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mercoledì 22 aprile 2015

Martirio o rissa?

Martirio o rissa? I due linguaggi del papa e del monsignore

stefano
Prima dell’alba le due letture di papa Francesco sono la Bibbia e il giornale. Un classico. Che poi riversa, di prima mattina, nelle sue omelie nella cappella di Casa Santa Marta.
Ne è prova l’accorata e informata rassegna che Francesco ha fatto degli ultimi martiri di cui ha avuto notizia, “assassinati perché cristiani” nei giorni precedenti questa sua omelia di martedì 21 aprile, proprio come accadde al primo dei martiri, Stefano, lapidato a morte “da quelli che credevano di dare gloria a Dio”:
“In questi giorni, quanti Stefani ci sono nel mondo! Pensiamo ai nostri fratelli sgozzati sulla spiaggia della Libia; pensiamo a quel ragazzino bruciato vivo dai compagni perché cristiano; pensiamo a quei migranti che in alto mare sono buttati in mare dagli altri, perché cristiani; pensiamo – l’altro ieri – a quegli etiopi, assassinati perché cristiani… e tanti altri. E tanti altri che noi non sappiamo, che soffrono nelle carceri, perché cristiani… Oggi la Chiesa è Chiesa di martiri: loro soffrono, loro danno la vita e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza”.
Così papa Francesco. Ma è difficile ascoltare giudizi altrettanto netti da parte di altri uomini di Chiesa. La pavidità del “politicamente corretto” dilaga proprio tra quelli che sono a lui più vicini e si fanno forti del mandato papale per esibire un’autorevolezza che non hanno.
Ecco che cosa ha dichiarato il 17 aprile alla Radio Vaticana il segretario generale della conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino, creatura del papa e suo “commissario” nella CEI, a proposito dei dodici immigrati cristiani gettati in mare perché non invocavano Allah ma il Dio di Gesù Cristo:
“C’era da aspettarselo. Alcuni discorsi che finora erano stati tenuti sul piano ideologico e l’ideologia andava ad alimentare alcuni comportamenti tenuti da elementi più o meno strutturati, più o meno tenuti insieme da gruppi, da associazioni, da clan; adesso questo tipo di discorso di rivendicazione, questo tipo di contrapposizione purtroppo basata sulla religione ma che con la religione non ha niente a che fare, viene speso a livelli spiccioli e di contrasti individuali. Ecco questo, secondo me, rappresenta un passo avanti nell’imbarbarimento, nella strumentalizzazione della religione. Quando gente che vive la stessa situazione di difficoltà, qual è quella di coloro i quali stanno su un barcone e tentano di raggiungere un posto che dovrebbe essere di speranza, addirittura strumentalizzano l’esperienza religiosa e il credo religioso per dover far prevaler il proprio pensiero, la propria situazione, vuol dire che sono stati interiorizzati certi ragionamenti”.
Ed ecco come ha ridetto le stesse cose, sempre monsignor Galantino, a “La Stampa” del 18 aprile, con costrutto meno sconclusionato:
“Bisogna innanzitutto capire bene lo svolgimento dei fatti e non attribuire a questa tragedia significati che potrebbe anche non avere. Quando ci sono persone stipate per giorni nei barconi, in condizioni così precarie, ogni minima lite o risentimento può far scatenare atteggiamenti imprevedibili… Cercare di capire non significa sottovalutare la situazione generale dei cristiani, che si sta aggravando, come purtroppo quotidianamente vediamo. Significa soltanto essere prudenti prima di iscrivere subito il fatto terribile che è accaduto nell’ambito di una guerra di religione. Siamo di fronte a un imbarbarimento e alla strumentalizzazione della religione. Certi discorsi che strumentalizzano la religione si trasferiscono a livello di comportamenti individuali. Se persone disperate che si trovano nella precarietà di un attraversamento del mare arrivano a compiere questi gesti, significa che certe idee sono state interiorizzate”.

di Sandro Magister


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