ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 9 marzo 2015

Orfanelli cercano Papapapà

I ciellini in crisi cercano aiuto da papa Francesco

Finita tra inchieste e scandali la stagione del potere, il movimento prova a ripartire dal Vaticano
di Comunione e Liberazione, giunti a Roma per il sessantesimo anniversario del movimento (Credits:iAndreas Solaro/Afp/Getty Images)

Roma, 7 marzo 2015: il Papa saluta la folla di fedeli di Comunione e Liberazione, giunti a Roma per il sessantesimo anniversario del movimento (Credits:iAndreas Solaro/Afp/Getty Images)






















l Papa sta provando a cambiare pure Comunione e liberazione, il movimento fondato da don Giussani – di cui ricorrevano nei giorni scorsi i 10 anni dalla morte - oggi attraversato da una profonda crisi interna e da un ripensamento sulla propria identità. In circa 80 mila sono andati in piazza San Pietro lo scorso sabato 7 marzo per incontrare papa Francesco; il pontefice argentino non ha fatto sconti al popolo ciellino e allo stesso tempo lo ha preso sul serio proponendogli una visione di Chiesa non autoreferenziale, non “impresaria”, capace di stare anche dalla parte dei peccatori, di quelli che cadono e possono rialzarsi;
una Chiesa in uscita verso le periferie, non barricata dietro una morale cristiana vissuta solo come contrapposizione estrema con il mondo, e anzi Francesco ha ripetuto quanto già aveva detto ai nuovi cardinali: «La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero». Per questo Bergoglio ha invitato i ciellini a proiettarsi nella realtà, ad andare incontro agli ultimi, a non assumere un modello statico, “pietrificato”, del proprio carisma, a non essere solo un'etichetta, una sigla, una ong, facendosi invece Chiesa capace di «andare a cercare i lontani».

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Cl, in un modo o nell'altro, è sempre al governo, quando comanda la destra o quando va al potere il centrosinistra renziano. Ma ha perso la sfida di dettare la linea
Ma cosa è diventata Cl nel frattempo? L'organizzazione fondata da Giussani è anche i suoi sempiterni ministri. Come Maurizio Lupi, titolare del dicastero chiave delle Infrastrutture e dei trasporti nel governo di Matteo Renzi, passato armi e bagagli al seguito di Angelino Alfano (attuale ministro dell'Interno) dal berlusconismo all'Ncd nel tentativo di liberarsi dal declino inarrestabile del Cavaliere e di Forza Italia. I due - Lupi e Alfano - erano entrambi presenti in piazza San Pietro da papa Francesco e con loro c'era pure il simbolo del potere ciellino in Italia, il ”celeste” Roberto Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia, anch'egli separatosi da Berlusconi dopo averne condiviso sorti e fortune politiche. Cl, insomma, in un modo o nell'altro, è sempre al governo, quando comanda la destra o quando va al potere il centrosinistra renziano. Ma, e qui sta forse un elemento non secondario di crisi del movimento, l'organizzazione cattolica a forte - ma non esclusiva – trazione integralista, non è mai riuscita ad assumere la guida della destra italiana, liberandola magari da quelle pulsioni anticostituzionali, da quelle ondate di populismo, che ne continuano a segnare la storia.
Al contrario, il potere che si è concentrato nelle mani di Cl – o meglio, nelle mani di uomini provenienti dalle sue fila – ha finito negli anni scorsi per travolgere il modello lombardo, e con esso il mito di una sussidiarietà che avrebbe ridimensionato lo Stato e le sue funzioni facendo aumentare allo stesso tempo i servizi gestiti direttamente dai privati e dalle forze sociali presenti sul territorio come le tante organizzazioni legate più o meno direttamente alla Compagnia delle opere o alla stessa Comunione e liberazione. Inchieste, scandali, gestioni incerte, debiti: il sistema CL-Lombardia (fortemente radicato nella sanità) è saltato così, senza molta originalità. I tempi cambiano in fretta, però, e ora già preme all'orizzonte l'Expo. Evento funestato da indagini e infiltrazioni malavitose; ma comunque fiore all'occhiello dell'Italia per i prossimi mesi. Da tale evento, la politica lombarda, ciellini e piddini compresi, cerca disperatamente un successo. Qualcuno avrebbe voluto il Papa come testimonial d'eccezione visto che anche il Vaticano ha un suo padiglione, ma per ora Francesco ha mandato solo un videomessaggio nel quale se l'è presa con «l'autonomia assoluta dei mercati» che genera diseguaglianze. Non esattamente il più accondiscendente degli spot.
A complicare i rapporti di Comunione e liberazione con la Santa Sede, la sconfitta del Cardinale Angelo Scola, di origine ciellina, , cui fu preferito Bergoglio all’ultmo conclave
A complicare i rapporti di Comunione e liberazione con la Santa Sede però c'è anche un altro fatto. Nel marzo 2013 l'arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, di origine ciellina, è stato il candidato forte presentato in conclave dagli ambienti ecclesiali più conservatori. Il cardinale poteva contare sull'appoggio dei porporati italiani e di settori rilevanti dell'opinione pubblica nazionale. D'altro canto diversi osservatori notarono come, quando Scola, già patriarca di Venezia, venne chiamato alla Cattedra di Milano da Benedetto XVI nel 2011, questa scelta costituiva una sorta di indicazione 'de facto' da parte del papa tedesco per la sua successione. Le cose, è noto, andarono diversamente. Non solo: è emerso successivamente che a Venezia il cardinal Scola lasciava non pochi problemi aperti dietro di sé. Il prestigioso istituto universitario Marcianum da lui fondato, sarebbe stato infatti smantellato dal patriarca Francesco Moraglia, successore di Scola in Laguna, in seguito alle indagini sul sistema Mose. I finanziatori dell'istituzione culturale risultavano essere gli stessi coinvolti nell'inchiesta (che colpiva in pieno anche al sinistra) e il Vaticano diede il suo placet al ridimensionamento dell'ateneo.
Don Mauro Inzoli è accusato di pedofilia e al centro di molte discussioni per aver partecipato a un Convegno sulla famiglia di Regione Lombardia

