ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 1 novembre 2014

Domanda scomoda ma necessaria

a cui risponde san Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa.

Viviamo tempi di grande confusione in cui le autorità che dovrebbero chiarire e mettere ordine spesso agiscono in modo enigmatico.
Per essere più chiari, la verità è che ogni buon cattolico ha cominciato a porsi interrogativi su interrogativi a partire dalla sera del 13 marzo 2013, quando il Sommo Pontefice si affacciò dalla loggia vaticana senza insegne pontificali se non la talare bianca, salutando con il tutt’altro che solenne “buonasera”, parlando di se come del Vescovo di Roma e chiedendo la benedizione alla folla astante. Dopo quella sera gli interrogativi si sono fatti sempre più numerosi ed insistenti, giorno dopo giorno.
Molti, per amore al Papa e alla Chiesa, hanno tentato i salti mortali per difendere e giustificare quel che appare indifendibile; molti altri hanno praticato la sospensione del giudizio; moltissimi non vogliono più leggere nulla a riguardo del Papa per non restare turbati. Molti altri riversano la responsabilità di tale confusione sulla stampa: è la stampa, si dice, che fa dire al Papa cose che in realtà non dice, oppure che estrapola parole da contesti più ampi stravolgendone il significato. Come il caso delle due interviste concesse a Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, anticlericale, figlio di generazioni di massoni [qui], interviste nelle quali il Papa avrebbe detto, tra le altre cose che “non crede in un Dio cattolico”, che “il proselitismo è una solenne sciocchezza” e che “ciascuno di noi ha una sua visione del Bene ma anche del Male noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. Giustamente affermazioni simili hanno scandalizzato moltissimi ma, si è detto, Scalfari non ha registrato nulla, ha preso appunti e d’altronde lui stesso ha ammesso di aver rielaborato molto, anche se sempre comunque in base a quel che il Papa avrebbe detto.
Inoltre, dopo il Sinodo recentemente concluso, i dubbi si sono acuiti per la sensazione molto più che concreta che “dall’alto” si volesse dirigere il tutto in una direzione preordinata, almeno per stare all’opinione Edward Pentin [qui], il giornalista che ha sbugiardato il Card. Kasper relativamente all’intervista da lui rilasciata e poi negata in riferimento ai Vescovi africani. Oppure, ancora più chiaramente, a partire dalle affermazioni dello stesso Card. Kasper, che ha candidamente e pubblicamente sostenuto che chi si opponeva alla sua posizione, di fatto si opponeva al Papa [qui]. Questo, en passant, mi ricorda un altro doloroso caso di questi tempi, quello dei francescani dell’Immacolata, dove a sei religiosi sacerdoti che hanno domandato la dispensa e che sono stati accolti da un Vescovo cattolico, è stata comminata una sospensione a divinis con l’accusa di essere scismatici, perché sarebbero contro il commissariamento, dunque sono contro il Papa [qui]: non bisogna aver studiato la logica per comprendere la grossolana falsità di un tale ragionamento e la pericolosità di un sistema in cui i “colonnelli” si fanno forti, nell’ingiustizia, dell’assolutismo del potere centrale, volgendo ogni timida e legittima opposizione al loro fare autoritario o “sopra le righe” in un’offesa di lesa maestà delegata. Smetto qui perché sennò si fa troppo lunga.
