Come leggerle?
Dietro lo smacco dei cardinali Müller e Burke a Bergoglio:
questioni di metodo e non solo…
di Don Floriano Pellegrini e Sergio Basile
Le esagerazioni di Papa Francesco
Roma – La spaccatura nella Chiesa, amplificata da un anno a questa parte dagli atteggiamenti di papa Francesco, che in molti giudicano populistici, purtroppo c'è ed è forte, inutile negarlo. Probabilmente molti anti-cattolici troveranno conveniente e funzionale ai loro eterni scopi questa ondata di contrarietà e novità assieme: è senz'altro vero! Com'è vero che questa opposizione tra modernisti e tradizionalisti, o progressisti e custodi della tradizione cattolica originaria, crea attriti. Ma d'altronde questo è un fatto inevitabile, in quanto "rivoluzioni" non in linea con la millenaria storia della Chiesa Cattolica potrebbero incidere negativamente e non poco sulla fede di milioni di cattolici. Pertanto queste "anomalie" non possono lasciarci indifferenti, e come tali meritano di essere analizzate a fondo, entusiastiche ricostruzioni mediatiche a parte.
Il Caso - Müller e Burke non salutano Bergoglio
Nelle ultime ore, in merito, segnaliamo un nuovo caso in seno alla nutrita sfilsa "pluriennale" dei curiosi aneddoti non proprio ortodossi del personaggio "Bergoglio": azioni poco ortodosse che vanno dall'iscrizione in qualità di socio onorario al Rotary Club di Buenos Aires da cardinale, all'abbraccio fin troppo "spontanei" con rabbini ebrei e protestanti… con tanto di "scuse" papali ufficiali per gli "errori dei cattolici". Cosa è accaduto questa volta? Beh, al termine della liturgia eucaristica, concelebrata con tutti i cardinali, due di essi, Müller e Burke, finiti al centro delle cronache per la loro palese contrarietà ai lavori del sinodo straordinario sulla famiglia, non sono andati a porgere il proprio saluto a papa Bergoglio, il papa – ribadiamo – in un modo o nell'altro frequentemente fuori dagli "schemi".
Per i nemici della tradizione cattolica…
Ai modernisti, ai massoni, ai sionisti, ai comunisti e a tutti i nemici della Tradizione cattolica, va certamente bene questo clima. Più caos c'è meglio è per tutti! Questo polverone può andar bene per far perdere di vista la via maestra! Ma a noi, evidentemente, questo non ci entusiasma per nulla! Noi abbiamo pregato e preghiamo per l'unità dei cristiani, ma anche per avere da Dio un Papa che sia e resti come ci ha insegnato a conoscerlo, vederlo, rispettarlo e obbedirlo la fede dei nostri genitori e del nostro anziano parroco. Così come vuole la tradizione del Concilio di Trento, del Concilio Vaticano I (il grande dimenticato e/o assente nella memoria dell'ultimo sinodo) e, solo in parte minore, del Concilio Vaticano II.
Questione di metodo e…
Il 25 luglio scorso, come ricorderete, poco dopo mezzogiorno, il Papa s’era presentato alla mensa deidipendenti della Città del Vaticano e s’era messo in fila, attendendo il suo turno! Solo una delle tante "sorprese". Il gesto ebbe un che di bello e, per quanto effettivamente sia stato bello, lo ammiriamo; ma siamo proprio convinti – ci chiediamo – che quella del buonismo e fraternismo ad ogni costo sia la metodologia giusta? Quella cioè che ci si attende dal supremo Pastore della Chiesa? Se fosse in un contesto di inizi della Chiesa, di primitivismo ecclesiale, andrebbe bene e benissimo; ma non è vero che ogni forma di rapportarsi con gli altri sia sempre buona: un metodo che può andar bene alle periferie di Mestre, non è detto vada bene anche per l’università Lateranense; e ciò che torna pastoralmente fruttuoso in Mozambico, può essere fonte di molteplici malintesi in una regione dal forte radicamento cristiano. Non si può innaffiare, concimare o coltivare alla stessa maniera ogni piantina e mettere sullo stesso piano piantine e piante mature; è così anche per le anime. Se pur l’intenzione, la dottrina e le finalità siano e debbano essere identiche per ogni Papa, non si può pensare e cercare di scimmiottare oggi le metodologie presunte iniziali o quelle medioevali, o di altri tempi che non siano i nostri.
Noi cattolici dalla fede vissuta di generazione in generazione…
Noi, cattolici dalla ricca storia, dalla fede vissuta da generazioni e generazioni ( pur con tutti i limiti degli esseri umani, pur tutt’altro che esenti da colpe ) abbiamo il diritto di attenderci che il Papa faccia il Papa secondo i canoni classici della tradizione cattolica più alta e pura; come gli stessi suoi predecessori ci hanno insegnato a vederlo e considerarlo e, di conseguenza, a rapportarci con la sua persona e il suo ministero. Ridurre tutto all’accennato fraternismo fugace e apparente, che non può e assolutamente non potrebbe avvallare chissà quale superamento dei ruoli e delle responsabilità sociali, è atto che lascia stupiti e perplessi, che preghiamo Dio questo Papa combini sempre meno… o non combini più! Si osservino, in merito, certi sguardi felici sì, ma pure sbigottiti dei commensali del Papa al già citato "pranzo del 25 Luglio". Commensali che fin troppo chiaramente si chiedevano: «Ma è mai possibile che faccia di queste cose?». A ciascuno la sua libera interpretazione dei fatti… e il diritto-dovere di confidare in Dio, affinché possa illuminare sempre la Sua Chiesa in tempi tanto strani. Alla fine una certezza ci deve guidare e confortare sopra ogni dubbio, quella rivelata nell'isola di Patmos a Giovanni: il bene avrà l'ultima parola!