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In questo contesto un ruolo importante è stato giocato da don Julian Carron, il successore di Giussani alla guida della Fraternità. Accusato di scarso carisma, Carron ha avuto il compito non facile di guidare Cl nella fase critica seguita ai rovesci giudiziari degli anni scorsi che hanno messo alla prova il movimento. Nell'ottobre del 2013 è stato ricevuto da papa Francesco e al termine di quell'incontro diffuse una lettera nella quale fra l'altro affermò: «Papa Francesco mi ha confidato di avere conosciuto il Movimento a Buenos Aires agli inizi degli anni Novanta e che questa scoperta fu per lui 'aria fresca'. E questo lo portò a leggere spesso i testi di don Giussani, perché trovava in lui quello che serviva alla sua vita cristiana. Immaginate la commozione nel sentirmi dire queste cose da chi oggi è il Vescovo di Roma!». E di nuovo nel gennaio del 2015 Carron si è rivolto al movimento in vista dell'udienza di sabato con il papa, osservando: «Per questo andiamo a Roma. Non per un incontro celebrativo, ma solo per il desiderio di imparare da papa Francesco come essere cristiani in un mondo in così rapida trasformazione».

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Non tutti dentro Cl, però, la pensano così e il dibattito, come si dice, è aperto. Ma anche la cronaca poi ha il suo peso e il caso di don Mauro Inzoli, potente prete di scuola ciellina, condannato dal Vaticano in relazione a vicende di abusi sessuali, non aiuta certo i dissenzienti. Anche perché il sacerdote ha ignorato l'ordine della Santa Sede di dedicarsi a una vita di ritiro per prendere parte di recente a un convegno in difesa della famiglia tradizionale - dai tratti in realtà decisamente omofobi - organizzato dalla Regione Lombardia, presenti Maroni, La Russa, Formigoni e altri notabili della politica lombarda e nazionale. Insomma la Chiesa della misericordia e l'andare nelle periferie invocati da Francesco, sono concetti che qualcuno deve ancora digerire.

