ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 30 novembre 2014

Noli me tangere!


(a cura Redazione "Il sismografo")
                                                                                                                           foto archivio
Dopo il suo arrivo all'Aeroporto di Ciampino (18.40 ca) Papa Francesco si è recato a Santa Maria Maggiore per raccogliersi in preghiera e ringraziare la Madonna Salus Populi Romani per il suo pellegrinaggio in Turchia. E' la 15.ma visita del Papa a questa famosa basilica mariana.

Le visite precedenti
1) 14 marzo 2013
All'indomani della sua elezione
2) 4 maggio 2013
Recita del Santo Rosario
3) 30 maggio 2013
Festa del Corpus domini*
4) 20 luglio 2013
Vigilia del viaggio in Brasile
5) 29 luglio 2013
Rientro dal suo viaggio in Brasile
6) 8 dicembre 2013
Dopo l'atto di Venerazione a Piazza di Spagna
7) 1° gennaio 2014
Solennità della Vergine Maria, Madre di Dio.
8) 23 maggio 2014
Vigilia del Pellegrinaggio a Terra Santa
9) 27 maggio 2014
Ringraziamenti per il pellegrinaggio in Terra Santa.
10) 13 agosto 2014
Vigilia del viaggio in Corea del Sud
11) 18 agosto 2014
Rientro dal suo viaggio in Corea del Sud
12) 18 settembre 2014
Vigilia del viaggio in Albania
13) 22 settembre 2014
Ringraziamenti per il pellegrinaggio in Albania
14) 24 novembre
Vigilia viaggio a Strasburgo
15) 30 novembre
Rientro dalla Turchia
*Nota. Si ricorda che il giovedì 30 maggio, solennità del Corpus Domini, Papa Francesco ha presieduto la Processione Eucaristica da san Giovanni In Laterano verso Santa Maria Maggiore.
Agi
(dell'inviato Salvatore Izzo) Prima di lasciare la Turchia, Papa Francesco ha rivolto il suo pensiero "alle tante vittime del disumano e insensato attentato che in questi giorni ha colpito i fedeli musulmani che pregavano nella moschea di Kano, in Nigeria". Ricordando con tono commosso i 120 morti dell'ultimo attentato terroristico ha fatto sua cosi' "la voce che grida forte delle vittime dei conflitti in tante parti del mondo". "Questa voce - ha affermato nel discorso rivolto ad Istanbul al patriarca Bartolomeo - la sentiamo risuonare molto bene da qui, perche' alcune nazioni vicine sono segnate da una guerra atroce e disumana". 
"Turbare la pace di un popolo, commettere o consentire ogni genere di violenza, specialmente su persone deboli e indifese, e' - ha scandito Francesco - un peccato gravissimo contro Dio, perche' significa non rispettare l'immagine di Dio che e' nell'uomo". "La voce delle vittime dei conflitti ci spinge - ha rilevato - a procedere speditamente nel cammino di riconciliazione e di comunione tra cattolici ed ortodossi". (AGI)
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Ed e' a questo cammino che Francesco e Bartolomeo, "due uomini in fuga rispetto alle loro chiese", come ha sottolineato con i giornalisti il superiore dei domenicani in Turchia, padre Claudio Monge, stanno imprimendo un'accelerazione quasi bruciante, con gesti, come l'inchino di ieri di Francesco che ha chiesto a Bartolomeo di benedirlo insieme alla Chiesa Cattolica, che aiutano l'unita' piu' dei teologi. "Incontrarci, guardare il volto l'uno dell'altro, scambiare l'abbraccio di pace, pregare l'uno per l'altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo", ha detto il Pontefice nel discorso rivolto al patriarca ecumenico sottolinenando che "tutto cio' precede e accompagna costantemente quell'altra dimensione essenziale di tale cammino che e' il dialogo teologico". E, a sua volta, Bartolomeo guarda con speranza al pontificato di Francesco che in un anno e mezzo appena si e' radicato "nella coscienza dei nostri contemporanei, araldo dell'amore, della pace e della riconciliazione" ispirando  "fiducia agli increduli, speranza ai disperati, attesa a quanti attendono una Chiesa amorevole verso tutti", ed offrendo in particolare agli ortodossi "la speranza che durante il nuovo pontificato, l'avvicinamento delle nostre due grandi antiche Chiese continuera'". In sintonia con Francesco, Bartolomeo ha affrontato anche il tema dell'esodo dei cristiani - che rappresenta il 'cuore' della dichiarazione congiunta firmata oggi - affermando che "gli odierni persecutori dei cristiani non chiedono a quale Chiesa appartengono le loro vittime". "L'unita' che cerchiamo con molto impegno - ha detto - si attua gia' in alcune regioni, purtroppo, attraverso il martirio". (AGI)
