ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 13 ottobre 2014

Pilota automatico?

Sinodo. Quanto è libero?

Da oggi il Sinodo straordinario sulla Famiglia sarà ancora più sommerso; infatti i padri sinodali si dividono in Commissioni (Circuli Minores) per continuare il lavoro iniziato in assemblea la scorsa settimana. Ci sono segnali che fanno pensare a una soluzione "pilotata" a favore della linea Kasper.
MARCO TOSATTI
 Da oggi il Sinodo straordinario sulla Famiglia sarà ancora più sommerso; infatti i padri sinodali si dividono in Commissioni (Circuli Minores) per continuare il lavoro iniziato in assemblea la scorsa settimana.  
E’ importante notare che da questo Sinodo non uscirà una decisione, ma documenti e orientamenti.  
E questo spiega allora alcuni fatti apparentemente singolari e innocui, ma che legati insieme aiutano a leggere una strategia.  
Uno dei punti nodali del Sinodo – e non è un’invenzione dei giornali – riguarda il problema della comunione ai divorziati risposati.  
Esistono, come ha detto anche il portavoce vaticano, padre Lombardi, due linee. Quella propugnata dal card. Kasper, scherzosamente definita del “tana liberi tutti”, che sarebbe favorevole a riammettere questa persone all’eucaristia; e la linea di chi vede in questo una violazione del precetto evangelico sul divorzio, e difende quella che è stata sempre la posizione della Chiesa.   
Il Papa invece di restare prudentemente neutrale, e di vedere quale opinione prevarrà fra i Padri sinodali, espressione della saggezza della Chiesa nel suo complesso, ha compiuto o avallato alcuni gesti che dimostrano la sua simpatia per Kasper.  
Il Sinodo esiste da circa 50 anni. In tutte le edizioni precedenti, in cui si è dibattuto di tanti temi a viso aperto, e in cui sono state avanzate proposte di ogni genere, fra cui quella di un Vaticano III, gli interventi sono sempre stati pubblicati. Che c’è da nascondere? Bene ha detto il Prefetto della Congregazione per la Fede, il card. Mueller, che i cristiani hanno diritto di sapere come la pensano i propri vescovi. E se i vescovi hanno paura di far sapere come la pensano, che vescovi sono?  
Sono state addotte varie giustificazioni per giustificare la censura. Che, a mio modesto parere, era funzionale invece a non mettere nero su bianco, in maniera difficilmente oppugnabile, che la maggior parte dei Padri ha ,al minimo, se non altro perplessità sulla linea Kasper.  
Ma come abbiamo detto questo è un Sinodo non di decisioni, ma di preparazione. Centrale allora il ruolo dei documenti, che ne usciranno. Il Messaggio e la Relazione finale.  
Il messaggio sarà redatto da una commissione di otto persone, non scelta dall’assemblea, in cui ai primi posti appaiono il card. Ravasi, sicuramente “kasperiano”, e mons. Fernandez, uomo di fiducia di papa Bergoglio, suo grande consigliere teologico. 
 La Relazione finale, invece, di norma è stilata dal Relatore, il cardinale ungherese Erdo, il segretario generale del Sinodo, Baldisseri, e il segretario aggiunto, il teologo Bruno Forte.   
Ma il Papa ha deciso, con un gesto senza precedenti, di aggiungere sei nomi per aiutare a stendere questo documento: il card. Gianfranco Ravasi, il card. Donald W. Wuerl, l’arcivescovo Victor Manuel Fernandez, e padre Nicòlas Pachòn Superiore generale dei gesuiti insieme ad altri due vescovi.  
Come osserva acutamente John Thavis, per molti anni capo dell’ufficio del Catholic News Service a Roma, “col rischio di ipersemplificare tutto” si può dire che tutti e sei sono sulla stessa onda di lunghezza di Kasper.  
In questo modo papa Francesco ha compiuto un forte gesto di intervento sul Sinodo.  
E forse sarà confermata in questo modo la profezia che ci ha fatto un Uffiziale del Sinodo: “Tutto è già scritto, si sa già come andrà”. 
Il Beato Angelico smentisce KasperShare on print
Beato Angelico - Comunione degli apostoli
Il Beato Angelico affresca la cella n° 35 con la comunione distribuita agli apostoli. Siamo nel XV secolo, l’ambiente del refettorio si affaccia sul chiostro del Convento San Marco e, volutamente, viene messo in relazione con l’ambiente del coro. Questa particolare versione dell’Ultima Cena è letta dall’Angelico in relazione alla celebrazione eucaristica. La tavola, infatti, è spoglia come una mensa d’altare e Cristo dispensa ai suoi, pane e vino. Otto discepoli sono seduti a Mensa, significando così gli invitati a nozze, quelli di cui parla anche il Vangelo di Domenica (XXVIII del tempo Ordinario). È il popolo dell’ottavo giorno che in profonda relazione con il Mistero del Salvatore siede alla stessa mensa. 
Vi sono però quattro sgabelli vuoti, lasciati da altri quattro chiamati alla mensa, i quali aspettano pazientemente il loro momento stando in ginocchio, cioè in atto penitenziale. Questi quattro simboleggiano quell’umanità che vorrebbe accostarsi alla mensa del Signore, ma ancora non può. Tra questi quattro, nella medesima postura, nella medesima attesa, sta anche Giuda. Lo riconosciamo per l’aureola nera e per la posizione un po’ arretrata.
La posizione in ginocchio ci informa sulla qualità di questo cibo che vuole da noi un cuore perfetto e contrito. L’affresco fa meditare se confrontato con le tipologie di discorsi che si vanno facendo oggi sulla celebrazione eucaristica e il mistero in essa significato. Oggi ricevere la comunione è guardato, a mio avviso, con eccessiva scontatezza, come se l’eucaristia fosse il termine naturale della Messa e non piuttosto il coronamento per coloro che sono degni di accostarsi alla Mensa del Signore.