Antonio Socci: così il papa demolisce Comunione e liberazione

Che cosa è accaduto ieri in piazza San Pietro fra papa Bergoglio e gli aderenti a Comunione e liberazione? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Il 3 marzo scorso, nell’omelia di santa Marta, il papa disse: «Ma come posso convertirmi? La sporcizia del cuore non si toglie come si toglie una macchia... Si toglie col “fare”... cioè la strada del fare il bene. E come faccio il bene? È semplice! “Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”».
In quelle stesse ore don Julian Carron, responsabile pro tempore di CL, sul tema della conversione scriveva l’esatto opposto: «Ogni volta che davanti a questa o quella situazione ci chiediamo che cosa dobbiamo fare, dimostriamo che non abbiamo ancora risposto a quella domanda. Niente lo documenta più di questo “che cosa fare?”. Abbiamo una cosa da fare, solo una: convertirci».
Bergoglio identifica la conversione con un “fare”, con un attivismo sociale che abbiamo già visto in America Latina e qui negli anni Settanta in certi gruppi cattolici di sinistra, dove alla fine Cristo si riduceva a “pretesto” per un attivismo sempre più politico e ideologizzato. Invece don Carron percorre la via di un ripiegamento intimistico che toglie alla fede e alla comunità cristiana ogni dinamica umana espressiva e si risolve in quella “scelta religiosa” che decenni fa venne fatta dall’Azione Cattolica e fu sempre combattuta da don Giussani come il suicido del cattolicesimo. Giussani aborrì allo stesso modo la riduzione “sociale” e attivistica del cristianesimo che considerava succube delle ideologie.
Fra la risposta bergogliana del “fare” e quella carroniana dell’intimismo psicoanalitico, c’è infatti una terza risposta, quella giusta, che è sempre stata espressa, potentemente, da don Giussani, da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Si potrebbe sintetizzare così: l’incontro con Cristo, attraverso il volto dei suoi amici, della comunità cristiana, dà senso e bellezza alla vita, abbraccia e cambia tutta la persona, tutta la sua esistenza, e genera un popolo che ha uno sguardo originale su tutto, che ha un giudizio cristiano su ogni aspetto della vita personale e sociale, proponendo a tutti un orizzonte più umano e più vero di quello delle ideologie dominanti.
Ieri, in piazza San Pietro, papa Bergoglio e don Carron, pur da posizioni contrapposte, si sono trovati convergenti nel tentativo di liquidare proprio questa via, che Giussani ha percorso dando vita a Comunione e liberazione, la via che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno riconosciuto e sostenuto, essendo anche la loro e quella della Chiesa. Certo, ieri a Roma si è reso omaggio all’uomo Giussani, ma trasformato in un santino e isolato dalla sua storia. Tentando di delegittimare e archiviare l’opera che da lui è nata, il popolo di Comunione e liberazione e la sua formidabile presenza sociale e culturale, la sua originale creatività che dagli anni Settanta ha incontrato e coinvolto tantissimi giovani e molti non credenti. Oggi restare fedeli con il cuore a quella storia, «a quella forma di insegnamento, alla quale siamo stati consegnati» (Ratzinger), significa, secondo Bergoglio, essere «guide da museo e adoratori di ceneri». E purtroppo don Carron converge su questa “liquidazione” di una storia comunitaria e di una presenza eccezionale.
Così però Bergoglio dice il contrario di quanto hanno affermato Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e don Giussani. È innegabile, se non si vuol nascondere la testa sotto la sabbia. Faccio due esempi. Una delle bastonate di Bergoglio a CL è sull’autoreferenzialità. In effetti CL, come altre realtà ecclesiali, oggi ha questo grave problema, tanto è vero che la sua presenza pubblica è pressoché svaporata, e però Bergoglio non ha colpito solo l’attuale CL carroniana, ma anche e soprattutto il forte senso di appartenenza che Giussani ha insegnato, cioè l’identità comunitaria tuttora viva dei ciellini.
Infatti ha detto: «Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una spiritualità di etichetta: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale». Ma è facile ricordare parole opposte di Giussani sull’ “essere di CL”. Proprio l’altroieri il portavoce di CL, Alberto Savorana, in un’intervista, ricordava che il nome del Movimento nacque da un volantino degli universitari nel 1969: «Un giorno, entrando in uno dei locali frequentati da questi studenti, in via Ariosto a Milano, don Giussani vede quel volantino appeso, con riferimento al nome scelto da quelli della Statale, e dice: “Ecco, noi siamo il nome che si sono dati gli universitari, perché comunione è liberazione”».