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Il viaggio di Papa Francesco si conclude dunque con un buon successo nel campo ecumenico, anche se la prospettiva di una presenza del Papa al Concilio panortodosso del 2016 sembra molto problematica, se non si risolveranno i problemi "interni" tra Bartolomeo e Kirill, il patriarca russo. Ma problemi molto seri di coesione li ha, in Turchia, anche la Chiesa Cattolica divisa in tanti gruppi (quanti sono i "riti") che non comunicano molto tra loro, come si e' evidenziato nel viaggio che ha visto il presidente dei vescovi turchi, padre Ruggero Franceschini, troppo al margine forse perche' non abbastanza diplomatico (come lo e' invece il nunzio, che ha accompagnato il Papa nella faraonica dimora di Erdogan, presidente sempre piu' forte e meno laico). Interrogativi ha suscitato anche il fatto che non ci sia stata nei discorsi nessuna citazione diretta del martirio di padre Lugi Padovese, il  predecessore di Franceschini nella guida dei vescovi locali, sgozzato secondo la meodica oggi usata dall'Isis, e di don Andrea Santoro, il sacerdote fidei donum della diocesi di Roma ugualmente vittima della violenza fondamentalista. 
"Noi cristiani diventiamo autentici discepoli missionari, capaci di interpellare le coscienze, se abbandoniamo uno stile difensivo per lasciarci condurre dallo Spirito", ha ricordato ieri alla Chiesa locale invitandola "a lasciare da parte la tentazione di guardare a se stessa". "Le nostre difese - ha continuato - possono manifestarsi con l'arroccamento eccessivo sulle nostre idee, sulle nostre forze oppure con un atteggiamento di ambizione e di vanita'". Meccanismi difensivi - ha osservato - che "ci impediscono di comprendere veramente gli altri e di aprirci ad un dialogo sincero con loro". Padre Monge, conversando con i giornalisti, riassume: "nella realta' turca il vittimismo cristiano e' controproducente, bisogna darsi una svegliata, non basta dire che siamo nelle catacombe". L'invito del Papa al variegato cattolicesimo turco, in effetti, e' quello di essere in uscita, di spendersi per aiutare i deboli, che non possono essere distinti a seconda della loro fede. E di farsi cosi' presenti nella societa' civile, che dei cattolici oggi, a livello legale, non ancora riconosce nemmeno l'esistenza. (AGI)
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Cosi' il momento piu' forte dell'ultima giornata di Francesco in Turchia e' stato l'incontro con i giovani profughi, radunati nel cortile della Cattedrale di Santo Spirito. Nei campi di accoglienza nei paesi confinanti con Iraq e Siria "le condizioni degradanti in cui tanti profughi devono vivere sono intollerabili", ha denunciato il Papa. "Lancio un appello - ha detto dopo aver ascoltato la testimonianza di una ragazza irachena che ha descritto le difficolta' che vive con i suoi coetanei - per una maggiore convergenza internazionale volta a risolvere i conflitti che insanguinano le vostre terre di origine, a contrastare le altre cause che spingono le persone a lasciare la loro patria e a promuovere le condizioni perche' possano rimanere o ritornare. Incoraggio tutti coloro che stanno operando generosamente e lealmente per la giustizia e la pace a non perdersi d'animo". "Mi rivolgo - ha detto Bergoglio - ai capi politici, affinche' tengano conto che la grande maggioranza delle loro popolazioni aspira alla pace, anche se a volte non ha piu' la forza e la voce per chiederla". 
"Nel mondo di oggi - ha rilevato invece nel discorso a Bartolomeo I motivando l'urgenza di accelerare il cammino dell'unita' tra le chiese - si levano con forza voci che non possiamo non sentire e che domandano alle nostre Chiese di vivere fino in fondo l'essere discepoli del Signore Gesu' Cristo: la prima di queste voci e' quella dei poveri". 
      Secondo Francesco, "troppe donne e troppi uomini soffrono per grave malnutrizione, per la crescente disoccupazione, per l'alta percentuale di giovani senza lavoro e per l'aumento dell'esclusione sociale, che puo' indurre ad attivita' criminali e perfino al reclutamento di terroristi". "Non possiamo rimanere indifferenti - ha quasi gridato il pontefice - di fronte alle voci di questi fratelli e sorelle. Essi ci chiedono non solo di dare loro un aiuto materiale, necessario in tante circostanze, ma soprattutto che li aiutiamo a difendere la loro dignita' di persone umane, in modo che possano ritrovare le energie spirituali per risollevarsi e tornare ad essere protagonisti delle loro storie".  Cattolici e ortodossi, insieme sono chiamati "a lottare, alla luce del Vangelo, contro le cause strutturali della poverta': la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro degno, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. Come cristiani siamo chiamati a sconfiggere insieme quella globalizzazione dell'indifferenza che oggi sembra avere la supremazia e a costruire una nuova civilta' dell'amore e della solidarieta'". E Bartolomeo ha convenuto: "i problemi, che la congiuntura storica innalza davanti alle Chiese impongono a il superamento delle controversie affrontando i problemi per quanto possibile con piu' stretta collaborazione". (AGI)
http://ilsismografo.blogspot.it/2014/11/turchia-papa-in-turchia-successo.html

