Un centinaio di istituti religiosi dovrà chiudere. E la Cei invita alla spending review
Francesco Peloso
Una chiesa di Caltanisetta durante la settimana di Pasqua (Marco Di Lauro/Getty Images)
La situazione economica della Chiesa italiana è grave, più di quanto non sia emerso fino ad ora. Almeno un centinaio di istituti diocesani per il sostentamento del clero da una parte all'altra della penisola, vivono gravi sofferenze economiche – i costi superano i benefici - e probabilmente dovranno chiudere i battenti. E poi si accumulano debiti, cattiva gestione, diminuzione delle offerte, mancanza di controlli interni, progetti finanziari sballati guidati più dalle manie di grandezze di qualche vescovo che da esigenze pastorali o dall'attenzione ai poveri. La soluzione a questo punto non può che essere una: tagli di strutture, dismissioni e accorpamenti di diversi organismi e diocesi.
In due diverse occasioni, nell'ultimo periodo, la questione è stata sollevata in modo autorevole e circostanziato. Fra la fine di febbraio e l'inizio di marzo, infatti, prima il sottosegretario per la Congregazione per il clero, monsignor Antonio Neri – a nome del Vaticano - poi il Segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, hanno denunciato una situazione allarmante e chiesto correzioni radicali. Al centro dell'analisi dei due prelati la situazione, in molti casi disastrosa dal punto di vista finanziario, delle diocesi italiane e dei relativi istituti di sostentamento del clero. Questi organismi, nati dopo il Concordato del 1984, avevano lo scopo di garantire il sostengo economico dei sacerdoti, ma hanno finito con il gestire spesso i patrimoni delle varie chiese locali.
Per il 2015 «la previsione – ha detto ancora Galantino - parla di una significativa riduzione del dato percentuale. Si parla di 2 punti percentuali, passando dall’82,28% all’80,27%. Questa realtà ci impegna a trovare modalità per accrescere nell’opinione pubblica, a partire dagli stessi sacerdoti, una nuova sensibilità». Ma secondo il Segretario della Cei nominato da papa Bergoglio, è nel merito della gestione che le cose vanno male: «Un numero significativo di Istituti diocesani – che possiamo quantificare in almeno un centinaio (su 225 diocesi italiane, ndr) – da un punto di vista economico e aziendale, semplicemente non si giustifica: hanno costi che non coprono i ricavi o che li intaccano in maniera sostanziale. Si trovano a gestire un patrimonio scarso o comunque non sufficiente per una adeguata e ragionevole redditività, presentano risultati negativi o non soddisfacenti». Aggiunge Galantino che «in questo modo diventano una spesa e non un apporto per il sistema, creando imbarazzanti condizioni di sperequazione tra i diversi Istituti».
Sono quindi i 377 milioni dell'otto per mille che la Cei destina al sostentamento del clero a dare lo stipendio ai preti, mentre molti istituti non seguono le indicazioni per una gestione razionale e trasparente provenienti dai piani alti della Conferenza episcopale. «Non nascondiamoci neppure – ha ammonito poi il Segretario della Cei - come la stessa mancanza in molti istituti diocesani di un collegio di revisori dei conti comporti l’assenza di un serio organo di controllo che possa assicurare maggiore garanzia, sia verso l’interno che verso l’esterno, della correttezza e della trasparenza dell’operato degli amministratori». In questo senso, ha sottolineato Galantino, se l'attuale sistema ha dato delle garanzie per il passato, rischia ora di deresponsabilizzare il clero nel suo insieme mettendo sullo stesso piano «chi lavora e chi preferisce fare altro». Insomma, par di capire, bisognerà pure rivedere i criteri erogazione delle risorse, una spending review a 360 gradi.
Non solo: monsignor Neri ha precisato anche come, secondo la legge della Chiesa, le diocesi, per disfarsi di un bene, cioè mettere in vendita un immobile e quindi per compiere operazioni finanziarie sul proprio patrimonio di una certa entità, devono chiedere “la licenza” proprio alla Congregazione per il clero, passaggio che non di rado è stato omesso. “L’esperienza recente – ha detto monsignor Neri - ha mostrato che in alcuni casi il non aver chiesto le necessarie licenze, ha impedito di far emergere per tempo la situazione problematica delle finanze di alcune diocesi; ciò ha comportato conseguenze serie, sino al rischio di insolvenza, con grave danno per l’immagine della Chiesa e per i beni destinati alla sua missione”. E poi ancora è stata confermata la necessità che ogni diocesi metta a punto bilanci preventivi e consuntivi, che si doti di personale esperto, che faccia partecipare i laici alla gestione economica, che non pratichi forme di clientelismo.
