Salutato con entusiasmo dal coro dei media, il divorzio breve si è rivelato un test impietoso e forse definitivo del dissolvimento di quella che anni fa era considerata l’eccezione italiana: la capacità del cattolicesimo politico di questo paese di agire controcorrente ed efficacemente nello spazio pubblico, sui punti chiave della vita e della famiglia.
“Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale italiana, ha titolato il suo editoriale di commento alla legge con parole di condanna inequivoca: “Divorzio breve, un incivile traguardo. La devastante china anti-familiare”.
Ma sui media laici questo soprassalto è stato rubricato come “l’ira dei cattolici” e immediatamente archiviato.
Già i numeri della votazione che ha approvato la legge sono eloquenti: 398 sì, 28 no e 6 astenuti. In un parlamento che pure è zeppo di cattolici. Con un governo in cui sono cattolici il premier Matteo Renzi e numerosi ministri. Con la relatrice della nuova legge, la renziana Alessia Morani, avvocato matrimonialista, che si definisce “cattolica democratica e matura”.
In una lettera ad “Avvenire” del 25 aprile, il deputato del PD Franco Monaco, già presidente dell’Azione Cattolica di Milano e a suo tempo primo consigliere e ghostwriter politico del cardinale Carlo Maria Martini, ha elencato i tanti fattori negativi della nuova legge e tutte le sue personali preoccupazioni per la deriva agnostica, individualista e libertaria che essa rappresenta. Ma dice d’aver comunque votato sì.
E in una postilla “sui cattolici in politica”, scrive:
“Oggi essi sono meno pressati dal fronte ecclesiastico a farsi carico dei ‘princìpi non negoziabili’. Non è una buona ragione per abbassare la soglia di un responsabile discernimento critico. Semmai il contrario: ora che non ci è sollecitato dall’esterno dobbiamo essere noi a farcene carico in proprio”.
Ma se i sì al divorzio breve sono il segno di questo autonomo “discernimento critico” dei cattolici finalmente non più pressati dalle gerarchie, è non meno interessante capire quali siano, sempre in campo cattolico, le ragioni portate a sostegno di questo nuovo corso.
L’indizio più rivelatore, in proposito, è venuto da un colonnino del “Corriere della Sera” del 24 aprile.
L’autore, Mauro Magatti, è una firma ricorrente di “Avvenire” ma ancor più del grande quotidiano laico di via Solferino. È ordinario di sociologia all’Università Cattolica di Milano ed è stato preside di facoltà dal 2006 al 2012. Insegna anche alla facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Ma è soprattutto intellettuale di riferimento di primo piano della conferenza episcopale italiana, non quella combattente di ieri ma quella evanescente di oggi, rappresentata dal suo segretario generale Nunzio Galantino.
Ebbene, come la CEI ha perso ogni rilevanza sul terreno politico, altrettanto avviene per il pensiero cattolico che dovrebbe incidere politicamente. E il commento di Magatti sul divorzio breve illustra perfettamente questo stato di cose.
Scrive:
“Nell’epoca in cui si celebrano la velocità e la flessibilità e nella quale si ama lo splendore del ricominciamento, il divorzio breve si conforma perfettamente allo spirito del tempo”.
Non critica. Constata:
“L’essere umano ha straordinarie capacità di adattamento. Si adatterà anche a un modello sociale in cui dal matrimonio a vita si passa al matrimonio a termine… Più libertà di scelta individuale, minori vincoli sociali”.
Affaccia solo una vaga incognita sul futuro:
“Il tempo ci dirà se questa decisione ci farà davvero felici… Dovremo tutti essere capaci di sopravvivere a rapporti instabili, sforzandoci di essere sempre all’altezza”.
Per concludere così:
“Tutto questo lo si vedrà poi. Per oggi, come dice il poeta: Chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza”.
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