Tutte le parole e le mosse del Papa in Turchia con gli ortodossi

30 - 11 - 2014Matteo Matzuzzi
Tutte le parole e le mosse del Papa in Turchia con gli ortodossi

I gesti e i discorsi di Bergoglio
Scrive Andrea Tornielli sulla Stampa che “la seconda giornata di Francesco in Turchia è raccontata da due immagini simboliche. La prima: il Papa dentro la Moschea Blu di Istanbul sta in silenzio, senza scarpe, con il capo chino e le mani giunte, accanto al Gran Muftì Rahmi Yaran che prega recitando parole in lingua arabe”. La seconda, quando “il Papa fa un profondo inchino davanti al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, e chiede la sua benedizione”.
LA GIORNATA CHIAVE
Era la giornata clou della tre giorni di Francesco in Turchia, visita da lui voluta dopo che già all’indomani dell’elezione al Soglio di Pietro il patriarca Bartolomeo I lo aveva invitato al Fanar per la ricorrenza di Sant’Andrea. Espletati gli appuntamenti istituzionali – “sofferta” tappa al palazzo presidenziale di Ankara inclusa – il Papa ha potuto dedicarsi a ciò che più gli premeva: ravvivare il dialogo interreligioso con la comunità musulmana turca, potenzialmente un mediatore fondamentale nel gioco dei conflitti inter-etnici e confessionali nel vicino oriente, e avvicinare ancora di più la chiesa di Pietro a quella di Andrea, Roma e Costantinopoli.
L’ECUMENISMO DELL’INCONTRO E DELL’AMICIZIA
Lo spiegava bene a Repubblica, ieri, il cardinale Walter Kasper, per molti anni presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: “Credo che Francesco, col suo ecumenismo dell’incontro o dell’amicizia, riesca a proseguire nel modo migliore quanto i suoi predecessori già avevano iniziato. Di fatto non ci sono divisioni dottrinali con gli ortodossi, superare le divisioni oggi è possibile”. Ecco perché rivestirà un’importanza fondamentale il Concilio panortodosso che si terrà a Istanbul nel 2016. Sarà presieduto da Bartolomeo I e saranno presenti tutte le chiese ortodosse. Scrive Andrea Riccardi sul Corriere della Serache “è dal 1961 che lo si prepara e realizzarlo ora è un successo del Patriarca, la cui leadership si è molto rafforzata nel mondo ortodosso”.
L’INCHINO E IL BACIO
“Quello di ieri davanti al patriarca Bartolomeo è il quarto inchino di Francesco in attesa d’essere benedetto e si tratta di gesti senza precedenti nella storia dei papi. Negli altri tre casi Bergoglio si era inchinato davanti a delle folle, ieri invece davanti a un interlocutore ecumenico impegnativo”, nota Luigi Accattoli sul Corriere della Sera di oggi. E anche la risposta di Bartolomeo, il bacio sulla testa chinata, sorprende: “Quel bacio è un’invenzione come l’inchino: né l’uno né l’altro hanno mai avuto corso nei rituali papali e patriarcali”. Il gesto di ieri, nota il vaticanista, “segna addirittura un rovesciamento d’ogni pretesa di supremazia”.
“PIENA COMUNIONE NON SIGNIFICA SOTTOMISSIONE”
E il Papa ne spiega implicitamente bene il significato il giorno dopo, al termine della Divina Liturgia nella chiesa patriarcale di San Giorgio: “Il ristabilimento della piena comunione non significa né sottomissione l’uno dell’altro né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo”.
VICINA LA SVOLTA CON GLI ORTODOSSI?
Il fatto è che i gesti, tante volte, possono dove “i teologi d’Oriente e d’Occidente si sono incartati per quasi mille anni, dallo scisma del 1054”, nota Gian Guido Vecchi sul quotidiano di via Solferino.  E Bergoglio “ha un genio dei gesti che ieri ha prodotto il frutto più significativo sul piano dei rapporti con le chiese non cattoliche”, ha chiosato Accattoli.
LA DICHIARAZIONE CONGIUNTA
Al termine della Divina Liturgia, il Papa e il Patriarca ecumenico di Costantinopoli hanno dato la benedizione ecumenica e firmato la Dichiarazione congiunta. In essa, tra le altre cose, si legge: “Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi”.
http://www.formiche.net/2014/11/30/papa-turchia-ortodossi/
Quell’inchino, una invenzione che sconvolge pretese di supremazia
Corriere della Sera
 