La seconda bastonata bergogliana è arrivata quando ha contrapposto il carisma a Gesù Cristo, mentre invece - come ha spiegato mille volte don Giussani - «il carisma è l’avvenimento di Cristo secondo la modalità con cui investe il mio presente... facilita l’appartenenza a Cristo, cioè è l’evidenza dell’avvenimento presente oggi... In questo senso il carisma introduce alla totalità del dogma». Giussani spiegava bene la parola: «Un carisma si può definire come un dono dello Spirito dato a una persona in un determinato contesto storico, affinché quell’individuo dia inizio a una esperienza di fede che possa risultare in qualche modo utile alla vita della Chiesa. Sottolineo il carattere esistenziale del carisma: esso rende più convincente, più persuasivo, più “abbordabile” il messaggio cristiano proprio della tradizione apostolica. Un carisma è un terminale ultimo dell’Incarnazione, cioè una modalità particolare attraverso la quale il Fatto di Gesù Cristo uomo-Dio mi raggiunge e, per il tramite della mia persona, può raggiungere altri». Invece Bergoglio contrappone le due cose: «Ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada». Il messaggio implicito era il seguente: adesso dimenticate la vostra storia e il vostro carisma per seguire me e le mie idee. In realtà, nella storia della Chiesa, la ricchezza è stata proprio nella diversità di carismi: i benedettini sono diversi dai francescani, i domenicani dai gesuiti, i carmelitani dai comboniani. E tutti sono centrati su Cristo.
Anche i papi dei nostri anni hanno affermato cose opposte all’idea bergogliana. Per esempio, Giovanni Paolo II, in una lettera a Giussani per il 50° anniversario della nascita del Movimento, nel febbraio 2004, volle ripetere ai ciellini ciò che già tante volte aveva detto: «Rinnovate continuamente la scoperta del carisma che vi ha affascinati ed esso vi condurrà più potentemente a rendervi servitori di quell’unica potestà che è Cristo Signore!». Poi espresse un altro giudizio diametralmente opposto a quello pronunciato ieri da Bergoglio: «Il vostro Movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per arrivare alla soluzione di questo dramma esistenziale. La strada, quante volte Ella lo ha affermato, è Cristo».
Papa Wojtyla definiva il Movimento «uno dei germogli della promettente “primavera” suscitata dallo Spirito Santo negli ultimi cinquant’anni». E, considerato che erano stati anni segnati «da una sofferta contrapposizione con le ideologie imperanti, da una crisi dei progetti utopistici e, più recentemente, da una diffusa tendenza al relativismo, allo scetticismo, al nichilismo, che rischiano di estinguere i desideri e le speranze delle nuove generazioni», il grande papa Wojtyla invitava tutti i ciellini «a risalire all’esperienza sorgiva da cui il Movimento ha preso le mosse, rinnovando l’entusiasmo delle origini. È infatti importante mantenersi fedeli al carisma degli inizi per poter rispondere efficacemente alle attese e alle sfide dei tempi». L’opposto di quello che si è sentito ieri.
di Antonio Socci
CL, con il Papa un amore non corrisposto
di Robi Ronza09-03-2015
Papa Francesco
Sabato scorso 7 marzo Papa Francesco ha accolto e incontrato in piazza San Pietro a Roma la gente di Comunione e Liberazione. Ordinatamente gremita la piazza e parte di via della Conciliazione, si è stimato che fossimo presenti in circa 80 mila di ogni età, convenuti per lo più dall’Italia (dove vive la gran parte dei “ciellini”) ma anche da altri 46 paesi di ogni continente.
L’evento rientrava nella serie d’incontri che Papa Francesco sta facendo con tutti i maggiori movimenti ecclesiali che, sorti nella seconda metà del secolo scorso, sono un elemento tipico e molto rilevante del processo di riannuncio di Cristo in quest’epoca che, in attesa di trovare un nome migliore, si può definire post-moderna. L’incontro con Comunione e Liberazione di sabato scorso ha in certo modo concluso la serie: il Papa  aveva infatti già in precedenza incontrato tutti gli altri maggiori movimenti, dal Rinnovamento dello Spirito fino al Cammino Neocatecumenale (un grande incontro con quest’ultimo era avvenuto a Roma in Sala Nervi il 6 marzo, il giorno precedente).  
Con l’amore per la Chiesa e con la libertà di spirito che don Giussani insegnava, e che spero di aver imparato bene, vorrei dare qui un mio contributo alla valutazione dell’incontro di sabato scorso. Si trattava da una parte, come era stato ben sottolineato, del pellegrinaggio alla tomba di Pietro di un movimento che da sempre ha visto come fondamentale il legame con il Papa e con i vescovi in comunione con lui. La preghiera delle Lodi e l’Angelus recitati all’unisono dagli 80 mila presenti ne sono stati segno evidente.

