Leggendo il
documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 14 settembre
1994 Circa la recezione della Comunione Eucaristica da parte di fedeli divorziati
risposati (grassetti e sottolineature sono mie) mi sorge una domanda
semplice semplice: che cosa è cambiato? Che cosa è cambiato rispetto a venti
anni fa? Perché discutere di cose cui la Chiesa si è già pronunciata dicendo di
non avere, anche volendo, competenza per cambiare anche solo la prassi (che poi
non c’è mutamento di prassi senza mutamento di dottrina), figuriamoci la
dottrina?
CONGREGAZIONE PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE
LETTERA
AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
CIRCA LA RECEZIONE
DELLA COMUNIONE EUCARISTICA
DA PARTE DI FEDELI DIVORZIATI
RISPOSATI
AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
CIRCA LA RECEZIONE
DELLA COMUNIONE EUCARISTICA
DA PARTE DI FEDELI DIVORZIATI
RISPOSATI
Eccellenza Reverendissima,
1. L'Anno Internazionale della Famiglia è un'occasione
particolarmente importante per riscoprire le testimonianze dell'amore e della
sollecitudine della Chiesa per la famiglia(1) e, nel contempo, per riproporre
le inestimabili ricchezze del matrimonio cristiano che della famiglia
costituisce il fondamento.
2. In questo contesto una speciale attenzione meritano
le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni
matrimoniali irregolari(2). I pastori sono chiamati a far sentire la carità di
Cristo e la materna vicinanza della Chiesa; li accolgano con amore, esortandoli
a confidare nella misericordia di Dio, e suggerendo loro con prudenza e
rispetto concreti cammini di conversione e di partecipazione alla vita della
comunità eccesiale(3).
3. Consapevoli
però che l'autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai
disgiunti dalla verità(4), i pastori hanno il dovere di richiamare a questi
fedeli la dottrina della Chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in
particolare la recezione dell'Eucaristia. Su questo punto negli ultimi
anni in varie regioni sono state proposte diverse soluzioni pastorali secondo
cui certamente non sarebbe possibile un'ammissione generale dei divorziati
risposati alla Comunione eucaristica, ma essi potrebbero accedervi in
determinati casi, quando secondo il giudizio della loro coscienza si
ritenessero a ciò autorizzati. Così, ad esempio, quando fossero stati
abbandonati del tutto ingiustamente, sebbene si fossero sinceramente sforzati
di salvare il precedente matrimonio, ovvero quando fossero convinti della
nullità del precedente matrimonio, pur non potendola dimostrare nel foro
esterno, oppure quando avessero già trascorso un lungo cammino di riflessione e
di penitenza, o anche quando per motivi moralmente validi non potessero
soddisfare l'obbligo della separazione.
Da alcune parti è stato anche proposto che, per
esaminare oggettivamente la loro situazione effettiva, i divorziati risposati
dovrebbero intessere un colloquio con un sacerdote prudente ed esperto. Questo
sacerdote però sarebbe tenuto a rispettare la loro eventuale decisione di
coscienza ad accedere all'Eucaristia, senza che ciò implichi una autorizzazione
ufficiale.
In questi e simili casi si tratterebbe di una
soluzione pastorale tollerante e benevola per poter rendere giustizia alle
diverse situazioni dei divorziati risposati.
4. Anche se è noto che soluzioni pastorali analoghe
furono proposte da alcuni Padri della Chiesa ed entrarono in qualche misura
anche nella prassi, tuttavia esse non ottennero mai il consenso dei Padri e in
nessun modo vennero a costituire la dottrina comune della Chiesa né a
determinarne la disciplina. Spetta al Magistero universale della Chiesa, in
fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione, insegnare ed interpretare
autenticamente il «depositum fidei».
Di fronte alle nuove proposte pastorali sopra
menzionate questa Congregazione ritiene pertanto doveroso richiamare la
dottrina e la disciplina della Chiesa in materia. Fedele alla parola di Gesù Cristo(5), la Chiesa afferma di non poter
riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente
matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in
una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non
possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura
tale situazione(6).
Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque
discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una
situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla Comunione
eucaristica: «Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la
loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore
tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo
pastorale; se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli
rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa
sull'indissolubilità del matrimonio»(7).
Per i fedeli che permangono in tale situazione
matrimoniale, l'accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente
dall'assoluzione sacramentale, che può essere data «solo a quelli che, pentiti
di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono
sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con
l'indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e
la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non
possono soddisfare l'obbligo della separazione, "assumano l'impegno di
vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei
coniugi"»(8). In tal caso essi possono accedere alla comunione
eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo.
