ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 13 ottobre 2014

Prima teologo, poi peloso..

Ora è il “turno del teologo”

Sembra che a turno i diversi porporati si divertano a dare il proprio contributo “illuminante” sulle questioni discusse nel Sinodo.

Tocca ora a Mons. Rino Fisichella, che, come risulta dal sito ufficiale della CEI, ricopre numerosi incarichi di prestigio: Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione; Membro del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi; Membro della Congregazione per la Dottrina della Fede; Membro della Congregazione delle Cause dei Santi; Membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; Membro del Pontificio Consiglio della Cultura; Membro del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; Membro del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali…

Insomma uno che “pesa”.

Ebbene il porporato, in una intervista a Vatican Insider, si lancia, con originalità, dice lui, per cercare di superare l’ostacolo “Avrei un'idea per uscire dall'impasse... Ci sono passi del Nuovo Testamento che non ho ancora sentito citare e che potrebbero orientare”; siamo tutt’orecchi!

Vediamo cosa dice.

D. Come giudica il dibattito di questi primi tre giorni di Sinodo?
RI lavori si svolgono in un clima positivo, si percepisce la cattolicità della Chiesa, entrando in aula bisogna dimenticare la propria nazionalità altrimenti non ci si sintonizza con gli altri»

Qui ci troviamo di fronte ad un’inversione del principio di cattolicità. Essa infatti non implica la sintonia con un vago sentire comune, una pluralità indistinta, che prescinda dall’unità, ma l’adesione piena e previa ad una unità di pensiero e di vita, che prescinda da differenze geografico-logistiche. Quel che si avverte, invece, nelle parole del prelato, è una sorta di anelito alla scoperta del nuovo ampio respiro poliedrico, di cui il mondo sarebbe allegramente pieno, “bello perché vario”.

Tale visione implica la non consapevolezza che l’unità e la cattolicità siano due facce di una stessa medaglia; Uno è Cristo e a Lui tutto si conforma e tende. La Chiesa è Una in un solo Spirito, una sola dottrina, un solo sentire e vivere; e questa sua vita è talmente esuberante da essere universale, cioè capace di abbracciare tutti i popoli e nazioni, portandoli in Dio. È la verità che in sé racchiude e supera le esigenze dell’uomo, alzandone il livello verso Dio stesso, fonte della verità. Non è il contrario, cioè la verità non si costruisce dalla sommatoria delle diversità, quasi per suffragio universale, rimanendo pertanto sul piano orizzontale, ma è la purificazione degli errori, ascensione verso l’alto, tendenza verticale.

La sintonia quindi esiste già, per il fatto di essere tutti nella Chiesa, oppure non è.

D. Dalle sintesi degli interventi sembra che molti manifestino vicinanza e attenzione alle situazioni difficili. È così?
R. «La Chiesa non è estranea ai problemi che vivono uomini e donne del nostro tempo. Questo cammino è il frutto di decenni, è un atteggiamento che risale al Concilio Vaticano II, poi ripreso da Paolo VI e da Giovanni Paolo II, il quale nell'enciclica "Redemptor hominis" ha detto la Chiesa nel cammino verso l'uomo non può essere fermata da niente e da nessuno. Francesco non fa che portare alle più immediate e visibili conseguenze quello che è il sentire della Chiesa. D'altra parte al responsabile del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione questo non può che allargare il cuore: l'evangelizzazione si gioca in una presenza dei cristiani là dove questi vivono».

Purtroppo dobbiamo ritenere offensivo il riferimento storico; offensivo nei confronti della Chiesa santa di Dio ed offensivo nei confronti di Gesù Cristo. Perché se le parole hanno un significato, siamo obbligati ad intendere la Chiesa prima del Vaticano II come estranea ai problemi delle persone, quindi lontana, non abbastanza comprensiva, incapace di divinizzare, quindi non Divina. La Chiesa perderebbe pertanto la connotazione di santità, che invece le appartiene. Il neomodernismo parte sempre da questo presupposto: prima del Vaticano II non si era capito granché. I Papi del passato, i grandi santi, ma alla fin fine anche gli apostoli e Gesù stesso (a ben vedere), tutti biechi latori di oscurantismo, privo di quella carità materna, cosa che si scopre solo faticosamente, dopo 1960 anni e più, destandosi dal torpore.

