ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 27 aprile 2015

Il baricentro basso


Papa Bergoglio e Maradona: Diego il ribelle albiceleste e Jorge il rivoluzionario celestiale

PAPA

Se Francesco è il Maradona della Chiesa, il mondo è il Maradona di Francesco. La duplice metafora inquadra e raccoglie, come le facce di una medaglia, la gioia e il dolore, lo spettacolo e il tormento, la geopolitica e teologia del pontificato.
Due sogni che si incrociano, sinceramente attratti e inesorabilmente rivali, come in un derby tra il San Lorenzo e il Boca. Per poi lasciarsi e inseguire l’estro, la sfera rotante del proprio destino, imprendibili e imprevedibili. Diego il ribelle albiceleste e Jorge il rivoluzionario celestiale. Dalla Bombonera di Buenos Aires, con le sue dolcezze stilistiche, alla bomboniera del pianeta, con i suoi confetti amari.

Ogni volta che Maradona incontra il Papa si rinnova e va in scena il magnetismo tra due miti e miraggi argentini: quello che si scioglie con il fischio finale della partita e quello asceso al soglio di una partita senza fine. Quello che sul campo non sbagliava mai posto, mentre nella vita terminava spesso in offside. E quello che ha trascorso una vita da outsider, ma si ritrova divinamente al posto giusto. Quello che giocava subito, sin dall’inizio, e nessuno che potesse sostituirlo. E quello che è entrato all’ultimo, allo scadere, dicendo già che chiederà la sostituzione.
Il Pontefice che aprirà la Porta Santa e il goleador che scardinava le porte stregate. Il pibe de oro e la croce di ferro. La mano de Dios e il pugno dell’uomo, a parti invertite, dove Diego interpreta la prima e Jorge il secondo.
Torniamo indietro al calcio d’avvio, moviola e fermo immagine sull’assunto di partenza: Bergoglio è il Maradona della Chiesa. Come nel goal del secolo ai mondiali del Messico, Francesco incanta infatti senza illudere, senza eludere, finalizzando e concretizzando, testa alta e palla a terra, funambolo ma pragmatico. Incisivo ma lieve. Il baricentro basso e il passo sui problemi. Attraversando le storie personali e la storia universale. Insomma un “fenomeno”, certifica Diego Armando oggi suo emulo.
Secondo tempo e capitolo secondo, cambio di campo e inquadratura. Il mondo è il Maradona di Francesco: metafora dell’umanità e del creato, specchio e rischio del futuro. Talento illimitato e progressione inarrestabile. Valore inestimabile, autolesionismo virale. Capace di deformarsi e distruggersi, non di custodirsi. Di odiarsi alla follia e innamorare le folle. Di far scendere il cielo in terra, con la magia dei suoi piedi, e di scendere a piedi all’inferno, prigioniero di un maleficio. Genio e sregolatezza, visto dalla tribuna, dov’è assiso però un papa tifoso, che al mondo perdona tutto. Si ama, non si discute: “messaggi di fiducia, invece di funesti presagi”, si legge nella Bolla dell’Anno Santo.
Solo un pontefice da stadio con un cuore da “ultrà”, in definitiva, poteva spingere la misericordia “oltre” se stessa, “oltre” il rigore, sul filo nevralgico del fuori gioco, nell’area piccola dei momenti che contano e decidono la partita della vita. Nel bene o nel male. In libertà e responsabilità. Indicendo il mondiale del Giubileo e indicandone il decentramento in periferia. Cercando il cielo nei campi sterrati, dove la polvere di stelle impasta i campioni. Per risalire in alto lungo le gradinate suburbane, come fosse il sagrato delle basiliche romane.

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