Sogno o realtà?
Sarebbe bello che Benedetto XVI fosse ancora papa; ma di fatto si è dimesso e non governa più la Chiesa. Sarebbe bello che il suo successore, pur con una personalità e uno stile propri, proseguisse in continuità, come sarebbe naturale, la sua opera di ripristino della sana dottrina e di una corretta liturgia; ma di fatto sta demolendo a colpi di piccone quel poco che di buono rimaneva ancora nella coscienza e nelle abitudini dei fedeli. Sarebbe bello che la Curia romana fosse purgata dei sodomiti e dei massoni che la infestano; ma di fatto ne sono stati espulsi soltanto elementi fedeli alla Tradizione e poco inclini alla finzione. Sarebbe bello che il mondo fosse meno cattivo e bastasse aprire i confini (ma non le proprie case!) agli immigrati; ma di fatto i trafficanti di esseri umani prosperano con la benedizione dell’Occidente, il quale da anni arma le milizie islamiche che si finanziano anche in questo modo… Sarebbe bello non essere costretti a esprimersi sempre con un sarcasmo tagliente, ma è l’unico modo per non mettersi a urlare.
La realtà va vista così com’è, senza evadere nei sogni. Essa non coincide con ciò che vorremmo: non possiamo dipingercela come ci piacerebbe, perché questa è un’illusione da bambini. A quell’età è un’utile scappatoia per superare angosce eccessive e non gestibili con le risorse dell’infanzia; ma da adulti quell’evasione non ci è più consentita: le cause della nostra angoscia dobbiamo guardarle in faccia. Possiamo pure ripeterci ogni momento che quanto sta avvenendo è stato predetto e fa parte del piano divino: ciò non diminuisce il dolore insopportabile di sentircene spettatori impotenti, ci preserva soltanto dallo sprofondare nella disperazione – un po’ meno dal disgusto nei confronti di coloro che ostentano una fiducia imperturbabile nella nuova dirigenza cattolica o nella cosiddetta “comunità internazionale”, a seconda dei problemi considerati…
Come saremmo felici di scoprire che ci siamo sbagliati, per pregiudizio, ignoranza o miopia spirituale! Come vorremmo poterci convincere delle accuse rivolte senza posa – in modo indiretto ma fin troppo palese – a quanti sentono le cose come noi! Ma la ragione e la coscienza ce lo vietano: bisognerebbe smettere di vedere e di pensare, e questo è inaccettabile. Quella superiore sapienza dello “spirito” (senza ulteriori qualifiche) che, come ci viene insistentemente ripetuto, bisognerebbe accogliere per riconoscere le novità e le sorprese che qualcuno lassù ci tiene in serbo (manco fosse Babbo Natale) è ben nota a chi scrive, il quale nella sua giovinezza ha avuto agio di conoscerla in modo approfondito, rimanendo altamente edificato dai suoi frutti di immoralità scandalosa e riuscendo a conservare la fede e la vocazione unicamente per la grazia di Dio e l’educazione ricevuta in famiglia.
Quella pretesa “sapienza”, in realtà, riposa sul tacito presupposto che la Chiesa sia appena ripartita da zero, come se due millenni di storia fossero integralmente da rottamare, e che soltanto adesso, finalmente, si fosse cominciato a capire e a vivere il Vangelo. Su tale presupposto si è costruito un enorme edificio di mistificazione, nel quale sono state ormai indottrinate generazioni di seminaristi e religiosi – e, attraverso di loro, anche di fedeli. I pilastri di questo edificio sono rappresentati da alcuni asserti indiscutibili del tipo: «La Chiesa si è aperta al mondo», «Il Popolo di Dio si è rimesso in cammino», «Bisogna condannare l’errore e non l’errante», «Dobbiamo cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide», «Siamo al servizio dei poveri»… Questi nuovi dogmi hanno informato tutta una mentalità e tutta una prassi, divenute ormai così correnti che a provarsi a rimetterle in dubbio si è automaticamente presi per mostri di integrismo.
Noi abbiamo sempre creduto che fosse il mondo a doversi aprire alla Chiesa per essere salvo; che il Popolo di Dio camminasse anche prima (e sulla buona strada!), guidato da Pastori santi e fedeli; che condannare l’errore in teoria senza mai sanzionare l’errante ostinato serva solo a convincere gli altri che l’errore sia accettabile o persino buono; che per ritrovare la piena comunione con i cristiani divisi abbiamo bisogno di esaminare proprio ciò che l’ha spezzata; che limitarsi a fornire ai poveri cibo e vestiti, omettendo di offrire loro anche le verità della salvezza eterna, significa defraudarli del bene maggiore che possediamo e di cui hanno bisogno più di qualsiasi altra cosa… Un uomo liberato dalla povertà materiale, che per i suoi peccati rischia però di dannarsi per l’eternità, non è felice in questa vita e potrebbe non esserlo mai, nemmeno nell’altra. Per inciso, di peccati ne facciamo tutti, compresi i poveri; è un dato reale che non riesce a smentire nessun sogno della “nuova morale”, in cui nulla è peccato e non si sa più neppure che cosa sia il peccato.
Tutto ciò dovrebbe essere semplicemente evidente per chi ha la fede e usa giusto un pochino la testa… ma forse pretendiamo troppo, in questa congiuntura ecclesiale in cui l’uso del raziocinio è diventato un lusso (Dio ce ne scampi, la Chiesa deve essere povera!) e la fede è ridotta a vago sentimentalismo da romanzo rosa. A forza di giocare al ribasso hanno svuotato i magazzini, non restano più nemmeno i saldi di fine stagione… A che cosa aggrapparsi, a questo punto? Dove sopravvive ancora la Sposa di Cristo? Indubbiamente, nei suoi Sacramenti, nella sua Tradizione, nei suoi ministri fedeli, in tanti battezzati che soffrono, offrono e pregano: nell’anziana cieca e sorda che recita il Rosario nella solitudine della sua casetta; nel parroco di campagna che fa il catechismo ai suoi bambini; nella mamma che ogni domenica porta con sé i figli alla santa Messa; nell’operaio che ringrazia il Signore mattina e sera per la famiglia e per il lavoro; nell’insegnante che, nel trasmettere il suo sapere, fa crescere delle persone e le dispone così al Regno di Dio… Questo non è un sogno, è realtà. Forse non saremo in tanti, ma l’importante è esserci.
Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno (Lc 12, 32).
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