D. La dottrina sul matrimonio secondo lei sarà modificata dopo il percorso sinodale?
R. «Non ho ascoltato neanche un intervento in aula che mettesse in dubbio la dottrina sull'indissolubilità. Questo Sinodo è chiamato a dare delle prime risposte in vista del cammino che porterà al Sinodo ordinario, sullo stesso tema della famiglia, in programma per l'ottobre 2015. La vera preoccupazione è pastorale: come dare il segno dell'accoglienza, di una Chiesa che è chiamata a camminare accompagnando gli uomini e le donne di oggi, senza escludere nessuno, rimanendo nell'insegnamento di Gesù? Questa è la vera sfida. Tutti abbiamo chiara consapevolezza dei principi fondamentali, ma dobbiamo essere capaci di trovare dei linguaggi, delle forme, delle espressioni e dei comportamenti che siano più possibile segno di vicinanza della Chiesa e non di esclusione. Tutti percepiamo il grande divario che intercorre tra la proposta culturale maggioritaria presente nel mondo globalizzato di oggi, e la proposta cristiana sul matrimonio e la famiglia. Ci sono poi differenze notevoli nelle varie realtà ecclesiali e culturali: l'Europa non è l'Africa né America Latina».

La dottrina non si discute. Ma certamente! Questo è un “assopigliatutto” del modernismo; non si nega nulla, ma se ne riscrive il significato, riempendolo di “se” e di “ma”. In realtà la pastorale, di cui Fisichella si dice preoccupato, deve essere attuazione caritatevole della dottrina, senza possibilità di derogare ad essa; “chi non è con me, è contro di me…e chi non raccoglie con me, disperde” (Lc. 11, 23; Mt. 12, 30). Inutile fare giri di parole, la Chiesa ha già precisato tutto e chiaramente: peccato e grazia non possono convivere. La vera autentica e massimamente caritatevole pastorale toglie l’uomo dal peccato e lo innalza verso la vera Vita. Questo è l’atto di carità vero da cui non si può prescindere in ogni opera di evangelizzazione. I modi potranno pure essere differenti, ma se il fine non è portare alla Vita eterna, sono inutili. E, si ricordi, che il fine buono non giustifica mai il mezzo cattivo. Quindi tale avvicinamento deve passare necessariamente per una penitenza sacramentale di richiesta di perdono e di conseguente remissione dei peccati, che è cosa diversa dal “percorso penitenziale” di cui si sente parlare in giro tra i vescovi e che sarebbe capace di giustificare e tenere in piedi legittimamente più di un matrimonio!!!!

Del resto la Sacra Scrittura è già chiara: “e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” (Luca 24, 47). Attenti alla sequenza logica, inevitabile. Non c’è perdono, senza conversione.
In cosa consiste quindi la pastorale? Nel presentare il perdono di Dio, fondandosi sulla verità del peccato e sull’efficacia della Grazia. Lo spiega bene Gesù: “Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane»” (Giovanni 9, 41).
Il permanere nella medesima condizione è indice del fatto che non c’è stato alcun movimento verso Dio… e se non c’è questo, tutto il resto non salva. Del resto l’opera di convincimento “quanto al peccato” è azione dello Spirito Santo; lo spirito dei tempi, di cui questi neomodernisti si riempiono la bocca, quello che la Chiesa dovrebbe ascoltare, non convince quanto al peccato. Esso sembra al contrario confermare in esso, accondiscendendo alla umana debolezza.
Ma che l’uomo sia debole non ce lo deve dire Fisichella. Gesù ci ammonisce nel santo Vangelo: “lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt. 26, 41); oltre a tale diagnostica constatazione, nello stesso versetto Cristo dà anche la salutare terapia: “vegliate e pregate”! Ecco la chiave della vera pastorale, della cosiddetta “nuova evangelizzazione”: annunziare la verità, palesare il peccato, offrire il perdono, per mezzo della conversione, ed indicare i mezzi che tutto questo rendano possibile, veglia (pertanto penitenza) e preghiera (e quindi vita sacramentale). Così facevano gli Apostoli, così si legge nello sprono delle loro lettere sacre; così hanno insegnato i santi e così ha da sempre confermato il Magistero perenne della Chiesa.

