Pace e libertà
Non esiste illusione più tenace e insidiosa di quella di essere liberi. L’uomo è per nascita schiavo del peccato, delle proprie passioni e dell’inclinazione al male, per non parlare dei suoi errori passati e di tutti i condizionamenti provenienti dall’ambiente in cui nasce, che si putrefà nella corruzione. Dopo il peccato originale, l’uomo non è mai stato libero né mai lo sarà, se non obbedendo alla legge di Cristo. È un dato di fatto metafisico, prima che morale: la natura umana è ferita e danneggiata. Questo formicolare di esseri infelici che si dibattono nell’ignoranza e nella melma credendo di esercitare la propria libertà – mentre vi affondano inesorabilmente sempre di più – sarebbe degno di compassione se quei medesimi esseri non si fossero volontariamente resi sordi a qualsiasi richiamo, pieni di astio verso chi vorrebbe aiutarli a tirarsene fuori, incantati invece da chi li indottrina, li manipola, li manovra, li controlla finanche nella mente, oltre che in tutti gli aspetti della loro esistenza concreta.
Come mai personaggi così giovani con incarichi politici così importanti? Perché le ultime generazioni, nate dopo il ’68 e il “rinnovamento” della Chiesa, sono ormai in buona parte prive di coscienza e di qualsiasi scrupolo. I governanti attuali sono monelli, individui completamente amorali, talmente spregiudicati da essere disposti a tutto pur di rimanere in sella, così che da loro si può ottenere qualunque cosa. Le logge massoniche sovranazionali (piuttosto che quelle nostrane, che non contano più nulla) li usano per realizzare i propri piani di sovversione della società e disgregazione della persona umana, dopo aver brutalmente scartato elementi più maturi già da esse imposti, ma evidentemente non del tutto docili – per non dire succubi – alle direttive dei loro mandanti occulti. Ora che sono riusciti a piazzare un amico anche oltre Tevere, nemmeno da lì arriva più alcuna opposizione, ma anzi un potentissimo appoggio nella manipolazione della cosiddetta opinione pubblica, ormai influenzabile a piacere (compresi i sedicenti cattolici).
«Chi sono io per giudicare»… Sono bastate cinque parole, pronunciate durante una chiacchierata con i giornalisti in una cabina d’aereo, per far crollare di botto una diga che reggeva da duemila anni, provocando nelle coscienze un disastro ben peggiore di quello del Vajont. Il giudizio morale, già latitante, è stato definitivamente bandito dalla convivenza civile ed ecclesiale, secondo un principio di relativismo assoluto che è stato poi ampiamente illustrato appena due mesi dopo, sempre per via giornalistica. Il nuovo dogma non ha bisogno di definizioni solenni (visto che quelle del passato non contano più nulla), ma passa giustamente attraverso quei mezzi di comunicazione che raggiungono immediatamente tutti, cattolici e non, credenti e atei, persone ragionevoli e individui privi di pensiero. Un anno e mezzo più tardi, la devastazione delle coscienze è ormai evidente: non si può più nemmeno dire, in una chiesa, che quando nasciamo siamo o maschi o femmine… Figuriamoci l’effetto negli ambienti politici e “culturali” dei senza-dio e dei falsi cristiani!
Un capo della Chiesa secondo il quale «Dio non è cattolico» e che se la prende tanto con l’autentica attività missionaria, per giunta ormai esangue (quella che, in obbedienza al mandato di Cristo, mira alla conversione dei non cristiani per la loro salvezza), tacciandola di sciocco proselitismo proprio davanti a un giornalista apostata e abbracciando poi calorosamente i capi di sètte fondamentaliste che praticano un proselitismo selvaggio ai danni della Chiesa Cattolica… dovrebbe almeno, come usa dire nella città di cui è vescovo, “fare pace col cervello”. Ma se uno si prende la briga di rileggersi i canoni contenuti nella Costituzione Dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I (ebbene sì, se ce n’è stato un secondo, è perché prima c’è stato quello), si renderà facilmente conto che, oltre a un problema di semplice logica, evidente a chiunque ragioni un pochino, ce n’è uno di fede e di conseguente disciplina ecclesiastica: molte affermazioni del de quo, per quanto ambigue e furbesche, lo fanno incorrere nella scomunica.