Si trattava dall’altra, giunti alla soglia di Pietro, dell’ascolto dell’insegnamento papale.Un insegnamento che si è concretizzato in un discorso, di cui chiunque può grazie a internet leggere il testo integrale (clicca qui). Esso si compone di tre parti: un breve paragrafo iniziale di cordiale saluto e di ringraziamento personale al presidente della Fraternità di CL, don Julián Carrón; quindi due parti dedicate l’una al riconoscimento del valore del pensiero di Luigi Giussani e l’altra ad alcuni ammonimenti alla gente di Comunione e Liberazione. Oltre ad essere conclusiva quest’ultima parte è la più lunga.

Quindi, almeno tecnicamente, quello che il Papa ha fatto a CL è in sostanza un discorso di ammonimento. A parte le parole cordiali rivolte a don Carrón non si rileva invece in tutto il resto del discorso alcun cenno positivo, anzi alcun cenno in assoluto, alla realtà attuale del Movimento e alla sua antica e rilevante presenza in quelle periferie del mondo che tanto stanno a cuore a Papa Francesco: la realtà che s’intravvede, tanto per citare un documento recente, nel DVD La strada bella, ma di cui comunque esiste vastissima documentazione. Il Papa ne sarà di certo informato, ma non ne ha fatto parola nella circostanza invitando invece innanzitutto a tener presente che “il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo!”.

Più che un monito in queste sue parole ho visto una conferma proprio di ciò che mi aveva colpito in don Giussani quando lo incontrai, e che è fino ad oggi l’elemento tipico di CL, insomma il suo carisma: la sua radicale sottolineatura della centralità di Cristo. Ricordando il mio incontro con don Giussani  l’avevo già scritto nella nota alla nuova edizione del libro-intervista Il Movimento di Comunione e Liberazione (Rizzoli, BUR Saggi, 2014), e lo ripeto qui: ”(…) l’uomo da un lato non aveva nulla  di clericale, ma dall’altro non esitava a sostenere esplicitamente qualcosa impensabile per la cultura dominante dell’età moderna, ovvero che Cristo, centro del mondo e della storia, è la risposta alle urgenze esistenziali dell’uomo, al suo bisogno di felicità”.  Talvolta può accadere che, soprattutto in certi ambiti e in certe generazioni,  per entusiasmo giovanile o per…spirito di corpo, ci si riempia troppo la bocca di CL. Quindi si deve essere grati per l’invito a non farlo, ma si tratta soltanto di una deriva sociologica, non di una deriva teologica.    
Per dinamiche che attengono poi alla psicologia sociale prima che a qualsiasi altra cosa, ogni esperienza umana socialmente intensa tende a divenire autoreferenziale; anche semplicemente un’azienda o un club sportivo prima che un movimento ecclesiale. A prescindere dal fatto che tali moniti sarebbero giustificati anche con riguardo ad altri, è comunque un giusto richiamo quello che Papa Francesco ha fatto a CL; occorre tenerne conto e farne tesoro senza temere di mettersi in discussione.

Tuttavia, anche senza riandare al suo incontro con il Rinnovamento dello Spirito e ai suoi frequenti apprezzamenti della Comunità di Sant’Egidio, vale la pena di confrontare il discorso più sopra ricordato con quello che Papa Francesco ha pronunciato il giorno prima incontrando la gente del Cammino Neocatecumenale (clicca qui). Dal confronto emerge con chiarezza che Papa Francesco non ha nei confronti di Comunione e Liberazione una particolare immediata simpatia. Non è un problema, ma non è nemmeno il caso di ignorare come stanno le cose. Agli albori dell’esperienza ecclesiale che oggi si chiama CL, un altro Papa, Paolo VI, era sulla medesima lunghezza d’onda, ma in seguito cambiò. E poi si sta con Pietro in ogni caso, ben al di là di contingenze del genere.  

1 commento:

  1. tipica deriva dei gruppi ecclesiali che portano a "se" e non a Cristo!si stanno rivelando tutti lupi!

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