Cos’altro si vuole inventare?

Ma andiamo avanti.

Alla scottante domanda sulla riammissione alla santa Comunione dei divorziati risposati, ecco cosa risponde:
“…Tutti conosciamo purtroppo situazioni in cui la bellezza del matrimonio è stata ferita, adombrata. Io penso che il matrimonio abbia subito un eccesso di accentuazione canonistica, e quindi legale, cadendo molte volte nel legalismo, che ha adombrato invece la dimensione sacramentale. Un recupero di quest'ultima dimensione credo potrebbe favorire l'individuazione di soluzioni differenti, pur in continuità con la dottrina originaria. Qui allora torniamo al primato della coscienza, sulla quale niente e nessuno può intervenire. È ovvio però che deve essere una coscienza illuminata dalla parola di Dio, sostenuta, accompagnata, che si sottopone al discernimento, che accetta l'obbedienza di un cammino. Ovvio che non può essere una coscienza libertina.”

Solito tentennare titubante, che cerca di conciliare l’inconciliabile. Il legalismo avrebbe attanagliato la dimensione sacramentale! Ammesso e non concesso che sia vero, benissimo! Proprio la dimensione sacramentale vogliamo che venga esaltata, risplendendo della sua autentica bellezza; quindi, si abbandonino gli adulteri e le impudicizie di opere e pensieri di cui san Paolo e Gesù stesso ci avvisano portare alla perdizione. E che questa nuova luce non possa che venire dall’adeguamento della coscienza alla Luce divina è affermazione verissima, che, tuttavia, sembra contraddire il supposto “primato della coscienza” su cui non sia dato intervenire. Cosa se ne ricava? Un ossimoro di impossibile soluzione. Ma il teologo, una via di scampo l’ha trovata.

D. Come coniugare allora la dottrina e l'attenzione a certe situazioni? Come risponde il teologo Fischella?
R. «Avrei un'idea per uscire dall'impasse. Ci sono esempi nel Nuovo Testamento che non ho visto citati nel dibattito che ha preceduto questo Sinodo. Il primo è questo: Gesù dice che i peccati contro il Figlio dell'Uomo saranno perdonati, mentre non saranno perdonati quelli contro lo Spirito Santo. Credo che nel primo caso si tratti dei peccati di ignoranza, e dunque dovremmo capire quali siano questi peccati commessi senza rendersene conto, che potrebbero trovare un nuovo spazio nel confessionale. E poi c'è san Paolo: nella prima Lettera ai Corinzi aveva ordinato di cacciare dalla comunità una persona che viveva l'incesto, un peccato gravissimo. Ma poi, nella seconda Lettera ai Corinzi, l'apostolo ritorna sul caso e dice a quella comunità: voi lo dovete perdonare, lo dovete accogliere nuovamente, perché non abbia a soccombere sotto il peso della tristezza e perché noi non dobbiamo essere sopraffatti da Satana. Come fare per non essere sopraffatti da Satana, che è colui che divide? Non sappiamo quale sia stata la vita successiva di quest'uomo, ma san Paolo qui dà un ordine preciso e dice chiaramente che la comunità deve "consolare". Non potremmo trovare qui una dimensione utile come orientamento per coniugare i principi e la vita concreta delle comunità?».

Crediamo, ci scusi il lettore, che non sia possibile rinvenire una risposta seriamente argomentata dalle righe sopra riportate. Quale sarebbe la soluzione? L’ignoranza? Da sempre, perché il peccato sia grave, è necessaria la piena consapevolezza, purché, è chiaro, non si tratti di ignoranza “affettata”, colpevole. Dunque, qui cade la prima parte dell’originale soluzione del monsignore.

