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mercoledì 26 novembre 2014

«Letale per la fede»

La compagnia delle religioni. La Turchia, l’Onu, Francesco

L’imminente viaggio apostolico del Pontefice in Turchia e il recente appello dell’ex presidente israelianoShimon Peres per la fondazione di un organismo che raggruppi le principali confessioni religiose, una “Onu delle religioni”, dovrebbero far riflettere sul senso del dialogo inter-religioso e sul ruolo della fede e delle religioni nel mondo, proprio mentre emergono con crescente chiarezza i limiti delle Nazioni Unite, sempre più in balia di imbarazzanti interessi nazionali e nazionalistici.
«Oggi molti sono dell’idea che le religioni dovrebbero rispettarsi a vicenda e, nel dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace», si legge nel messaggio trasmesso da Benedetto XVI in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Università Urbaniana, il 21 ottobre scorso.
«In questo modo di pensare, il più delle volte si dà per presupposto che le diverse religioni siano varianti di un’unica e medesima realtà; che “religione” sia il genere comune, che assume forme differenti a seconda delle differenti culture». Una impostazione che «sembra realistica e utile alla pace fra le religioni nel mondo», ma che è «letale per la fede».
Una prospettiva che si acuisce in attualità nell’imminenza del viaggio apostolico di papa Francesco in Turchia, dal quale sono in molti ad auspicare di poter trarre un intervento sulle molte questioni attualmente aperte nel Paese, dalle tensioni sociali alle nuove criticità nei rapporti con le popolazioni di etnia curda dentro e fuori i confini nazionali, fino ad un sistema di accoglienza allo stremo per i milioni di profughi giunti nel Paese a causa dei conflitti in Siria e Iraq. A complicare un quadro generale già critico si è mostrato ancora recentemente l’ondivago metro di giudizio dell’Europa nei confronti delle politiche del governo turco, verso le quali l’atteggiamento dell’Unione appare sempre più spesso subordinato agli interessi del momento.
Anche il rapporto fra la Turchia e l’Onu è apparso nelle ultime settimane tutt’altro che disteso. A guastare il clima fra Ankara e le Nazioni Unite la contrapposizione che ha recentemente caratterizzato una delle fasi più tragiche – e mediatiche – della guerra condotta dall’Isis in Siria: l’assedio di Cobânî, assurto tanto rapidamente a simbolo della resistenza all’avanzata jihadista, quanto poi velocemente scomparso dalle cronache (al momento in cui si scrive, si registrano ancora combattimenti in città fra curdi, Esercito siriano libero e milizie dell’Isis). Proprio su una potenziale collaborazione turca alla difesa della città, una delle roccaforti curde situate sul confine fra Siria e Turchia, si era consumata la diatriba fra le Nazioni Unite e il governo turco, nella persona del presidente Erdogan. Una contrapposizione che non ha mancato di generare strascichi polemici e critiche dirette ad entrambe le parti, con la Turchia accusata di intrattenere rapporti con gli estremisti sunniti e l’Onu additato di un sostanziale immobilismo. È forse da ricollegarsi a questo clima di tensione la preferenza accordata nei giorni scorsi dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla Spagna in luogo che alla Turchia come nuovo membro non permanente per due anni del Consiglio di Sicurezza a partire dal primo gennaio 2015.
Non è dunque un caso che proprio mentre emergono con rinnovata evidenza tutti i limiti dell’attuale Onu, in crescente crisi di consensi e sempre più incapace di azioni in grado di andare al di là di intenti di circostanza, sia giunta la proposta dell’ex presidente israeliano e Nobel per la pace, Shimon Peres, per la costituzione di una «Carta delle Religioni Unite, esattamente come c’è la Carta dell’Onu». Questo quanto espresso in un’intervista rilasciata al settimanale Famiglia Cristiana nel settembre scorso. «Preso atto che l’Onu ha fatto il suo tempo, quello che ci serve è un’Organizzazione delle Religioni Unite, un’Onu delle religioni». Un progetto niente affatto nuovo, carsico da decenni nelle sue linee generali, che però attendeva il «leader» adatto, qualcuno «rispettato come tale non solo da tante persone, ma anche dalle più diverse religioni e dai loro esponenti». Una personalità che il Presidente israeliano è certo di aver trovato in papa Francesco, «forse l’unico leader davvero rispettato» oggi presente sulla scena mondiale e – fattore non secondario – anche di pubblico gradimento. Una designazione di non poco conto, cui sarebbe seguita anche una proposta concreta in occasione dell’incontro settembrino con il Pontefice.