Don Floriano Pellegrini e Sergio Basile (Copyright © 2014 Qui Europa)
http://www.quieuropa.it/le-esagerazioni-di-papa-francesco-come-leggerle/
Durante e dopo il sinodo, tra i politici e gli amministratori
italiani di ogni colore e campanile, diocesi del papa compresa, è stato
tutto un correre a mettere il cappello sulla sedia delle nozze gay e del
divorzio breve.
Il motto ricorrente è che “la Chiesa è più avanti di noi” e bisogna mettersi al passo.
Naturalmente non è così. Il sinodo non ha deliberato niente in proposito, ed anzi, lo sguardo lungo e sapiente tipico della Chiesa non esclude affatto che la tendenza libertaria oggi imperante possa in futuro declinare e svanire, come ha ricordato al “Corriere della Sera” il cardinale Camillo Ruini. E quindi la Chiesa, quando rifiuta di assecondare questa tendenza del mondo, sa di non essere retrograda ma profetica, sulle orme del suo divino maestro.
Ma nel circuito mondiale dei media vale solo quello che si fa dire a papa Francesco, quel suo “Chi sono io per giudicare?” interpretato universalmente come assoluzione di tutto e di tutti.
Il 23 ottobre però Francesco ha detto anche dell’altro. In quella che poteva essere una normale udienza di routine, a una delegazione di penalisti, ha infilato una micidiale arringa contro gli errori e gli eccessi dell’esercizio della giustizia terrena:
> Illustri Signori e Signore…
Il papa ha spaziato a tutto campo. Ha cannoneggiato contro l’ergastolo in quanto “pena di morte nascosta”, contro la tortura legalizzata o di fatto, contro la moderna tratta degli schiavi e delle schiave, contro la corruzione come “male più grande del peccato”.
E fin qui, a parole, tutti o quasi gli hanno dato ragione, a giudicare dai commenti di politici e magistrati che hanno invaso i media.
A parole, naturalmente. Perché non risulta che sia scattata anche qui la corsa a mettersi al passo con la Chiesa con provvedimenti concreti.
Ma c’è un punto sul quale anche a parole si è manifestata una notevole reticenza a dare retta al papa.
Ed è là dove Francesco ha usato la sferza contro la carcerazione preventiva. Cioè contro lo strumento principe del giustizialismo alla moda, come pure di quell’altra degenerazione della giustizia che il papa ha bollato come “populismo penale”.
Che un papa argentino sbrigativamente immaginato come “peronista” si riveli su questo punto così ipergarantista è una scoperta che a molti non è piaciuta.
Ma a Francesco si perdona tutto. Anche perché poi all’atto pratico tutti vedono che egli governa la Chiesa “motu proprio”, promuovendo e rimuovendo, condannando e assolvendo, in forza della sua autorità assoluta. Senza omettere il ricorso alla carcerazione preventiva “per volontà espressa del papa“, come nel caso dell’ex nunzio a Santo Domingo, in un coro universale di applausi.
Applausi con riserva per il papa ipergarantista
Il motto ricorrente è che “la Chiesa è più avanti di noi” e bisogna mettersi al passo.
Naturalmente non è così. Il sinodo non ha deliberato niente in proposito, ed anzi, lo sguardo lungo e sapiente tipico della Chiesa non esclude affatto che la tendenza libertaria oggi imperante possa in futuro declinare e svanire, come ha ricordato al “Corriere della Sera” il cardinale Camillo Ruini. E quindi la Chiesa, quando rifiuta di assecondare questa tendenza del mondo, sa di non essere retrograda ma profetica, sulle orme del suo divino maestro.
Ma nel circuito mondiale dei media vale solo quello che si fa dire a papa Francesco, quel suo “Chi sono io per giudicare?” interpretato universalmente come assoluzione di tutto e di tutti.
Il 23 ottobre però Francesco ha detto anche dell’altro. In quella che poteva essere una normale udienza di routine, a una delegazione di penalisti, ha infilato una micidiale arringa contro gli errori e gli eccessi dell’esercizio della giustizia terrena:
> Illustri Signori e Signore…
Il papa ha spaziato a tutto campo. Ha cannoneggiato contro l’ergastolo in quanto “pena di morte nascosta”, contro la tortura legalizzata o di fatto, contro la moderna tratta degli schiavi e delle schiave, contro la corruzione come “male più grande del peccato”.
E fin qui, a parole, tutti o quasi gli hanno dato ragione, a giudicare dai commenti di politici e magistrati che hanno invaso i media.
A parole, naturalmente. Perché non risulta che sia scattata anche qui la corsa a mettersi al passo con la Chiesa con provvedimenti concreti.
Ma c’è un punto sul quale anche a parole si è manifestata una notevole reticenza a dare retta al papa.
Ed è là dove Francesco ha usato la sferza contro la carcerazione preventiva. Cioè contro lo strumento principe del giustizialismo alla moda, come pure di quell’altra degenerazione della giustizia che il papa ha bollato come “populismo penale”.
Che un papa argentino sbrigativamente immaginato come “peronista” si riveli su questo punto così ipergarantista è una scoperta che a molti non è piaciuta.
Ma a Francesco si perdona tutto. Anche perché poi all’atto pratico tutti vedono che egli governa la Chiesa “motu proprio”, promuovendo e rimuovendo, condannando e assolvendo, in forza della sua autorità assoluta. Senza omettere il ricorso alla carcerazione preventiva “per volontà espressa del papa“, come nel caso dell’ex nunzio a Santo Domingo, in un coro universale di applausi.
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