5. La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa
materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare
dall'Esortazione Apostolica «Familiaris consortio». L'Esortazione, tra l'altro,
ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere
le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei
divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso
tempo ribadisce la prassi costante e universale, «fondata sulla Sacra
Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati
risposati»(9), indicandone i motivi. La struttura dell'Esortazione e il tenore
delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come
vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.
6. Il fedele
che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima
moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora
egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della
materia e le esigenze del bene spirituale della persona(10) e del bene comune
della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza
è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa(11). Devono anche ricordare
questa dottrina nell'insegnamento a tutti i fedeli loro affidati.
Ciò non significa che la Chiesa non abbia
a cuore la situazione di questi fedeli, che, del resto, non sono affatto
esclusi dalla comunione ecclesiale. Essa si preoccupa di accompagnarli
pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita ecclesiale nella misura in
cui ciò è compatibile con le disposizioni del diritto divino, sulle quali la
Chiesa non possiede alcun potere di dispensa(12). D'altra parte, è necessario illuminare i fedeli interessati affinché non
ritengano che la loro partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente
ridotta alla questione della recezione dell'Eucaristia. I fedeli devono essere
aiutati ad approfondire la loro comprensione del valore della partecipazione al
sacrificio di Cristo nella Messa, della comunione spirituale(13), della
preghiera, della meditazione della Parola di Dio, delle opere di carità e di
giustizia(14).
7. L'errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da
parte di un divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza
personale si attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base
della propria convinzione(15), dell'esistenza o meno del precedente matrimonio
e del valore della nuova unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile(16).
Il matrimonio infatti, in quanto immagine dell'unione sponsale tra Cristo e la
sua Chiesa, e nucleo di base e fattore importante nella vita della società
civile, è essenzialmente una realtà pubblica.
8. É certamente vero che il giudizio sulle
proprie disposizioni per l'accesso all'Eucaristia deve essere formulato dalla
coscienza morale adeguatamente formata. Ma è altrettanto vero che il consenso,
col quale è costituito il matrimonio, non è una semplice decisione privata,
poiché crea per ciascuno dei coniugi e per la coppia una situazione
specificamente ecclesiale e sociale. Pertanto il giudizio della coscienza sulla
propria situazione matrimoniale non riguarda solo un rapporto immediato tra
l'uomo e Dio, come se si potesse fare a meno di quella mediazione ecclesiale,
che include anche le leggi canoniche obbliganti in coscienza. Non riconoscere
questo essenziale aspetto significherebbe negare di fatto che il matrimonio
esiste come realtà della Chiesa, vale a dire, come sacramento.
9. D'altronde l'Esortazione «Familiaris consortio»,
quando invita i pastori a ben distinguere le varie situazioni dei divorziati
risposati, ricorda anche il caso di coloro che sono soggettivamente certi in
coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai
stato valido(17). Si deve certamente discernere se attraverso la via di foro
esterno stabilita dalla Chiesa vi sia oggettivamente una tale nullità di
matrimonio. La disciplina della Chiesa, mentre conferma la competenza esclusiva
dei tribunali ecclesiastici nell'esame della validità del matrimonio dei
cattolici, offre anche nuove vie per dimostrare la nullità della precedente unione,
allo scopo di escludere per quanto possibile ogni divario tra la verità
verificabile nel processo e la verità oggettiva conosciuta dalla retta
coscienza(18).
Attenersi al giudizio della Chiesa e osservare la vigente disciplina circa I obbligatorietà della forma
canonica in quanto necessaria per la validità dei matrimoni dei cattolici, è
ciò che veramente giova al bene spirituale dei fedeli interessati. Infatti, la Chiesa è il Corpo di Cristo e vivere nella comunione
ecclesiale è vivere nel Corpo di Cristo e nutrirsi del Corpo di Cristo.
Ricevendo il sacramento dell'Eucaristia, la comunione con Cristo Capo non può
mai essere separata dalla comunione con i suoi membri, cioè con la sua Chiesa.
Per questo il sacramento della nostra unione con Cristo è anche il sacramento
dell'unità della Chiesa. Ricevere la Comunione eucaristica in contrasto con le
norme della comunione ecclesiale è quindi una cosa in sé contraddittoria. La
comunione sacramentale con Cristo include e presuppone l'osservanza, anche se
talvolta difficile, dell'ordinamento della comunione ecclesiale, e non può
essere retta e fruttifera se il fedele, volendo accostarsi direttamente a
Cristo, non rispetta questo ordinamento.