(Luigi Accattoli) Quello di ieri davanti al patriarca Bartolomeo è il quarto inchino di Francesco in attesa d’essere benedetto e si tratta di gesti senza precedenti nella storia dei Papi. Negli altri tre casi Bergoglio si era inchinato davanti a delle folle, ieri invece davanti a un interlocutore ecumenico impegnativo. La mossa a sorpresa del Papa – che dice a Bartolomeo «vi chiedo un favore: di benedire me e la Chiesa di Roma» – crea imbarazzo nell’ospite, che non osa tracciare un segno di croce sul Vescovo di Roma al quale riconosce un primato d’onore, e lo bacia sulla testa chinata. 
Quel bacio è un’invenzione come l’inchino: né l’uno né l’altro hanno mai avuto corso nei rituali papali e patriarcali. La storia dei rapporti tra Roma e Costantinopoli è ricca di gesti di dominio ma nei tempi recenti ha conosciuto anche gesti fraterni, a partire dall’abbraccio tra Paolo VI e Atenagora (1964) e dal ritiro delle reciproche scomuniche (1965). Quello di ieri segna addirittura un rovesciamento d’ogni pretesa di supremazia. 
«Inchinatevi per la benedizione», dice un invito che viene rivolto al popolo prima che il celebrante tracci su di esso il segno della Croce: non esisteva invece nella liturgia «romana», fino a papa Bergoglio, l’inchino del celebrante in attesa di ricevere la «preghiera di benedizione» del popolo. Francesco compì quel gesto la sera dell’elezione davanti alla folla di Piazza San Pietro e l’ha poi ripetuto nel maggio 2013 in una parrocchia romana. Il terzo inchino davanti a una folla l’ha compiuto il 1° giugno scorso, allo stadio Olimpico di Roma, inginocchiandosi davanti a un’assemblea ecumenica, composta cioè da cattolici e protestanti. «Mi raccomando l’eloquenza dei gesti» aveva detto Bergoglio ai vescovi italiani il 19 maggio di quest’anno. Egli ha un genio dei gesti che ieri ha prodotto il frutto più significativo sul piano dei rapporti con le Chiese non cattoliche.

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