ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 3 maggio 2015

Ecumenismo politico?


Papa Francesco, le strategie politiche. Senza partito ma da entrambe le parti: la nuova egemonia dei cattolici


PAPA FRANCESCO


In attesa del certificato di nascita della Terza Repubblica, fa “fede” quello di battesimo. Aspettando il Godot dell’Italicum, ancora una volta il discorso di un pontefice anticipa sul filo del traguardo e sancisce un cambio di stagione. In questo caso addirittura di era geologica. L’invito a impegnarsi politicamente, accompagnato dalla postilla che non c’è alcun bisogno di un partito DOC, sta alla storia d’Italia come la lettera di Giovanni Paolo II ai vescovi del Belpaese, del 6 gennaio 1994, anch’essa epifania e manifesto di un passaggio epocale. Ma in direzione divaricata.

Il Papa polacco registrava il sisma, il tracollo e il tramonto della Prima Repubblica. Tuttavia ribadiva la necessità e attualità, nel nuovo sistema, di una forza specificamente ispirata, “per esprimere sul piano sociale e politico la tradizione e la cultura cristiana della società italiana”. Messaggio divergente rispetto al verdetto lapidario di Francesco: “Non serve, non avrà capacità di coinvolgere”. La svolta di Bergoglio è figlia dei tempi e discende a monte da una opzione teologica prima che politica. Un Papa che in generale chiede ai cattolici di uscire, rischiare, mischiarsi con la società, non può a maggior ragione domandare ai politici di chiudersi, arroccarsi, serrare i ranghi.
Francesco affida pertanto ai partiti un ruolo aggregante, di amalgama, e traccia un percorso che dalle instabili coalizioni “bipolari” – confermatesi tali anche sotto il profilo psichico, affette cioè da un disturbo profondo dell’identità – conduca verso un bipartitismo maturo, sereno, inclusivo.
Torniamo agli anni Novanta. Gli eventi successivi alla lettera di Karol Wojtyla sono noti: tre mesi dopo, il 27 marzo, Forza Italia vinceva le elezioni sbaragliando la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Silvio Berlusconi rivestiva l’abito del figlio “prodigio”, immune al peccato originale del compromesso storico, a confronto con il figlio “prodigo” Romano Prodi, concittadino del cardinale Camillo Ruini, che aveva un dì officiato il suo matrimonio ma non ne avrebbe mai benedetto il connubio con gli eredi del PCI. Un difetto d’imprimatur che ha implacabilmente cadenzato il cammino del professore di Reggio Emilia fino al trionfo effimero e caduta libera della standing ovation senza escalation, dal mattino a sera, del 19 aprile 2013, al palo dei centouno voti e gradini mancanti per ascendere al colle più alto.
L’accusa di venire strumentalizzati e fungere da cavalli di Troia della secolarizzazione ha impresso a lungo un marchio discriminatorio sui purosangue della sinistra cattolica, provocando il grido di dolore di Enrico Letta, in un libro del 2009, inascoltato però e ignorato dagli “Angeli” custodi e vindici, Bagnasco e Scola, che vegliavano per conto di Ratzinger sulla CEI.
Solo Renzi ha esorcizzato la maledizione, delineando rispetto a Prodi e Letta una evoluzione della specie, se non una specie a sé, che in parte condivide i medesimi cromosomi ma configura in sostanza una mutazione genetica del cattolicesimo sociale: al punto che il gregge dei movimenti ecclesiali non lo riconosce come pastore, a fiuto. E i pastori rifiutano, nonostante le aspettative dell’interessato, di considerarlo e consacrarlo come “l’unto”, il novello Davide, accanto a quello fiorentino di Michelangelo, nella galleria dei grandi personaggi biblici sul crinale tra storia ed eternità.
In vero, il rompete le righe di Bergoglio non congeda soltanto la Seconda Repubblica. Va indietro e archivia un secolo di militanza e mobilitazione, in nome di una partecipazione più personale e responsabile. “Dispersione”, parola sino a ieri osteggiata e da scongiurare quale astuzia subdola del demonio, esprime oggi una virtuosa opportunità di semina, nel vocabolario e laboratorio del Papa perito chimico, che al pari di Giovanni XXIII ama e non teme le sperimentazioni.
Se Sturzo si appellò ai Liberi e Forti per riunirli sotto un solo vessillo, per Francesco è sufficiente che agiscano da liberi e forti, punto. Lo ha preso in parola Monsignor Nunzio Galantino, Segretario e uomo forte della CEI, sentendosi libero di criticare l’agenda di governo e affermare che va “ridisegnata” integralmente. A riprova del fatto che se il partito dei laici non serve più, quello dei vescovi opera invece in servizio permanente effettivo. Anzi, nel vuoto di leadership che penalizza, e paralizza, i battaglioni della destra e le pattuglie della sinistra, l’armata episcopale costituisce l’unica opposizione organizzata e “gerarchica”.
Per cui l’Italia diventa teatro di un curioso, esilarante paradosso. I cattolici occupano le postazioni di punta con un poker che da tempo non era dato di osservare, dal Quirinale a Palazzo Chigi, dal Viminale alla Farnesina. E contestualmente rappresentano la punta di lancia dell’opposizione. Insomma, nell’era dell’Italicum, si candidano a espletare sincronici ambedue i ruoli. Senza partito ma in entrambe le parti. Divisi ma dovunque. Tra lo stupore dei nostalgici dei vecchi monocolori DC, i quali non avrebbero mai immaginato che un giorno la tinta unica, e unita, potesse dipingere l’intero arco e paesaggio istituzionale. In un’applicazione inedita quanto egemone della universalità della Chiesa e dell’antico, sempreverde adagio del catechismo: “in cielo, in terra e in ogni luogo”.
Piero Schiavazzi, L'Huffington Post
http://www.huffingtonpost.it/2015/05/03/papa-francesco-strategie-politiche_n_7198416.html?utm_hp_ref=italy
Messa per 70 anni morte Mussolini, imbrattata chiesa Catania