10. In armonia con quanto sinora detto, è da
realizzare pienamente il desiderio espresso dal Sinodo dei Vescovi, fatto
proprio dal Santo Padre Giovanni Paolo II e attuato con impegno e con lodevoli
iniziative da parte di Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici: con
sollecita carità fare tutto quanto può fortificare nell'amore di Cristo e della
Chiesa i fedeli che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Solo così
sarà possibile per loro accogliere pienamente il messaggio del matrimonio
cristiano e sopportare nella fede la sofferenza della loro situazione.
Nell'azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene
che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta
alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l'indissolubilità
del matrimonio come dono del Creatore. Sarà necessario che i pastori e la
comunità dei fedeli soffrano e amino insieme con le persone interessate, perché
possano riconoscere anche nel loro carico il giogo dolce e il carico leggero di
Gesù(19). Il loro carico non è dolce e leggero in quanto piccolo o
insignificante, ma diventa leggero perché il Signore - e insieme con lui tutta
la Chiesa - lo condivide. É compito dell'azione pastorale che deve essere
svolta con totale dedizione, offrire questo aiuto fondato nella verità e
insieme nell'amore.
Uniti nell'impegno collegiale di far risplendere la
verità di Gesù Cristo nella vita e nella prassi della Chiesa, mi è grato
professarmi dell'Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mo in Cristo
Joseph Card. Ratzinger
Prefetto
Prefetto
+ Alberto Bovone
Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia
Segretario
Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia
Segretario
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel
corso dell'Udienza concessa al Cardinale Prefetto, ha approvato la presente
Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha
ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della Congregazione per
la Dottrina della Fede, il 14 Settembre 1994, nella festa dell'Esaltazione
della Santa Croce.
(1) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera alle
Famiglie (2 febbraio 1994), n. 3.
(2) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. apost.
Familiaris consortio, nn. 79-84: AAS 74 (1982) 180-186.
(3) Cf. Ibid., n. 84: AAS 74 (1982) 185;
Lettera alle Famiglie, n. 5; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1651.
(4) Cf. Paolo VI, Lett. enc. Humanae
vitae, n. 29: AAS 60 (1968) 501; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Reconciliatio
et paenitentia, n. 34: AAS 77 (1985) 272; Lett. enc. Veritatis splendor, n. 95:
AAS 85 (1993) 1208.
(5) Mc 10,11-12: «Chi ripudia la propria
moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna
ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».
(6) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica,
n. 1650; cf. anche n. 1640 e Concilio Tridentino, sess. XXIV: Denz.-Schoenm.
1797-1812.
(7) Esort. apost. Familiaris consortio, n.
84: AAS 74 (1982) 185-186.
(8) Ibid,. n. 84: AAS 74 (1982) 186; cf.
Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, n. 7: AAS
72 (1982) 1082.
(9) Esort. apost. Familiaris consortio, n.
84: AAS 74 (1982) 185.
(10) Cf. 1 Cor 11,27-29.
(11) Cf. Codice di Diritto Canonico, can.
978 § 2.
(12) Cf. Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 1640.
(13) Cf. Congregazione per la Dottrina
della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni
concernenti il Ministro dell'Eucaristia, III/4: AAS 74 (1983) 1007; S. Teresa
di Avila, Camino de perfección, 35, 1; S. Alfonso M. de' Liguori, Visite al SS.
Sacramento e a Maria Santissima.
(14) Cf. Esort. apost. Familiaris
consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.
(15) Cf. Lett. enc. Veritatis splendor, n.
55: AAS 85 (1993) 1178.
(16) Cf. Codice di Diritto Canonico, can.
1085 § 2.
(17) Cf. Esort. apost. Familiaris
consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185.
(18) Cf. CIC, cann. 1536 § 2 e 1679 e
CCEO, cann. 1217 § 2 e 1365 circa la forza probante delle dichiarazioni delle
parti in tali processi.
(19) Cf. Mt 11,30.
Cosa e' cambiato rispetto a vent'anni fa?
RispondiEliminaQuesto: che sono passati vent'anni, e la sovversione rivoluzionaria in vent'anni ne ha fatta di strada.
Saranno sempre piu' rari i pastori di anime che parleranno usando le parole di Dio e sempre piu' numerosi quelli che parleranno secondo lo spirito del mondo - mondo che non ha conosciuto Dio.
E succede che uno come Ratzinger, che ieri "frenava ma non troppo", oggi non frena neanche piu' e si rimette alla volonta' del guidatore al quale ha ceduto il volante e l'acceleratore.
Sì , ha ceduto..ma dopo aver speso una vita a mettere toppe sulle contraddizioni del 'santo subito' da prefetto prima e da papa dopo , dovendo fronteggiare al tempo stesso gli innovatori martinisti che imperversano oggi.
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