Come dicevamo, dinanzi a tanta confusione le reazioni tra i cattolici sono molteplici: c’è chi si chiude occhi, orecchie, naso e bocca e chi invece ha il coraggio di porsi e di porre delle domande, anche quando queste domande sono scomode, com’è il caso di Antonio Socci nel suo libro “Non è Francesco”. Devo dire che ho sommamente apprezzato la citazione “battistiana” del titolo. Non so se sia intenzionale, ma credo di sì perché in effetti è di grande eloquenza, oltre ad essere di una rara delicatezza. In effetti, chi non si immedesima nel cantore di “Non è Francesca”, famosa canzone di Battisti [qui]? Un amico viene a dirgli di aver visto la sua amata Francesca insieme ad un altro e lui risponde che no, non è possibile che è lei, sarà un’altra. È la storia dell’amante (colui che ama) che non vuole vedere il male nell’amato, ma che cerca solo il bene e che, anche dinanzi all’evidenza del tradimento, cerca ragioni per continuare ad amare, per continuare a credere. Questa mi sembra, peraltro, anche la chiave di lettura del libro di Socci, scritto con amore e per amore del Santo Padre e della Chiesa: con delicatezza, ma anche con precisione chirurgica, mette insieme i numerosi pezzi di questo anno e mezzo di pontificato, ponendo delle questioni legittime, che nello smarrimento sono in molti a porsi. Per questa sua ricerca Socci è stato condannato alla damnatio memoriæ. Le librerie paoline ufficialmente si son rifiutate di vendere il libro, loro che non si fanno alcun problema etico a vendere libri di gente tipo Küng, Mancuso, De Mello. Inoltre, molti altri colleghi “allineati al regime”, o a quello che sembra configurarsi come tale, lo hanno screditato e sbeffeggiato, senza averne letta neanche una riga.
Questo mi fa venire in mente quel che dice Gesù nel Vangelo al soldato che l’aveva schiaffeggiato: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18, 23).
Tra le altre notizie sconcertanti di questi giorni, una che ha destato particolare preoccupazione è che la Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato un libro [qui] con le interviste e conversazioni con giornalisti avute da Papa Francesco in questo anno e mezzo di pontificato, in cui sarebbero comprese quelle di Eugenio Scalfari. Se fossero state pubblicate così com’erano sarebbe sconvolgente, perché si tratterebbe di una semi-ufficializzazione di parole che di fatto sono contro la Fede cattolica. Non ho letto il libro e spero sinceramente che qualcuno abbia provveduto a correggere quegli strafalcioni.
Dunque, in questi tempi confusi, per fare chiarezza anche questo blog vuole dare il proprio piccolo contributo ponendo una domanda scomoda ma non irriverente, nello spirito del libro di Antonio Socci. Una domanda che in passato si sono posti in molti cattolici, studiosi, Dottori e Santi. Per questo, lasceremo che a rispondere un Santo e Dottore della Chiesa, san Roberto Bellarmino, peraltro confratello gesuita del Sommo Pontefice. La questione è: «se un Papa diventa eretico». Il santo Dottore risponde a questa questione nel suo Tractatus de potestate Summi Pontifici in rebus temporalibus. Noi abbiamo consultato l’edizione del 1611 disponibile online [qui] traducendone alcuni significativi passi che vi proponiamo in corsivo.
«Se il Pontefice Massimo diventasse eretico, e tentasse di distruggere la Chiesa allontanandola dalla fede cattolica, può essere deposto o, certamente, dichiarato deposto, come si evince dai Canoni “Se il Papa”, dist. 40. Questo non lo nega né Bellarmino, né alcun cattolico. Non fa meraviglia, perciò, che i Re possano esser deposti a causa dell’eresia, benché non abbiano autorità temporali superiori, se anche il Papa, per una simile causa, può esser deposto, anche se sulla terra non c’è alcuna autorità, né temporale, né spirituale, superiore alla sua. È vero che “al Concilio non è lecito giudicare, punire, o deporre il Papa che tenta di turbare e distruggere la Chiesa di Dio; ma solo è lecito resistergli non facendo quello che comanda, e ponendo ostacolo affinché non sia eseguita la sua volontà” (Bellarmino, lib. 2 De Pontif., cap. 29). Questo vale solo se il Papa volesse turbare e distrugger la Chiesa con la sua vita e i suoi costumi, ma fa eccezione il caso dell’eresia» (p. 212).