Veniamo alla lettera di san Paolo. Non ci appare corretto quello che afferma Fisichella “Non sappiamo quale sia stata la vita successiva di quest'uomo”; è vero san Paolo non lo dice, ma parla di un castigo e di una punizione abbattutasi su di lui; una situazione che è cambiata, proprio in vista di quel castigo; c’è stata riprensione ed ora quella persona, molto verosimilmente, ha cambiato vita. Si scorge tale realtà dalla tristezza che lo ha invaso; capire di aver sbagliato e voler tornare, mentre la comunità, in certo modo scottata, ancora resiste. Chi permane nell’errore non si rattrista di esso e non vuole cambiare. Parliamoci chiaro: la maggior parte dei cosiddetti “divorziati risposati” se ne infischia del Sacramento! Quei pochi a cui interessa, se non trovano un sacerdote debole e connivente, prendono in seria considerazione l’idea di cercare una soluzione che li avvicini a Cristo.

Perché la verità è questa: non esistono insolubili questioni, nel caso in cui si decida di abbandonare il peccato. Invece, quello che sembra dire il monsignore viaggia su un binario differente, partendo da una presunzione di impossibilità, addirittura per Dio stesso. Perfino nel caso estremo, quello, per esempio, di una coppia divorziata/risposata con figli (e che pertanto non possa apparentemente interrompere la convivenza), Dio non abbandonerebbe chi a Lui col cuore si apra alla sua Grazia. Questo ci dice la lettera di san Paolo, lungi dall’insegnare, al contrario, una possibile complicità/convivenza col male. E vogliamo provocare: se anche si interrompesse quella convivenza? Statene certi, se i genitori abbracciassero Cristo, i figli non ne subirebbero danni, ma ne sarebbero profondamente edificati.

Si tratta di fidarsi di Gesù e della sua Parola; tutto questo ciarlare di monsignori, teologi e generali ci svela in fondo in fondo il vero peccato del modernismo: non credere più a nulla.

di F. R.


  La pastorale “pelosa” del cardinale Scola


di Belvecchio






Quando abbiamo letto l’intervista che il cardinale Angelo Scola ha rilasciato a Paolo Rodari per La Repubblica, ieri 12 ottobre 2014, siamo stati tentati dal cestinarla, perché i contorsionismi ci provocano sempre un senso di ripulsa. Ma poi ci siamo ricordati che l’attuale arcivescovo di Milano è reputato un “conservatore”, tra l’altro molto vicino all’“emerito” Joseph Ratzinger, in fama di “tradizionalista”; e allora ci siamo applicati a leggerla con attenzione, ed ecco cosa ne è venuto fuori.

Oggi abbiamo un Papa la cui esperienza pastorale è passata attraverso il travaglio della condivisione profonda dell'emarginazione, della povertà, arrivando a formulare una teologia e una cultura significative per tutti. Per noi europei questo costituisce una provocazione che all'inizio può essere anche destabilizzante, ma che se fatta propria, come chiesto dalla natura comunionale della Chiesa, risulta assolutamente preziosa.

Questa affermazione rivela chiaramente quale è stato il motivo per cui è stato scelto Bergoglio alla guida dalla nuova Chiesa conciliare e conferma quanto abbiamo detto più volte circa la precisa volontà dei cardinali in Conclave di scegliere un uomo che avrebbe rivoltato come un calzino la dottrina e la pratica della Fede.
Rivelatore è quel “travaglio della condivisione profonda dell’emarginazione, della povertà” che avrebbe generato “una teologia e una cultura significative per tutti”. Come dire che per duemila anni la Chiesa e i papi non avrebbero capito granché dell’emarginazione e della povertà e quindi avrebbero formulato teologie e culture senza significato.
Sarà pure un modo di esprimersi, ma per un cardinale si tratta di un modo di pensare che è più prossimo a Marcuse e ad Adorno che a Gesù Cristo. Un atteggiamento mentale che considera “assolutamente preziosa” la detta esperienza, tenuto conto che nelle “periferie” argentine evangelizzate a suo tempo da Bergoglio, il 90 per cento delle coppie non sono sposate, la pratica religiosa è quasi inesistente e il cattolicesimo ha ceduto il posto a tutto quanto c’è di acattolico e anticattolico.
E come dice il cardinale: “Stiamo andando in questa direzione e, per questo, il futuro è carico di speranza.