La facilità con cui in questi anni i cristiani si sono avvicinati alla comunione, senza le dovute disposizioni e senza – spesso - essersi confessati ha generato una riduzione del mistero e del sacramento. Era senz’altro necessario correggere una certa eredità giansenista eccessivamente restrittiva e scrupolosa rispetto all’Eucaristia ma, purtroppo come spesso accade nella storia, si è scivolati sul versante opposto senza avere modo di tenere il tutto in giusto equilibrio.
Bosch Anima contesa
Oggi l’immagine del demonio che si contende l’anima accostatasi indegnamente alla comunione (come quella che dipinge Bosch nei sette vizi capitali) farebbe scandalo e non sarebbe accettata. Siamo diventati così politicamente corretti anche nell’educazione che persino ai bambini non si può dire male ciò che è male, ma si consiglia di evitare traumi aspettando che nella loro maturità possano decidere per il meglio. Così – ci accorgiamo ora – la maturità non viene mai e siamo circondati da cinquantenni ancora adolescenti, i quali non sanno assumersi responsabilità e doveri cui il loro stato li obbliga.

So per certo che molti – di fronte a tali argomenti – grideranno all’oscurantismo ma tale è la mia esperienza quotidiana e potrei scendere anche ad elencare situazioni e dettagli capaci di supportare gli argomenti; lo evito accontentandomi di quel «chi può capire capisca», che già Gesù consigliava. Mi sentirei un cembalo che tintinna se raccontassi cose diverse, solo perché alle persone piace sentirsi dire altro. La verità è che alla vita bisogna prepararsi e lo spirito di sacrificio e la necessità di cambiamento di fronte ad essa non sono realtà passate di moda, ma sono necessità delle quali in tutti gli ambienti si avverte carenza.
L’Eucaristia è una iniezione di eternità, prepara e abitua l’uomo a stare con Cristo ma - come dicevano i padri - essa è come il sale, conserva nello stato in cui sei. Se sei in grazia di Dio, sei conservato nel bene; se non sei in grazia di Dio – come il sale – si accelera il processo di corruzione. Lo dice appunto tutta la vicenda di Giuda che, dopo aver preso il boccone uscì e la sua uscita fu nefasta. Non solo tradì il suo Maestro con il quale aveva condiviso la mensa ma, e questo fu l’aspetto peggiore, disperò del suo perdono. Non ebbe la forza di pentirsi e di ritornare in seno alla comunità. Egli diede su di sé un giudizio inappellabile tale da togliersi la vita.
Troppo facilmente oggi si concede l’Eucaristia anche a quelli che, regolarmente sposati o semplicemente fidanzati, si comunicano senza confessione; pertanto anche il discernimento sugli stati di vita irregolari, incompatibili con il sacramento della comunione col Cristo, è confuso e incerto.
Siamo certi che è necessario un giudizio di misericordia, ma senza dimenticare la verità. Siamo certi che molte persone hanno bisogno di essere accompagnate dentro un cammino nuovo, di consapevolezza e santità, ma questo senza dimenticare i gesti posti precedentemente in atto nella vita. 