Nella medesima pena sono da tempo incorsi, anche senza formale notifica, alcuni dei suoi elettori a causa delle eresie da loro propalate sia a voce che per iscritto, poi lodate dal loro candidato già all’indomani della sua elezione. C’è decisamente di che convincersi ulteriormente – se necessario – dell’invalidità di tutta la messa in scena. Che pensare poi del fatto che il titolare della diocesi ambrosiana era già dato per eletto dalla conferenza dei Vescovi italiani, con una certezza tale che il telegramma di felicitazioni è partito ancor prima dell’Habemus papam? Si è trattato semplicemente di una gaffecolossale o qualcosa non ha funzionato come dovuto, visto che il “papa mancato”, nei due mesi successivi, è stato inavvicinabile, a detta dei suoi sacerdoti? Ha forse ricevuto minacce in conclave perché si facesse da parte, come già accaduto con il cardinal Siri nel 1978?
Ad ogni modo, la celebre astuzia gesuitica (nel senso deteriore del termine) può ben ingannare chi ha dimenticato anche le nozioni più elementari del catechismo o chi non le ha mai imparate, ma non chi conosce rettamente la fede che professa e, trovandosi in stato di grazia, è assistito dallo Spirito Santo. Compito del supremo Pastore non è sostenere in modo dissimulato un partito eterodosso praticando al contempo un maldestro equilibrismo per tenersi attaccata la parte sana, ma denunciare apertamente l’errore per smentire il primo e incoraggiare la seconda: «Noi pertanto, che il Padre di famiglia ha posto a custodia del proprio campo, e perciò siamo tenuti dall’obbligo sacrosanto a vigilare che il buon seme non sia soffocato dalle male erbe, stimiamo a Noi rivolte dallo Spirito Santo quelle gravissime parole, con le quali l’Apostolo Paolo esortava il suo diletto Timoteo: “Ma tu, veglia, adempi il tuo ministero… predica la parola, insisti a tempo, fuori di tempo: riprendi, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina” (2 Tm 4, 2-5). E poiché, ad evitare le frodi del nemico, è anzitutto necessario scoprirle, e giova molto avvisare gl’incauti degl’inganni suoi, non possiamo del tutto tacerne, per il bene e la salute delle anime, sebbene preferiremmo nemmeno nominare simili malvagità, “come conviene ai Santi” (Ef 5, 3)» (Pio XI, Enciclica Casti connubii, 1930).
Parole quanto mai attuali, pur a distanza di tanti anni. Tutto il Magistero autentico, del resto, non può che essere perennemente valido: «Perché come è sempre il medesimo “Gesù Cristo ieri e oggi e nei secoli” (Eb 13, 8), così è sempre identica la dottrina di Cristo, della quale non cadrà un punto solo, sino a tanto che tutto sia adempito (cf. Mt 5, 18)» (ibid.). È allora del tutto naturale obbedire, con la mente, con il cuore e con la vita, a chi insegna nel nome del Salvatore, purché questi obbedisca a sua volta a Chi lo ha collocato al suo posto: «È proprio di tutti i veri seguaci di Cristo, sia dotti, sia ignoranti, lasciarsi reggere e guidare dalla santa Chiesa di Dio in tutte le cose spettanti alla fede e ai costumi, per mezzo del suo Supremo Pastore, il Pontefice Romano, il quale è retto a sua volta da Gesù Cristo Signor Nostro» (ibid.). È questa obbedienza il segreto della vera libertà. Continuiamo ad affermarlo con franchezza e coraggio, sapendo che, al momento da lui voluto, Dio ci donerà di nuovo una guida che, confermandoci nella verità, ci restituisca la pace.
Desisti dall’ira e deponi lo sdegno; non irritarti: faresti del male… Ancora un poco e l’empio scompare… Conosce il Signore la vita dei buoni… Non saranno confusi nel tempo della sventura e nei giorni della fame saranno saziati. Poiché gli empi periranno… tutti come fumo svaniranno… Perché il Signore ama la giustizia e non abbandona i suoi fedeli (Sal 37 [36], 8.10.18-20.28).
Pubblicato da Elia
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