In due diverse occasioni, nell'ultimo periodo, la questione è stata sollevata in modo autorevole e circostanziato. Fra la fine di febbraio e l'inizio di marzo, infatti, prima il sottosegretario per la Congregazione per il clero, monsignor Antonio Neri – a nome del Vaticano - poi il Segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, hanno denunciato una situazione allarmante e chiesto correzioni radicali. Al centro dell'analisi dei due prelati la situazione, in molti casi disastrosa dal punto di vista finanziario, delle diocesi italiane e dei relativi istituti di sostentamento del clero. Questi organismi, nati dopo il Concordato del 1984, avevano lo scopo di garantire il sostengo economico dei sacerdoti, ma hanno finito con il gestire spesso i patrimoni delle varie chiese locali.
«Dobbiamo riconoscere con onestà il fallimento del sistema di contribuzione volontaria, legato alle offerte deducibili»Così è avvento che prima gli economi e i responsabili amministrativi delle diocesi sono stati chiamati a rapporto, poi è toccato a quanti dirigono gli istituti per il sostentamento del clero. A tutti è stata presentata una fotografia realistica della situazione nella quale spiccavano cattiva gestione, debiti, necessità di chiudere diversi istituti, mancanza di revisori e controlli a livello diocesano, calo dei contribuiti volontari dei fedeli e delle firme sull'otto per mille: «Dobbiamo riconoscere con onestà – ha affermato monsignor Galantino al convegno nazionale degli istituti per il sostentamento del clero - il fallimento del sistema di contribuzione volontaria, legato alle offerte deducibili. Gli ultimi dati disponibili all’anno 2013, le quantificano nella misura definitiva di 11.252.000 euro, con un decremento rispetto all’anno precedente di 586.000 euro, pari a un – 4,9%». E anche per il “tesoretto” dell'otto per mille che ogni anno si aggira intorno al miliardo, si registrano difficoltà.
Per il 2015 «la previsione – ha detto ancora Galantino - parla di una significativa riduzione del dato percentuale. Si parla di 2 punti percentuali, passando dall’82,28% all’80,27%. Questa realtà ci impegna a trovare modalità per accrescere nell’opinione pubblica, a partire dagli stessi sacerdoti, una nuova sensibilità». Ma secondo il Segretario della Cei nominato da papa Bergoglio, è nel merito della gestione che le cose vanno male: «Un numero significativo di Istituti diocesani – che possiamo quantificare in almeno un centinaio (su 225 diocesi italiane, ndr) – da un punto di vista economico e aziendale, semplicemente non si giustifica: hanno costi che non coprono i ricavi o che li intaccano in maniera sostanziale. Si trovano a gestire un patrimonio scarso o comunque non sufficiente per una adeguata e ragionevole redditività, presentano risultati negativi o non soddisfacenti». Aggiunge Galantino che «in questo modo diventano una spesa e non un apporto per il sistema, creando imbarazzanti condizioni di sperequazione tra i diversi Istituti».
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I beni, ha detto il sottosegretario del dicastero, «possono diventare strumento di evangelizzazione, ma anche di scandalo. Bastano leggerezza, imprudenza, gusto un po’ narcisistico per la realizzazione di progetti grandiosi, ma poco realistici».Quando poi monsignor Neri, della Congregazione per il clero – ovvero il ministero vaticano che si occupa dei sacerdoti di tutto il mondo - ha incontrato gli economi delle diocesi italiane all'inizio di marzo, le parole non sono state meno severe. I beni, ha detto il sottosegretario del dicastero, «possono diventare strumento di evangelizzazione, ma anche di scandalo. Non occorre essere necessariamente di fronte alla disonestà di qualche amministratore, bastano leggerezza, imprudenza, gusto un po’ narcisistico per la realizzazione di progetti grandiosi, ma poco realistici». Quindi ha ricordato come «da scelte fatte in questo modo sono sorte situazioni di indebitamento anche grave per parrocchie o diocesi intere – in Italia e all’estero - con grave danno per il bene spirituale dei fedeli, per l’azione pastorale e per l’evangelizzazione, nonché per il buon nome stesso della Chiesa».
Sono diventati dei bottegai e se la bottega non rende , si chiude . Come avranno fatto quando non c'era ne' l' 8 %° e nemmeno altri aiuti ? Forse pregato di più il padrone della messe, e mangiato di meno ? Che tristezza !!!!! jane
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