Peres è ben consapevole che per impedire il verificarsi dei gravissimi crimini perpetrati sin troppo spesso negli ultimi decenni – ma che soltanto con l’Isis hanno ottenuto una tardiva, ma esplosiva, attenzione mediatica– «abbiamo l’Organizzazione delle Nazioni Unite», della quale non tace però gli evidenti limiti, accresciutisi negli anni, in quello che è un organismo politico che «non ha né gli eserciti che avevano le nazioni né la convinzione che producono le religioni». Nonostante, per sua stessa ammissione, l’ex Presidente israeliano sia alla ricerca di una figura di spicco, individuata nell’attuale Pontefice, è forse utile ricordare come la Curia romana offra già, in forma evidentemente diversa rispetto all’organizzazione prospettata da Peres, dicasteri preposti a questioni simili, quali ad esempio il Pontificio consiglio per la Giustizia e la Pace, presieduto dal cardinale Turkson, o il Pontificio consiglio per il dialogo inter-religioso, presieduto dal cardinale Tauraned.
Non manca di destare forti dubbi la volontà diincaricare le religioni di un ruolo politico, addirittura geo-politico, traducendole in forze di interposizione nei conflitti, inquadrate in organismi politici internazionali. Questo appare tanto più incerto se si considerano i rapporti non sempre idilliaci intercorsi fra la Chiesa e l’Onu, specialmente negli ultimi anni, durante i quali la distanza su alcune tematiche – in particolare in materia di sessualità, famiglia, economia – si consumata con tutta evidenza. Emblematico in questo senso l’affaire pedofilia nel clero e i conseguenti duri scambi di battute fra il comitato delle Nazioni Unite sull’applicazione della Convenzione per i diritti del fanciullo e monsignor Silvano Maria Tomasi, osservatore vaticano presso l’Onu di Ginevra, e la Santa Sede. Da non sottovalutare anche il peso “ecumenico” di questo coinvolgimento unitario delle religioni, potenzialmente ridotte adorganizzazioni al servizio di logiche e dinamiche mondane, ridimensionate nella loro portata a significati essenzialmente pratici o, di contro, del tutto astratti e simbolici, ma in entrambi i casi privi di fondamenti rilevabili nel divino.
L’iniziativa dell’ex presidente Peres in realtà non giunge che un paio di mesi dopo un’altra proposta simile avanzata da José Luis Rodríguez Zapatero. L’ex presidente del governo spagnolo aveva infatti dichiarato in luglio, a lato di una sua partecipazione ad un simposio sulla pace mondiale presso l’Università Nebrija, di auspicare la creazione di una «alleanza permanente fra le confessioni religiose», vincolata all’Onu e all’Alleanza delle Civiltà. Una «autorità religiosa globale» basata su principi di pluralismo religioso, pace e libertà, che dovrebbe farsi anche carico di un dialogo ecumenico condotto in materia di fede e al tempo stesso aperto ai mutamenti della società contemporanea, portando avanti una collaborazione con le organizzazioni femministe, verso le quali le religioni «hanno un problema».
«Quando l’Onu manda in Medio Oriente dei peace keepers che vengono dalle Isole Fiji o dalle Filippine e questi vengono sequestrati dai terroristi, che può fare il segretario generale dell’Onu? Una bella dichiarazione. Che non ha né la forza né l’efficacia di una qualunque omelia del Papa», ha chiosato Peres. Quante divisioni ha il Papa? si sarebbe ironicamente chiesto Stalin alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, di fronte agli appelli per la pace lanciati da Pio XII. Qualcuno, forse, tornerà a chiederselo anche oggi.
Nell’immagine: Marten van Valckenborch il Vecchio, La Torre di Babele, 1595, Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister.

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