«Ma se il Papa non ha alcun superiore sulla terra, con quale diritto può esser deposto da un Concilio, o dalla Chiesa, a causa dell’eresia? Rispondo subito: mentre gli uomini sono espulsi dalla Chiesa tramite la scomunica a causa di altri crimini, gli eretici escono dalla Chiesa per sé, e se ne allontanano perché, in qualche modo, si scomunicano da se stessi. Come osservava san Girolamo, spiegando quelle parole dell’Apostolo a Tito, cap. 3: l’eretico è condannato dal suo proprio giudizio. Così che se il Pontefice - la qual cosa ritengo che non possa accadere -, diventasse eretico, infedele o apostata, non dovrebbe essere deposto, ma dichiarato deposto da un concilio» (p. 213).

«Il potere delle chiavi di Pietro non si estende fino al punto che il Sommo Pontefice possa dichiarare “non peccato” quello che è peccato, oppure “peccato” quello che non è peccato. Ciò sarebbe, infatti, chiamare male il bene, e bene il male, la qualcosa è, sempre è stata, e sarà lontanissima da colui che il Capo della Chiesa, colonna e fondamento della verità» (p. 214).
[Ndt Ma se un papa rinuncia a queste qualifiche di maestro di Verità, e opta per una dottrina fatta di dubbi, incertezze ed errori, sia auto esclude dal munus petrino che gli compete, e deve esser dichiarato deposto da un concilio].

«Se accadesse che il Pontefice ordinasse a qualche uomo particolare qualcosa che fosse contro la legge di Dio – ossia, non con un insegnamento universale ex cathedra -, allora vale la nota dottrina di san Pietro: “Bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini” (At 1)» (p. 255).

E così concludiamo questo post, lasciando ciascuno alla propria riflessione e preghiera.
http://lafededeinostripadri.blogspot.co.at/2014/11/domanda-scomoda-ma-necessaria-cui.html#more



Approfondimenti sulla questione di un papa eretico.


Dopo aver postato la riflessione di questa mattina, in cui esponevamo anzitutto l'attualità di una questione dibattuta con rispetto da santi e dottori esponendo l'opinione più sicura, ossia quella di san Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa, abbiamo ricevuto dai nostri lettori alcuni approfondimenti che siamo lieti di proporre. Sono due ulteriori pareri autorevoli, entrambi ancora di gesuiti. In tempi di tempesta è bene guardare ai santi e ai dottori dalla dottrina provata dai secoli (e non di una stagione), come a fari sicurissimi per orientarsi. 
Il primo e più recente dei due è Domenico Palmieri [qui], che fu teologo del Collegio Romano e della Penitenzeria Apostolica, che nel suo Tractatus de Romano Pontefice scrive:

«Ci si chiede, di solito, se il Pontefice, come persona privata, quando non esercita in atto la funzione di Dottore della Chiesa, possa errare nella fede. La questione concerne propriamente l’errore circa un articolo di fede già definito, così che, se fosse volontario, sarebbe vera eresia. Alcuni, con Bellarmino, lo negano (De Rom. Pont., l. 4, c. 6). Tuttavia, poiché gli antichi autori lo ammettevano, e gli stessi Pontefici lo hanno sufficientemente affermato (Innocenzo III, Serm. 2° De Consecratione sua: “La fede mi è tanto necessaria che, mentre per gli altri peccati ho solo Dio come giudice, per il solo peccato che commettessi contro la fede, potrei esser giudicato dalla Chiesa”. Vedi Adriano II, allocuzione 3a, letta nel Syn. 8, act. 7), e nel Decreto Dist. 40, c. 6, permisero che si leggessero le parole di (san) Bonifacio, Arcivescovo di Magonza:«Nessuno dei mortali presume di rimproverare le colpe del Romano Pontefice, perché colui che dovrà giudicare tutti non è giudicato da nessuno, eccetto, forse, il caso in cui sia riconosciuta la sua deviazione dalla fede», non riteniamo di dover esser più solleciti della stessa Sede Romana nell’affermare tale prerogativa nei successori di San Pietro. Le sentenze sopra riportate devono riferirsi al Pontefice come persona privata che erra circa verità già definite o trasmesse dalla Chiesa in modo equivalente: anche se il Papa errasse circa le altre verità, non si può istituire nessungiudizio contro di lui».

Il secondo parere è di Francisco Suarez [qui], che non credo abbia bisogno di presentazioni, il quale scrive con grande chiarezza:

Cosa dire circa quella sentenza di canonisti e teologi, secondo cui, in caso di eresia, il Pontefice può esser deposto? Rispondo. 
1) Il caso è ipotetico, perché forse non è mai stato reale, e mai lo sarà; 
2) Ammessa l’ipotesi, quella sentenza deve esser intesa così: il Pontefice ostinato nell’eresia (dico ostinato: se, ammonito dalla Chiesa, recedesse dal suo errore, non si deve procedere più contro di lui), non è deposto dall’uomo, ma da Dio, il quale gli toglie la giurisdizione che gli aveva dato. La Chiesa solo dichiarerà che lui è eretico, e perciò spogliato da Dio della giurisdizione (c. 7, n. 5).

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