La chiesa, il Duce e la falcemartello

A Catania fascisti e comunisti si fanno la guerra sulle mura di una chiesa; riflessioni su una partita che non sembra affatto chiusa.
di Valerio Musumeci
Abbiamo un bel dire, con Hobsbawm, che il Novecento sia stato il secolo breve. L’altro giorno a Catania, quartiere Picanello, una messa in suffragio della povera anima di Benito Mussolini, da tenersi in occasione del settantesimo anniversario della morte presso la Chiesa di Santa Maria della Guardia, è diventata pretesto per una rivendicazione oltraggiosa di stampo comunista: vandalizzato il portone e le mura della chiesa con scritte e falcimartello in rosso d’ordinanza, lasciate bottiglia piene d’urina sul sagrato. Contestualmente per le strade catanesi apparivano manifesti rappresentanti il Duce maestoso: “28 aprile 1945 – 28 aprile 2015. In ricordo di Benito Mussolini, dei camerati della Repubblica Sociale Italiana, e di tutti i combattenti caduti in difesa della nostra Europa. I camerati catanesi.” Per essere stato breve il secolo scorso propala i suoi temi e le sue identità ben oltre quell’anno 1991 indicato da Hobsbawm quale fine de facto del Novecento: e il derby fascisti comunisti, per dirla con Salvini che non dice di non crederci, c’è ancora. Lo sanno i francescani della Guardia che si sono svegliati offesi dagli scarabocchi dei comunisti, lo sanno coloro cui le stampe dei fascisti e il duce arrembante arrecano dolore, e a Catania ce ne siamo. La Guardia, peraltro, è la mia Chiesa. Lì andavo da bambino prima di conoscere tutto questo, prima che le parole che sto scrivendo per me avessero un senso. Lì ascoltavo parole incomprensibili: “Ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi…”
Fascismo e comunismo, e discussioni obbligatorie dopo il fattaccio. Ci si chiede: ma ha fatto bene il parroco ad accettare di celebrare la Messa? E chi l’ha chiesta si aspettava di aiutare l’anima del Duce o di compiere in sua memoria un atto politico? Perché lì sta il centro di tutto. Dice San Giovanni Crisostomo, citato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, a proposito delle anime del Purgatorio: “Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? [...] Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere.” Male avrebbe fatto dunque il parroco a rifiutare la Messa, e male faremmo ad escludere persino Mussolini dal numero di coloro per i quali si può pregare. Politicamente, è chiaro, la cosa è diversa. Ancora due anni fa Silvio Berlusconi suscitava scandalo dicendo (nel luogo e nel momento meno adatti, ma l’uomo è fatto così) che “…il fatto delle leggi razziali è la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi invece aveva fatto bene.” Tutto fa brodo, e l’esito di quella campagna elettorale è noto. Oggi il quadro politico è cambiato ma a destra c’è ancora chi pensa che sia un peccato sprecare i voti di chi si corica ogni notte con il fucile e tiene il Duce sul comodino. La propaganda ruspante di Matteo Salvini funziona se la Lega si attesta stabilmente intorno al 15 %, e probabilmente i camerati catanesi e i richiedenti Messa per Mussolini sceglieranno lui quando si andrà a votare. Ma il parroco questo può non saperlo, o sapendolo potrebbe non essere motivo sufficiente per negarsi. Intanto il danno l’hanno fatto alla Chiesa, i rigurgiti totalitaristi di segno opposto.
Pieno Novecento. A Milano parte Expo e il presidente del Consiglio dichiara che oggi inizia il domani. A Catania, dove le donne anziane vanno in chiesa velate, dove sbarcano i profughi in fuga dagli inferni della terra e delle nostre ipocrisie, dove si ciancia cretinamente di “gara di solidarietà” mentre i posteggiatori abusivi locali litigano con gli extracomunitari per l’elemosina di un euro, a Catania in tutto ciò il mondo si ridivide in rossi e neri, in comunisti e fascisti. E se lo scontro non ci sembra attuale, che avremmo ben altro di cui occuparci con le autostrade di mezza Sicilia interrotte, se non ci appassiona, la Chiesa della Guardia sfregiata ci riporta alla realtà che ancora qualche conto dovrebbe chiuderlo, da una parte e dall’altra. Scriveva Hobsbawm: “Per il poeta T. S. Eliot il mondo finisce in questo modo: non con il rumore di un’esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo”. Il Secolo breve è finito in tutti e due i modi.” E davvero è così, solo che non è finito. Sta iniziando.

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