Nell’ormai lontano 1968 – annus terribilis – Louis Bouyer (1913-2004), sacerdote dell’Oratorio di san Filippo Neri, pubblicava un saggio dal titolo La décomposition du christianisme. Pastore luterano convertito, uomo di cultura enciclopedica, ottimo conoscitore della Tradizione d’Oriente e d’Occidente, questo genio teologico, fra i maggiori del XX secolo, è praticamente sconosciuto ai cattolici cisalpini: tutta colpa delle sue valutazioni intelligenti – e soprattutto non allineate – degli sviluppi seguiti al Concilio Vaticano II, al quale pure era stato chiamato come perito. Spietato ostracismo ecclesiastico, riservato a chi non acconsente ad accodarsi al carro dei vincitori…
Si può anche discutere sull’analisi bouyeriana delle cause di tale decomposizione, ma la sua diagnosi dello stato spirituale della Chiesa militante richiama immediatamente alla memoria una profezia del santo papa Pio XII circa un suicidio della Chiesa provocato da alterazioni della sua fede, della sua liturgia e della sua morale. Invano un cardinal Ottaviani – quel porporato che passava la domenica fra i ragazzini dell’oratorio di San Pietro – metterà in guardia, insieme con tanti altri, il Pontefice della riforma liturgica (che Bouyer, escluso dal cardinalato, tenterà di rabberciare alla meno peggio) circa il disastro che ne sarebbe seguito. Quel porta-borse della massoneria che sarebbe finito – ma troppo tardi! – in esilio a Teheran, ingannando sistematicamente tanto Montini quanto la commissione incaricata, aveva ormai ottenuto carta bianca: «Lo vuole il Papa…» (anche le “Messe beat”?).
In diversi decenni, la putrefazione è ormai giunta a uno stadio piuttosto avanzato; il fetore – per chi non lo considera normale – è diventato insopportabile. Il fatto è che il fenomeno, attraverso i vari gradi del clero, ha pian piano raggiunto il vertice. Il pesce puzza dalla testa – dicono a Napoli. Quella cripto-eretica corrente gerarchica franco-tedesca che aveva surrettiziamente diretto il Concilio prendendo il controllo delle procedure e delle commissioni ha poi imposto la propria pseudo-teologia a mezzo mondo per gettare le basi ideologiche della sovversione programmata. In particolare, iguru delle facoltà germaniche, per esportare il loro “pensiero” (supportato da convincenti argomenti finanziari), hanno eletto le antiche colonie iberiche, già liberate da eroi in grembiulino, per spargervi a piene mani i germi del materialismo e della sedizione.
Chi conosca appena un poco l’ambiente latinos rimane sgomento di fronte al livello dell’immoralità che dilaga in una popolazione un tempo fervente – per non parlare del clero locale, di regola concubinario, quando va bene… Come mai, in diocesi all’avanguardia del rinnovamento, turbe di fedeli si riversano ogni anno nelle sètte protestanti fondamentaliste? Non sarà forse, fra l’altro, perché buona parte dei vescovi e dei religiosi sono agenti dell’Internazionale socialista? o perché le loro pecorelle non sanno più in che cosa credere o a chi dare ascolto? o perché le illusorie promesse di trasformazione sociale hanno lasciato dietro di sé un’immensa miseria morale e spirituale, oltre a quella materiale, culturale e sociale?
Ed ecco spuntare, da questo sfacelo da fine del mondo, il Pastore della “nuova chiesa”, che ha scelto come alta cattedra una cabina d’aereo e pronunzia i suoi dogmi indiscutibili chiacchierando amabilmente con i giornalisti in un linguaggio da bar di paese. Poco importa se ogni tanto (forse per eccessivo affidamento al proprio verbo?) fa qualche scivolone: può sempre rimediare la volta successiva arrampicandosi sui vetri… Quel che conta, ad ogni modo, è che puntualmente – scivoloni o meno – riemerge imperterrita la medesima visione totalmente relativistica: una morale fai-da-te che si getta allegramente dietro le spalle duemila anni di Tradizione e Magistero, attenta solo al livello terreno, al calcolo umano e al vantaggio immediato, così legata alle circostanze da annullare qualsiasi obbligo assoluto… proprio quella famosa morale della situazione che, pur condannata a più riprese, ha furoreggiato per decenni nelle facoltà teologiche ed è perfettamente funzionale, del resto, agli interessi del Leviatano finanziario, severamente condannato a parole ma di fatto appoggiato su tutta la linea, come dimostra fra l’altro l’ostentata amicizia con gli ambienti ebraici che lo controllano. Non serve a nulla, poi, ridare un colpo alla botte nei discorsi ufficiali, scritti da altri e letti con un tono da necrologio…
Questo noto personaggio, in sostanza, non professa la fede cattolica, ma la contraddice apertamente, sistematicamente e spudoratamente, a gesti e a parole. Gli si potrebbe rammentare che, secondo l’osannato magistero conciliare, sono pienamente incorporati alla Chiesa soltanto coloro che, nel suo corpo visibile, sono congiunti con Cristo dal vincolo della professione di fede (cf. Lumen gentium, 14); ma tramite i suoi amici cardinali – così liberali su tutto, fuorché sulla tassa ecclesiastica – risponderebbe serafico che la fede è un cammino e che deve adeguarsi ai tempi… Il principio di non-contraddizione, in una “cultura” che ha bandito la logica, è ormai un reperto archeologico: i concetti onnirisolutivi di cammino e rinnovamento sono una colla universale che tiene appiccicati anche gli opposti.
Rimane il fatto che, davanti a Dio, non si può barare con i giochi di parole: o uno professa effettivamente la vera fede o è fuori, e della Chiesa e della salvezza. Questa, ahimé, è verità rivelata – e chi vuole realmente salvarsi (dall’Inferno, molto più che dalla globalizzazione) vi rimane attaccato con i denti, lo insultino pure quanto vogliono. Come conclusione del presente ragionamento, non si vede come uno che di fatto non è membro della Chiesa Cattolica possa esserne a capo; forse è a capo di un’altra organizzazione che si sta decomponendo, ma si camuffa dietro il suo apparato. Noi preferiamo ovviamente rimanere dentro la Chiesa viva, sebbene momentaneamente priva di pastore; chi si suicida difficilmente si salva.
Pubblicato da Elia
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