La scandalosa mezza messa all’Indice del libro di Socci sul Papa
Antonio Socci (foto LaPresse)
Roma. Ci si chiede, sinceramente, che libro abbiano letto i detrattori più implacabili di “Non è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta” di Antonio Socci (Mondadori, 282 pagine, 18 euro). Ci si chiede, soprattutto, se lo abbiano letto i responsabili delle Librerie Paoline. Le stesse che, tramite la portavoce suor Beatrice Salvioni, hanno annunciato di non voler “promuovere un libro la cui tesi non è stata approvata e con accuse infondate”. L’improvvisata messa all’indice si sta rivelando in verità piuttosto traballante, come abbiamo potuto verificare personalmente.
ARTICOLI CORRELATI Bergoglio O.O, Papa nullo. E Ratzinger ancora lo è Socci sul Papa? Ciarpame senza pudoreNon è un libro per anime belle, quello di Socci, e nemmeno per cattolici da telefoni bianchi. Anche in epoca di parresìa (nel senso di “franchezza, sincerità, parlar fuori dai denti”), la dose che ne troviamo in queste pagine rischia a più riprese l’eccesso, la sgradevolezza, l’iperbole (è fantapapismo, ha detto in sostanza qualcuno). E’ un rischio consapevole, che Socci ha ritenuto onestamente – magari spericolatamente – di dover correre. Le domande che si fa – perché il libro è fatto di domande più che di risposte – non sono mai impertinenti, nel senso che sono congrue rispetto a quello di cui si sta parlando, e portano alla luce dubbi tutt’altro che folli o illegittimi o inventati. L’autore, come è ormai noto, non nasconde la sua forte delusione per i primi passi del pontificato di Jorge Mario Bergoglio: le interviste corsare che “aboliscono” il peccato, rettificate ma non troppo; le “aperture” che si prestano a essere interpretate come sconfessioni di verità di fede fino a oggi ritenute tali e che sembrano fatte apposta per compiacere il mondo; l’attitudine dialogante erga omnes – e che dovremmo volere di più e di diverso, da un Papa? – la quale trova, tuttavia, paradossali smentite nel caso dei francescani dell’Immacolata, colpiti da un anatema pontificio a tutt’oggi privo di evidente spiegazione; le assonanze con le tesi dell’“Ante-papa” (così si autodefiniva) Carlo Maria Martini, a partire dalla non volontà di convincere gli atei e dal rifiuto del proselitismo. Il che, detto dal cardinal Martini, che fu elegantemente abituato a “épater les catholiques”, poteva pure essere comprensibile. Ma da un Papa non è precisamente quello che ci si aspetterebbe, osserva Socci. Il quale arriva al punto – ed è il vero punto debole – di mettere in dubbio la correttezza procedurale dell’elezione di Francesco (senza però mai imputarla, in nessun caso, al Pontefice stesso), partendo da quanto rivelato in una cronaca da una giornalista che è grande amica di Bergoglio.
Una domanda la facciamo noi, adesso: in tempi – anche bergogliani – di parresìa, può essere un peccato così imperdonabile il richiamo – che non nasconde la nostalgia – a Ratzinger e a Wojtyla (si tratta in fondo di due grandi Papi, non di colleghi di De Mello) che Socci, cattolico appassionato, profonde a piene mani nel suo libro? “Alla fine la verità ci farà liberi”, scrive Socci nell’ultima riga, citando il vangelo di Giovanni. Su questo, si spera, tutti d’accordo.
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