Ma il tema dell’accesso alla comunione sacramentale dei divorziati risposati si è inserito nella necessità, sentita da tutti, di chinarsi sull’intera realtà della famiglia, preziosissima per la Chiesa e per la società”.

Espressione che rivela come il cardinale Scola sia convinto che la moderna realtà della famiglia, che corrisponde alla deflagrazione di ciò che dovrebbe seriamente essere, sia un dato da tenere in conto indipendentemente dai disvalori che esprime.

Ed è l’intera realtà moderna che viene vista in chiave di “comprensione”: “Inoltre nel dibattito sono emerse altre situazioni complesse e difficili. Ad esempio, il tema della poligamia ha avuto un grande peso sia negli interventi dei padri africani sia in quelli degli asiatici. Nessun argomento delicato, comunque, compreso quello della omosessualità, è stato taciuto”.

E a noi sembra che a questo logico bisogno di non tacere sulle diverse scomposte realtà che esistono oggi in seno alla compagine cattolica, si accompagni un eguale bisogno – illogico – di tacere sulla valenza di tali realtà e sulla portata dirompente che hanno nei confronti della famiglia cattolica.

Ritengo che il nesso tra eucaristia e matrimonio resti sostanziale. Pertanto coloro che hanno contratto un nuovo matrimonio si trovano in una condizione che oggettivamente non consente l’accesso alla comunione sacramentale. Lungi dall’essere una punizione, è l’invito ad un cammino. Queste persone sono dentro la Chiesa, partecipano attivamente alla vita della comunità. Si potranno rivedere talune esclusioni: per esempio la loro partecipazione al consiglio pastorale o la possibilità di insegnare in una scuola cattolica. Personalmente però, sul piano sostanziale, non trovo ancora una risposta alla possibilità che accedano alla comunione sacramentale senza colpire nei fatti l’indissolubilità del matrimonio.”

Una sorta di qui lo dico e qui lo nego, ma soprattutto la maniera moderna di riaffermare cheil divorzio pone fuori dalla comunione cattolica, ma non tanto – “sono dentro la Chiesa, partecipano attivamente alla vita della comunità” –;  esclude dalla comunione sacramentale, ma non tanto – “Si potranno rivedere talune esclusioni” -; colpisce nei fatti l’indissolubilità, ma non tanto – “non trovo ancora una risposta alla possibilità che accedano alla comunione sacramentale”.
Insomma una sorta di anticipazione di ciò che leggeremo nel documento conclusivo di questo Sinodo: il matrimonio è indissolubile, sì… però; no la comunione ai divorziati risposati,sì… ma.
In perfetta continuità con il linguaggio biforcuto del Vaticano II.

Tale che il rimedio pratico – pastorale – si profila essere l’allineamento della disciplina della Chiesa alla legislazione laica: dichiarare nulli i matrimonii di coloro che vogliono rompere l’indissolubilità del matrimonio e vogliono divorziare e risposarsi… magari più e più volte – “molti padri hanno chiesto di rivedere la modalità di verifica della nullità del matrimonio dando più peso al Vescovo. Io stesso ho fatto una proposta in tal senso”.

E non poteva mancare l’ossequio delle direttive del mondo con il riconoscimento che “È fuori dubbio che siamo stati lenti nell’assumere uno sguardo pienamente rispettoso della dignità e dell’uguaglianza delle persone omosessuali”… con tanto di rottamazione del Vangelo e della legge di Dio.
Fino al punto che si possa giungere al riconoscimento delle coppie omosessuali, a condizione che per queste si inventi una nuova terminologia e si eviti di usare i termini “famiglia” e “matrimonio”: “Per quanto riguarda le loro unioni, le parole indicano le cose. Non è giusto suscitare, direttamente o indirettamente, confusione su una cosa decisiva come la famiglia. Ritengo che la parola ‘famiglia’, insieme alla parola ‘matrimonio’, vada riservata all’unione stabile, aperta alla vita tra l’uomo e la donna. Per il duo o coppia omosessuale si dovrà trovare un altro vocabolo.”

