Applausi con riserva per il papa ipergarantista

prigione
Durante e dopo il sinodo, tra i politici e gli amministratori italiani di ogni colore e campanile, diocesi del papa compresa, è stato tutto un correre a mettere il cappello sulla sedia delle nozze gay e del divorzio breve.
Il motto ricorrente è che “la Chiesa è più avanti di noi” e bisogna mettersi al passo.
Naturalmente non è così. Il sinodo non ha deliberato niente in proposito, ed anzi, lo sguardo lungo e sapiente tipico della Chiesa non esclude affatto che la tendenza libertaria oggi imperante possa in futuro declinare e svanire, come ha ricordato al “Corriere della Sera” il cardinale Camillo Ruini. E quindi la Chiesa, quando rifiuta di assecondare questa tendenza del mondo, sa di non essere retrograda ma profetica, sulle orme del suo divino maestro.
Ma nel circuito mondiale dei media vale solo quello che si fa dire a papa Francesco, quel suo “Chi sono io per giudicare?” interpretato universalmente come assoluzione di tutto e di tutti.
Il 23 ottobre però Francesco ha detto anche dell’altro. In quella che poteva essere una normale udienza di routine, a una delegazione di penalisti, ha infilato una micidiale arringa contro gli errori e gli eccessi dell’esercizio della giustizia terrena:

> Illustri Signori e Signore…

Il papa ha spaziato a tutto campo. Ha cannoneggiato contro l’ergastolo in quanto “pena di morte nascosta”, contro la tortura legalizzata o di fatto, contro la moderna tratta degli schiavi e delle schiave, contro la corruzione come “male più grande del peccato”.
E fin qui, a parole, tutti o quasi gli hanno dato ragione, a giudicare dai commenti di politici e magistrati che hanno invaso i media.
A parole, naturalmente. Perché non risulta che sia scattata anche qui la corsa a mettersi al passo con la Chiesa con provvedimenti concreti.
Ma c’è un punto sul quale anche a parole si è manifestata una notevole reticenza a dare retta al papa.
Ed è là dove Francesco ha usato la sferza contro la carcerazione preventiva. Cioè contro lo strumento principe del giustizialismo alla moda, come pure di quell’altra degenerazione della giustizia che il papa ha bollato come “populismo penale”.
Che un papa argentino sbrigativamente immaginato come “peronista” si riveli su questo punto così ipergarantista è una scoperta che a molti non è piaciuta.
Ma a Francesco si perdona tutto. Anche perché poi all’atto pratico tutti vedono che egli governa la Chiesa “motu proprio”, promuovendo e rimuovendo, condannando e assolvendo, in forza della sua autorità assoluta. Senza omettere il ricorso alla carcerazione preventiva “per volontà espressa del papa“, come nel caso dell’ex nunzio a Santo Domingo, in un coro universale di applausi.
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