ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 27 febbraio 2015

Cristo si fermerà a Ninive?

Acque agitate attorno all’Isis, i volontari cristiani si organizzano…

DwekhI cristiani sono stufi di stare a guardare. Soprattutto sono stufi di fare da bersaglio. Per questo, ora, contro l’Isis, nel nord-est dell’Iraq, si sono costituiti in NPU-Unità di Protezione della piana di Ninive, come recitano i gagliardetti, i volantini, le uniformi. Rappresentano la formazione più recente, subito affiancatasi alla milizia Dwekh Nawsha, sigla che, in aramaico, significa «votati all’immolazione», più “datata”, perché costituitasi formalmente già lo scorso 11 agosto. Una data non a caso: quattro giorni prima questa gente patì sulla propria pelle e sulla pelle dei propri familiari la cruenta avanzata dell’Isis.

All’epoca Dwekh Nawsha riuniva solo un centinaio di elementi, per lo più assiri. Tute mimetiche ed armi leggere, questa la loro dotazione. La roccaforte era Baqofa. Poi si sono aggiunti caldei, siriaci e ortodossi. Sono giovani, la maggior parte ha tra i 20 ed i 30 anni.
Oggi sono circa 3 mila quelli in attesa di addestramento, oltre 500 si stanno formando per 5, 6 ore al giorno, esercitazioni comprese. Altri 500 , già operativi, sono stati piazzati nei villaggi assiri, hanno costituito unità di guardia, si trovano in prima linea. Ma molti altri volontari stanno giungendo dall’estero, anche occidentali: svedesi, canadesi, statunitensi, australiani,… Anche donne. Sempre di più. Credono nella stessa causa. E sono decisi a dare una mano per riconquistare questa terra ora occupata, per liberare la loro Patria. A fianco dei peshmerga, dei curdi siriani dello Ypg, , di 150 veterani cristiani della guerra in Siria ,del gruppo di cristiani europei Sotoro guidato da un ex-caporale dell’esercito svizzero, Johan Kosar. Oppure negli eserciti regolari iracheno e siriano.
Nell’operazione NPU crede fortemente il Movimento Democratico Assiro, costituitosi nel 1979: centinaia di suoi attivisti sono stati incarcerati ed i loro leader uccisi ancora ai tempi di Saddam Hussein. NPU ha ottenuto dalle autorità curde ciò che non ha avuto dal governo centrale di Baghdad ovvero una sede dove rifinire la preparazione, l’ex-base militare statunitense Manila, nei pressi di Kirkuk. Molti volontari provengono dai campi-profughi allestiti in Kurdistan, dove sono stati accolti circa 100 mila sfollati, costretti a lasciare le proprie case di fronte all’avanzata jihadista. Sono cristiani e yazidi.
Vasta è l’impreparazione bellica e strategica dei miliziani: mai, del resto, avrebbero immaginato di dover imbracciare un’arma. Sono padri e madri di famiglia, ex-insegnanti, professionisti, operai, gente comune… Hanno imparato da poco ad imbracciare un kalashnikov. Ma, tra loro, c’è tanto entusiasmo. Dwekh Nawsha è una milizia indipendente. Nei mesi scorsi una delegazione si è recata in Libano, dove ha ottenuto l’aiuto ed il pieno appoggio delle FL-Forze Libanesi, principale unità cristiana cimentatasi nella guerra civile fra il 1975 ed il 1990. Ed ora si chiede l’aiuto anche della comunità internazionale, per ricevere sostegno e fondi. In particolare, contano su Europa e Stati Uniti. Perché mancano di tutto, soprattutto di armi pesanti.
La Chiesa non è compatta. Pare che l’iniziativa non abbia incontrato il favore del Patriarca Louis Raphael I Sako della Chiesa caldea cattolica. Assolutamente favorevole invece mons. Youhanna Boutros Moshe, Arcivescovo della Chiesa siro-cattolica per Mosul: si è recato di persona a metà febbraio in un campo d’addestramento, per congratularsi ed incoraggiare i volontari cristiani, invocando su di loro la benedizione di Dio. Altri settori della Chiesa, specie quelli legati al Vaticano, guardano preoccupati. Ad esser entusiasti, invece, sono gli esuli assiri, rifugiatisi soprattutto negli Stati Uniti, in Australia ed in Svezia. Da qui proviene la stragrande maggioranza dei fondi, con cui le nuove milizie si armano, secondo quanto pubblicato dalla rivista britannica Catholic Herald.
I volontari sono convinti che questa sia l’ultima chance per riportare la Cristianità in Iraq, sua culla sin dai tempi delle comunità mesopotamiche. O la va o la spacca.