L’ipocrisia e la falsità di questa dichiarazione è quanto di più sovversivo si potesse ascoltare dalla bocca di un cattolico, figuriamoci di un cardinale!
Il quale non si ferma qui, ma introduce, per le coppie omosessuali così legittimate, anche l’approvazione dell’adozione e dell’uso dell’inseminazione artificiale e dell’utero in affitto: “Anche la questione della filiazione, soprattutto con la surrogazione di maternità, apre un problema molto grave”.

E quando il giornalista gli chiede: “C’è una nuova freschezza nella Chiesa?”, il cardinale, invece di precisare che non di freschezza si tratta, ma di sporcizia, ci informa che: “la Chiesa è davanti a una grande prova: il confronto con la rivoluzione sessuale è una sfida forse non inferiore a quella lanciata dalla rivoluzione marxista”.
Espressione che fa tremare le vene i polsi, poiché vista la resa decretata dal Vaticano II di fronte al dilagare del marxismo, fa presagire una pastorale impegnata nella promozione della rivoluzione sessuale… peraltro col solito ritardo endemico di appena cinquant’anni rispetto il mondo. La vittoria definitiva di Marcuse sul Vangelo.

E bravo il cardinale!

Il quale sembra convinto della bontà dell’assurdo: “dobbiamo paragonarci con visioni dell’uomo assai diverse. Non basta una risposta intellettuale. Occorre rigenerare dal basso il popolo di Dio, con una nuova educazione all’amore che incominci fin dall’adolescenza”.

Cosa che, tradotta in termini pratici o, se si vuole, in termini “pastorali”, può solo significare che si seguirà l’esempio del mondo e nelle nostre parrocchie si praticherà l’“educazione sessuale”, la propaganda omosessualista, la cultura del “gender” e qualunque altra porcheria il mondo ci vorrà proporre per la definitiva perdizione delle anime.

Come definire questa prospettiva se non col termine “apostasía”?
Gli uomini di Chiesa che apostatano la dottrina di Cristo per abbracciare la dottrina del mondo; per di più dopo che il mondo ha definitivamente scoperto le sue carte, chiamando tutti a raccolta per l’edificazione di un “nuovo ordine mondiale”.

Ma non c’è “nuovo ordine mondiale” che non necessiti di un’apposita religione, e le logge massoniche hanno sempre lavorato per instaurare la nuova religione dell’uomo che abbia la sua “chiesa universale” che contenga in sé tutte le credenze e tutte le chiese, compresa la “cattolica”, apostolica, romana. 
Con discorsi del genere appare evidente come tanti cattolici, anche inconsciamente, abbiano ormai aderito a questa prospettiva, dimostrando la verità di ciò che un caro amico ci suggerisce: “la madre di Giuda è sempre incinta”.

Che Dio perdoni questi traditori della Fede.E abbia pietà di noi tutti peccatori. 
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV986_Belvecchio_Pastorale_pelosa_Scola.html