di Gloria Riva 13-10-2014
Appunti per il Sinodo: il metodo della "via stretta"
di Enrico Cattaneo 17-09-2014
Discorso della Montagna, Beato Angelico
«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). Gesù nei suoi insegnamenti indica sempre “la via stretta”, al punto che spesso suscita lo stupore dei suoi stessi discepoli.

Interrogato, ad esempio, sulla questione del divorzio,ammesso dalla legge giudaica, Gesù indica la via stretta dell’indissolubilità del matrimonio, senza eccezioni (Mt 19,3-9). Il suo insegnamento è così chiaro e così netto che i suoi discepoli obiettano con un ragionamento tutto umano (e maschilista): «Se è questa la condizione dell’uomo rispetto alla donna [cioè se l’uomo non può cambiare donna quando gli conviene], allora non conviene sposarsi!» (Mt 19,10).
Anche rispetto alle ricchezze Gesù indica la via stretta: «Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). E parlando più in generale afferma solennemente: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,23-24). Il che significa che è praticamente impossibile. Anche qui i discepoli cercano di addolcire l’insegnamento, considerato troppo esigente: «A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: “Chi si potrà dunque salvare?”. E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”» (Mt 19,25-26). Cioè se un ricco si converte a Dio, allora lascia l’idolo delle ricchezze e potrà salvarsi.
Parimenti, a proposito dell’eucaristia, Gesù usa un linguaggio giudicato troppo duro e difficile da accettare. Aveva detto infatti: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53). E come reagirono «molti dei suoi discepoli»? Obiettando: «Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?» (Gv 6,60). Anche qui Gesù prende la “via stretta”, al punto che «da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66).