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Cristo si è fermato a Ninive

Mentre i jihadisti dello Stato islamico distruggono con furia iconoclasta l’arte e la storia preislamica dell’Iraq, i cristiani cacciati da Mosul si organizzano in milizie volontarie. Con scarso denaro, poche armi, molta fede.
DI  - 27 FEBBRAIO 2015
«Stenderà la mano anche a settentrione e distruggerà Assur, farà di Ninive una desolazione, arida come il deserto» (Sof 2,13). Quando si parla di Medio Oriente, l’Antico Testamento è una fonte ricchissima di luoghi e figurazioni. Ninive, un tempo capitale dell’Assiria, è tra questi. Da secoli la città sul Tigri si chiama Mosul, nome arabo, e dallo scorso giugno è terra dello Stato islamico, che non la tratta certamente con guanti di velluto. Un video diffuso ieri da un account Twitter mostra alcuni miliziani intenti a distruggere statue e manufatti in un museo, mentre uno di loro spiega: «queste rovine dietro di me, sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah. Il Profeta Maometto ha tirato giù con le sue mani gli idoli quando è andato alla Mecca. Il nostro Profeta ci ha ordinato di distruggere gli idoli e i compagni del Profeta lo hanno fatto quando hanno conquistato dei Paesi». Non importa il valore culturale o economico, precisa, gli idoli vanno abbattuti. Non sorprende la furia iconoclasta di Daesh, che già a fine gennaio ci aveva mostrato la distruzione dei resti delle mura di Ninive. I veri eredi dell’Impero romano, i bizantini, non furono da meno nella passione iconoclasta: sotto la dinastia isaurica promossero la distruzione di immagini sacre attraverso il Concilio di Hieria (754), in opposizione alla Chiesa di Roma – la quale d’altro canto dava copertura ideologica alle rivolte nei territori bizantini in Italia.
Non è solo un fatto di purificazione del culto, perché l’unica mediazione sia data dalle autorità religiose. È obliterazione della storia: senza tracce, senza memoria. Quanti monumenti e librerie distrutti e dati alle fiamme, durante la Seconda guerra mondiale? Vedi martellare la pietra e pensi alle note di Ianva in Bora: «La dottrina supporta il livore, / la maniera per ben iniziare / pensan sia quella di cancellare / le tracce di Storia passata di qua». Ogni colpo del miliziano oggi è come una bomba angloamericana su Dresda e Zara ieri, perché cancella le identità. Se lo Stato islamico proseguirà nella distruzione, sarà più in rispetto alla furia del Dio giudaico-cristiano («lento all’ira, ma grande in potenza», Na 1,3) su Ninive, narrata dal profeta Naum, che in ordine al suo sacro Corano. Perché, per il Signore, Ninive è «città sanguinaria, piena di menzogne, colma di rapine» (Na 3,1). È puttana da svergognare, da esporre al ludibrio – sono le pagine sacre che parlano – la stessa derisione a cui è sottoposta la cancellazione dei resti di una civiltà, quella assiro-babilonese, che lo Spengler pose tra le otto grandi civiltà della storia universale. Da Mosul sono scomparsi i cristiani, cacciati dopo la conquista da parte dello Stato islamico, e con loro tutti gli infedeli, gli apostati e i relativi luoghi di culto. A luglio fu il turno, fra le tante, della moschea di Giona (Yunus, in arabo), profeta comune ai tre monoteismi. È nella decima sura coranica (la quale cita Giona) che l’Islam ha testimonianza di Ninive, unica città a sottomettersi immediatamente ad Allah, evitandone la furia.
In Siria un anno fa sorse la milizia cristiana Sutoro, per combattere i jihadisti. Ieri dalle colonne del Corriere della Sera un articolo dell’inviato ad Al Qosh, Lorenzo Cremonesi, raccontava la nascita delle Unità di protezione della piana di Ninive, milizie cristiane irachene organizzate dal basso, nel numero di un migliaio di unità. I cristiani medio-orientali conoscono le parole del Vangelo («Non sono venuto a portare pace, ma una spada», si legge in Mt 10,34); sanno che «amate i vostri nemici» (Mt 5,44) riguardal’inimicus, non l’hostis; l’echthros, non il polemios – il nemico privato, non quello pubblico, il quale invero va combattuto. Se i curdi, il cui pelo viene non a caso lisciato dall’Occidente, si richiamano al principio di autodeterminazione – corollario perfetto alla dottrina statunitense, mai rivendicata ma spesso applicata, del divide et impera – di fatto minando l’unità territoriale degli Stati sovrani di Siria e Iraq, i cristiani non mettono in dubbio l’importanza di tale unità in una convivenza pacifica di fedi e di culture. Per ora Cristo si è fermato a Ninive, mentre i suoi apostoli, nonostante la carenza di armi e denaro, preparano con fede la riconquista delle proprie case.
 Aggiornamento: stando a quanto divulgato in tarda serata dall’emittente britannica Channel 4, secondo gli archeologi molte (ma non tutte) delle opere distrutte dai jihadisti sarebbero delle repliche. Il video potrebbe dunque essere di pura propaganda; purtuttavia rimangono reali le distruzioni di chiese e le violazioni di luoghi di culto da parte dello Stato islamico.

1 commento:

  1. Forza uomini combattete per la gloria di Dio . Noi preghiamo per Voi . In Hoc Signo Vinces .

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