo è stato il vero grande partito unico trasversale di una dittatura sopravvissuta intatta anche alla apparente controrivoluzione di cartapesta dissoltasi nel nulla per mancanza originaria di pensiero. Un partito trasversale che ha sciolto anche la religione nella politica creando un linguaggio, una morale, un habitus mentali capaci di legittimare al momento debito anche la abolizione del papato e lo sradicamento cristiano. La maggioranza benpensante, discepola di questo nuovo credo, ha accettato senza battere ciglio l’assedio della volgarità e la vuota rozzezza dei luoghi comuni in cui viene annichilito il senso morale, e si affida compulsivamente al dialogo quale espediente che la solleva da ogni sforzo di resistenza, dal disagio di non essere a rimorchio nella corrente, dalla fatica della fedeltà a tutti i costi.
Che la massa non abbia percepito un qualche disagio di fronte alle scelte “estetiche” di Bergoglio, che non ne abbia avvertito il potenziale distruttivo, non è certo casuale. Non deriva dal fatto che l’emozione collettiva sempre contagiosa ha preso il sopravvento su quella sensibilità attraverso la quale possiamo custodire il senso profondo delle cose. La immensa folla in attesa dell’evento papale, dentro e fuori Piazza S.Pietro, era la stessa che ormai da decenni non è più in grado di comprendere il significato delle forme e del loro contenuto indefettibile, perché le è stata inoculata l’idea miserabile che la forma sia priva di significato. Quella folla non ha più capito che la forma era anzitutto una ricchezza messa a sua disposizione, della quale è stata privata per poter essere impoverita e ridotta in uno spazio sempre più angusto di pensiero. La demonizzazione della forma, specialmente ecclesiale e liturgica, è servita ad ottundere quella sensibilità che attiva anche l’intelligenza, che fa suonare in noi il campanello d’allarme come la dissonanza di una sirena ci avverte del pericolo imminente o del danno già compiuto.
La folla non ha avvertito, non ha ascoltato le dissonanze, non ha colto la simbologia. I segni premonitori, che avvertivano come di lì a poco anche i contenuti di fede potessero essere messi in discussione, c’erano già tutti. Poi sono venuti giorno dopo giorno i segnali espliciti. Sono venute le anticipazioni sulle proposte sinodali che confliggono con le verità di fede. Sono venuti da S.Marta gli avvertimenti contro l’ortodossia. È venuto l’Evangelii Gaudium e l’Instrumntum Laboris, dove i capovolgimenti della dottrina contenuti nella relazione letta il 13 ottobre da Erdö erano già tutti presenti. Ora lo attacco alla dottrina secolare della Chiesa è ufficiale e palese. Il Prefetto ha imbracciato lo scudo a difesa della Fede. Ha contro il mostro cupo del potere mediatico. Ma questo mostro sarebbe vincibile facilmente con la spada di S.Michele e la lancia di S.Giorgio se tanti autocertificati cattolici dentro e fuori la Chiesa da tempo non facessero il tifo per il Drago. Se fosse diffusa la consapevolezza che la posta in gioco non è la vittoria di un partito in una polemica qualunque, ma lo scardinamento della Chiesa e quello di una società che già tanti danni ha subito dall’indebolimento intrinseco della fede anche in seno alla prima. Per salvare la Fede ora occorrono i fedeli, quelli che è diventato difficile individuare nella grande folla. Ma certo dobbiamo coltivare la speranza che in uno scenario da Apocalisse, sulla strada imboccata da Müller si incammini di nuovo un vero popolo di Dio.
http://www.riscossacristiana.it/lapostasia-del-povero-cristiano-di-patrizia-fermani/
Molti credono che il cristianesimo cattolico autentico, e non quello nominale, sia insostituibile per la sopravvivenza della civiltà nel terzo millennio. E non occorre essere fedeli praticanti per avere chiara questa idea, insieme alla percezione angosciante che si stia procedendo a grandi passi verso un annientamento morale e fisico. Ovviamente la civiltà va intesa come l’affinamento culturale assicurato dalla ragionevolezza dei modi di vivere e convivere che libera la capacità di intelligenza e la capacità di bellezza; che riesce a modellarsi, nella eterna divina armonia tra intelletto e sensi, sulle direttrici di un Ordine superiore, sul senso profondo della legge di un Dio creatore e provvidente.
Non per nulla la fede cristiana ha accumulato per i propri figli un patrimonio di bellezza che sopravvive ancora nell’Europa cristiana e mostra l’essenza del cristianesimo più di qualunque disquisizione teologica e indagine speculativa. L’ultimo Papa ne ha avuto come nessuno la consapevolezza e la ha espressa con parole accorate e magistrali, sapendo che la bellezza è il frutto ma anche il lievito dello spirito cristiano, e la sapienza della fede la via della salvezza.
Ora tutti quelli che credono nella insostituibilità del cattolicesimo autentico per la sopravvivenza di una civiltà dello spirito, comunque essa si esprima, sentono il pericolo imminente che ha preso velocemente la forma di una distruzione dall’interno, capace di spazzare via i resti dell’era cristiana. Una distruzione partita paradossalmente dall’entourage del papato.
Il malessere accumulato durante i mesi del nuovo pontificato trova ora sollievo nelle parole, chiare e inequivocabili, di pochi uomini di Chiesa che giganteggiano su un clero diventato normalmente insignificante per la causa di Cristo, e spesso anche dannoso.