Gesù, secondo i nostri ragionamenti umani, avrebbe potuto dire: “Scusate, avete capito male; io intendevo parlare in modo simbolico...”. Invece rincara la dose, e dice ai Dodici: «Forse volete andarvene anche voi?». Ed è allora che Pietro, a nome di tutti, fa la sua professione di fede: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,67-69). 
In definitiva, Gesù non ha reso i comandamenti più larghi, ma più esigenti, come dimostra tutto il “discorso della montagna” (Mt 5-7). Nell’indicare come devono essere affrontate le situazioni di conflitto, egli mostra senza mezzi termini la via più stretta: «Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,43-44). Se poi andiamo alle condizioni che Gesù pone a chi vuole seguirlo, ci accorgiamo che non solo egli indica una via stretta, ma per di più “in salita”: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24).
La tentazione di “annacquare” gli insegnamenti di Gesù è sempre stata presente tra i cristiani lungo i secoli, ora su un punto, ora su un altro, a secondo delle pressioni della mentalità del “mondo”. Bisogna onestamente riconoscere che solo la Chiesa Cattolica Romana (e qui ci vuole questo aggettivo!), quando si è trovata di fronte a un bivio, ha sempre scelto la via stretta. Solo essa, ad esempio, ha mantenuto l’impegno della continenza e del celibato per i ministri ordinati (vescovi, presbiteri e diaconi), nonostante le reali difficoltà e le numerose defezioni rappresentate dai preti che vivevano in concubinato. 
Con il re d’Inghilterra Enrico VIII sarebbe stato più facile trovare un compromessocirca la validità del suo primo matrimonio, ma sarebbe stato negare la verità del Vangelo, e così il papa Paolo III prese la via stretta, anche se ciò comportò che l’Inghilterra si staccasse da Roma, dando origine alla Comunione Anglicana. Messo di fronte al bivio se dichiarare moralmente lecita la contraccezione oppure no, Paolo VI nel 1968 con la Humanae vitae scelse la via stretta, nonostante che ci fosse un’enorme pressione fuori e dentro la Chiesa perché quella pratica fosse dichiarata lecita.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Eppure Gesù ha detto che il suo “giogo è dolce”, e il suo “carico è leggero”, e seguendo lui le anime si sarebbero trovate appagate (cf. Mt 11,28-30). Nessuno infatti conosce la natura umana più del suo Creatore, così come – per usare un paragone oggi comprensibile a tutti – nessuno conosce meglio un programma per computer del suo programmatore. Il Logos creatore aveva messo nel programma dell’umanità il raggiungimento dell’eterna felicità, ma l’uomo, creato libero, ha preferito dare ascolto ai messaggi di un programmatore Antagonista, rimanendo così infettato dai suoi virus. Per liberare l’uomo da questi virus mortiferi, è dovuto intervenire il Programmatore in persona, che è Gesù. Perciò i suoi insegnamenti, per quanto esigenti, sono “vie che portano alla vita”, trasmessi da uno che “conosce che cosa c’è nell’uomo” (Gv 2,25), uno che è divina Sapienza, infinita Sapienza, eterna Sapienza. 
Solo così si capisce perché Gesù sia stato talmente intransigente sulla questione del divorzio, richiamando ciò che Dio aveva stabilito all’inizio, cioè nel programma originario. In quella intransigenza, infatti, è racchiusa tutta una precisa visione dell’uomo che concerne la sua sessualità, la vera parità dei sessi, il mistero dell’unione sponsale, la stabilità della famiglia, il bene dei figli, e di conseguenza anche il bene di tutta la società. L’indissolubilità del matrimonio non è dunque una questione peregrina, che Gesù ha posto così per capriccio, un giorno nel quale si era svegliato un po’ storto, ma è una questione sulla quale si fonda o cade tutta la società umana. 
Ma, qualcuno potrebbe dirmi, lei non tiene conto dei problemi concreti della gente? Delle coppie che scoppiano? Delle convivenze divenute impossibili? Degli amori falliti? Pensa forse che sia un divertimento divorziare, per rifarsi una vita? 
Rispondo dicendo che è vero, ci sono situazioni difficili, a volte molto ingarbugliate, con dei nodi che sembra impossibile sciogliere. Ma per questo c’è la pastorale, l’arte di curare le anime, cominciando anzitutto con il togliere i virus (che sono i sette vizi capitali). Se i modelli sociali si spostano sempre di più su forme esasperate di individualismo, la fede invece fa scoprire la bellezza del vivere “in comunione”, cominciando dalla famiglia e dalla comunità parrocchiale, anche se è la “via stretta” della croce.

Ma è possibile andare così contro-corrente? Qui vale il detto di Gesù: “Per gli uomini è impossibile, ma per Dio tutto è possibile”. Ciò significa che non si può essere veri uomini senza l’adesione al vero Dio. Non è allargando le maglie della morale che si fa del bene alle persone in difficoltà. Il fatto è che oggi si tende a confondere la misericordia, che è uno degli attributi più belli di Dio, con il permissivismo. Gesù ha detto all’adultera: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11), ma ha condannato l’adulterio. La misericordia suppone la coscienza del peccato, non la sua giustificazione. Se non c’è più il peccato non c’è più neppure il perdono. Il peccato è un brutto tiranno, che cerca di nascondersi dietro false promesse. È un padrone che ti paga, anzi promette di pagarti bene, ma, come dice san Paolo, il suo salario è la morte (Rm 6,23). Per questo noi pastori non possiamo tacere, se amiamo veramente le persone che Dio ci ha affidate.

4 commenti:

  1. Possono pilotare tutto quello che vogliono , sarà solo a loro condanna e purtroppo a condanna di coloro che li seguiranno. La legge e la Parola nessuno la può cambiare, nemmeno il papa. Quello che Dio per il nostro bene ha decretato nessuno lo può impugnare . jane

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  2. Il "papa" chi, scusi? Monsieur Gorgoglio? Quello è papà come io sono il generale Custer...

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  3. non portano le persone a Cristo x salvarsi .....hanno deciso di portare i peccatori alla dannazione eterna.....non seguiamoli...

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