Il Vescovo di Milano e la seduzione del secolo – di Patrizia Fermani

Redazione
L’arcivescovo di Milano, che un tempo infliggeva una penitenza esemplare all’imperatore che aveva violato i comandamenti di Dio, oggi assume il linguaggio fasullo del giuridichese televisivo degli Augias e delle Gruber, e auspica una veste giuridica per unioni che egli dovrebbe indicare come incompatibili con la morale cristiana…
di Patrizia Fermani
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zzsmbrgC’è stato un tempo in cui il papa ha scomunicato il re e il vescovo ha inflitto all’imperatore una penitenza esemplare. Non è stato il papa a cambiare la dottrina per compiacere il potente Enrico che pure si era proclamato Defensor Fidei, ma è stato Enrico a doversi fare una chiesa su misura e a tagliare la testa al proprio riottoso cancelliere, che volle rimanere fedele alla Chiesa di Cristo e non adeguarsi a quella nuova di zecca varata dal sovrano.
Il più grande predecessore dell’attuale arcivescovo di Milano inflisse una penitenza esemplare al grande imperatore cristiano che aveva ripagato l’uccisione del comandante militare della città di Tessalonica con una immane strage anche di persone innocenti.
Quei papi e quei vescovi non potevano di certo barattare il Vangelo e i comandamenti con il vantaggio di una armonica coesistenza col potere politico. Non lo avrebbero immaginato possibile, e non entrava nelle aspettative della gente comune.
Oggi no. La Chiesa si è “inginocchiata davanti al secolo”, come ebbe a dire fuori tempo massimo e anche un po’ spudoratamente un tardivo Maritain che a quell’inginocchiamento aveva contribuito in modo decisivo.
Ma il secolo traduce le sue pretese e le sue voglie in leggi dello Stato avulse da qualunque criterio che non sia quello delle pretese e delle voglie del secolo. Perché, in un fatale circolo vizioso, lo Stato, avendo rinunciato ad avere punti di riferimento in una legge che lo precede come quella che invocava Antigone, soddisfa ogni richiesta in base a calcoli di convenienza politica o di imposizione mediatica.
In questo scenario, la Chiesa inginocchiata davanti al secolo assume come proprio criterio etico quello adottato dallo Stato, mentre mette in cantina una missione che non le era stata conferita da uno qualunque, e che è la sola capace di assicurarle la sopravvivenza e la ragione di esistere. Cosa ci fa una Chiesa che parla il linguaggio della peggiore politica, che parla di diritto e di diritti senza più comprendere neppure la falsificazione del significato subita da queste parole profane? Che non riconosce più neppure il significato e i contenuti della legge divina?
L’arcivescovo di Milano, che un tempo infliggeva una penitenza esemplare all’imperatore che aveva violato i comandamenti di Dio, oggi assume il linguaggio fasullo del giuridichese televisivo degli Augias e delle Gruber, e auspica una veste giuridica per unioni che egli dovrebbe indicare come incompatibili con la morale cristiana (CLICCA QUI per leggere l’estratto dal Corriere.it). Non solo. Si rammarica persino di non riuscire a  suggerire le sigle più adatte per queste unioni che, una volta consacrate dalla legge, contribuiranno sicuramente alla salute morale della società come alle aspirazioni economiche dell’ignaro contribuente.
Ambrogio, che pure era legato a Teodosio da una profonda virile amicizia, aveva detto: “Ci reca più gioia essere perseguitati dagli imperatori che essere amati da loro”. E Teodosio a sua volta potè dire: “Con fatica ho imparato la differenza tra imperatore e sacerdote, con fatica infatti trovai un maestro di verità. So che Ambrogio soltanto è degno di essere chiamato Vescovo”.
In questi tempi violenti e confusi, in cui la violenza e la confusione si nascondono dietro la falsità delle parole di cui sono figlie, tutti vorremmo avere dei vescovi che fossero, per tutti, intrepidi maestri di verità.
http://www.riscossacristiana.it/il-vescovo-di-milano-la-seduzione-del-secolo-di-patrizia-fermani/

2 commenti:

  1. spiegatemi in cosa si distingue l'insegnamento della chiesa da quello del mondo?ormai hanno tolto il recinto dei comandamenti .....è purtroppo non è la chiesa di Gesù.....non seguiamoli!

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  2. Ambrosiano pacelliano17 ottobre 2014 alle ore 22:54

    Dice l'Arcivescovo: "Certo, la Chiesa è davanti a una grande prova: il confronto con la rivoluzione sessuale è una sfida forse non inferiore a quella lanciata dalla rivoluzione marxista."

    Poi pero' dice: "Occorre rigenerare dal basso il popolo di Dio, con una nuova educazione all'amore che incominci fin dall'adolescenza e nella consapevolezza che la famiglia è il soggetto della pastorale e non l'oggetto."

    E a me non sta bene: sapendo che siamo nell'era della rivoluzione sessuale io non credo di voler "essere rigenerato". Soprattutto "dal basso".

    Poi se la "pastorale" ha per "soggetto" la famiglia, vuol dire che tra 10 anni le nostre parrocchie saranno come le "comunita' di base" di we-are-church...

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