Tuttavia occorre che dietro a questi autentici uomini di fede si formi un esercito capace di tenere alta la vera bandiera al posto di quella contraffatta da decenni di simil cattolicesimo. Perché, dietro a Begoglio e a Kasper, a Forte e a Maradiaga, a Baldisseri e a De Aviz e a tutto il corpo dei guastatori, c’è l’intendenza del clero più attempato che in seminario ha letto Kasper e Metz e Congar già quarant’anni fa, e ha preso come modello Balducci e Milani. Oppure c’è quello più giovane cresciuto alla scuola di Martini e del Corriere della Sera e privo di strumenti critici capaci di scalzare un sistema sclerotizzato di pensiero preconfezionato.
Ma, dietro ancora, c’è il popolo di un dio socio politico, un popolo che per sapere quale fede professa e quali sono i suoi doveri di “cattolico” accende la televisione o legge Famiglia Cristiana, e così riesce a mettere d’accordo conformismo politico e conformismo pseudo religioso, sicuro di essere al sicuro in terra perché il problema dell’aldilà lo risolve adesso anche con la cremazione. In altre parole, dietro a Bergoglio e al suo entourage c’era già il popolo di un dio profano, quel popolo che non ha sentito il bisogno di ribellarsi cinquant’anni fa quando i muratori mimetici e quelli veri hanno costruito le mense del nuovo “cattolicesimo” protestante. Che ha accettato senza problemi una nuova religione sostitutiva, consacrata dalle trombe dei telegiornali, una religione che non avrebbe più disturbato la politica perché l’arco costituzionale era in grado di omologare ogni visione del mondo, laica o religiosa che fosse, e d’ora in poi sarebbe stata solo questione di mettersi d’accordo su come scambiarsi le parti in commedia. Il cattocomunismo è stato il vero grande partito unico trasversale di una dittatura sopravvissuta intatta anche alla apparente controrivoluzione di cartapesta dissoltasi nel nulla per mancanza originaria di pensiero. Un partito trasversale che ha sciolto anche la religione nella politica creando un linguaggio, una morale, un habitus mentali capaci di legittimare al momento debito anche la abolizione del papato e lo sradicamento cristiano. La maggioranza benpensante, discepola di questo nuovo credo, ha accettato senza battere ciglio l’assedio della volgarità e la vuota rozzezza dei luoghi comuni in cui viene annichilito il senso morale, e si affida compulsivamente al dialogo quale espediente che la solleva da ogni sforzo di resistenza, dal disagio di non essere a rimorchio nella corrente, dalla fatica della fedeltà a tutti i costi.
Che la massa non abbia percepito un qualche disagio di fronte alle scelte “estetiche” di Bergoglio, che non ne abbia avvertito il potenziale distruttivo, non è certo casuale. Non deriva dal fatto che l’emozione collettiva sempre contagiosa ha preso il sopravvento su quella sensibilità attraverso la quale possiamo custodire il senso profondo delle cose. La immensa folla in attesa dell’evento papale, dentro e fuori Piazza S.Pietro, era la stessa che ormai da decenni non è più in grado di comprendere il significato delle forme e del loro contenuto indefettibile, perché le è stata inoculata l’idea miserabile che la forma sia priva di significato. Quella folla non ha più capito che la forma era anzitutto una ricchezza messa a sua disposizione, della quale è stata privata per poter essere impoverita e ridotta in uno spazio sempre più angusto di pensiero. La demonizzazione della forma, specialmente ecclesiale e liturgica, è servita ad ottundere quella sensibilità che attiva anche l’intelligenza, che fa suonare in noi il campanello d’allarme come la dissonanza di una sirena ci avverte del pericolo imminente o del danno già compiuto.
La folla non ha avvertito, non ha ascoltato le dissonanze, non ha colto la simbologia. I segni premonitori, che avvertivano come di lì a poco anche i contenuti di fede potessero essere messi in discussione, c’erano già tutti. Poi sono venuti giorno dopo giorno i segnali espliciti. Sono venute le anticipazioni sulle proposte sinodali che confliggono con le verità di fede. Sono venuti da S.Marta gli avvertimenti contro l’ortodossia. È venuto l’Evangelii Gaudium e l’Instrumntum Laboris, dove i capovolgimenti della dottrina contenuti nella relazione letta il 13 ottobre da Erdö erano già tutti presenti. Ora lo attacco alla dottrina secolare della Chiesa è ufficiale e palese. Il Prefetto ha imbracciato lo scudo a difesa della Fede. Ha contro il mostro cupo del potere mediatico. Ma questo mostro sarebbe vincibile facilmente con la spada di S.Michele e la lancia di S.Giorgio se tanti autocertificati cattolici dentro e fuori la Chiesa da tempo non facessero il tifo per il Drago. Se fosse diffusa la consapevolezza che la posta in gioco non è la vittoria di un partito in una polemica qualunque, ma lo scardinamento della Chiesa e quello di una società che già tanti danni ha subito dall’indebolimento intrinseco della fede anche in seno alla prima. Per salvare la Fede ora occorrono i fedeli, quelli che è diventato difficile individuare nella grande folla. Ma certo dobbiamo coltivare la speranza che in uno scenario da Apocalisse, sulla strada imboccata da Müller si incammini di nuovo un vero popolo di Dio.
– di Patrizia Fermani
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