ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 3 maggio 2015

Teologia in ginocchio (non kasperiana)

Maggio. Tempo di Rosari

Mese di maggio: mese mariano; mese di piccoli fioretti profumati di virtù da offrire a questa celeste Madre; mese soprattutto da dedicare più particolarmente alla recita del Santo Rosario, il “Salterio di Maria”, a Lei tanto caro e tanto potente.
Il Santo Rosario: scuola di amore e di contemplazione

Il santo Luigi M. Grignion de Montfort (1673-1716) è fermamente convinto che il miglior maestro della vita cristiana sia sua Madre Maria. Come afferma più volte nella sua opera sulla vera devozione a Gesù attraverso Maria, nota nella tradizione popolare come Il libro d’Oro, Ella è la «via breve, sicura e facile per giungere all’unione con Gesù Cristo Signore, e che possono percorrere tutti coloro che vogliono diventare amici di Dio». La sua scuola, nella quale la Madre ci mostra il Figlio, è il Rosario: chi lo recita, studia la Teologia in ginocchio.
Il Rosario infatti è nato dal desiderio di contemplare Gesù con e attraverso Maria, per imparare a conoscerlo meglio e ad amarlo di più. Già l’Ave Maria, il saluto dell’Angelo e la lode di Elisabetta, guidano il nostro sguardo al centro della storia del mondo e della Salvezza: il Figlio di Dio si è fatto uomo grazie al consenso della Vergine di Nazareth.
Nella regola primitiva delle beghine di Gand del 1242 già era richiesta alle pie donne la recita del Salterio di Maria, che consisteva, su ispirazione dei 150 Salmi, nella preghiera quotidiana di 150 Ave Maria. Sarebbe riduttivo vedere in questa regola una mera prestazione quantitativa che poteva essere svolta presumibilmente in tempi piuttosto brevi. La persistente ripetizione, che come esperienza spirituale accomuna molte religioni, approfondisce e porta luce sul mistero contemplato che, come l’Incarnazione del Figlio di Dio, resta comunque imperscrutabile. Mentre all’inizio la preghiera delle Ave Maria fu chiamata Salterio di Maria, nell’Alto Medioevo emerse il concetto di Rosario, per mettere in evidenza che l’orante intreccia per la Madre di Dio una corona sacra. Noi oggi, utilizzando questo simbolo per riferirci alle tre parti classiche del Salterio di Maria, potremmo aggiungere: nella preghiera dei Misteri gaudiosi il credente coglie rose bianche, rosse nei Misteri dolorosi e giallo oro nei gloriosi, che ricordano la corona che il Signore ha posato sul capo di sua Madre in Cielo, con la quale l’orante desidera poi incoronare Maria.
Questi Misteri risalgono in forma completa a Domenico Hélion, detto “di Prussia”, che da novizio, nell’anno 1409, inventò 150 clausulae (brevi meditazioni), e le aggiunse all’Ave Maria con una frase relativa introdotta dal nome di Gesù, per portare l’attenzione in modo semplice sulla vita del Signore e dunque sugli avvenimenti evangelici. Con questo egli ha intrecciato, continuando ad utilizzare la stessa metafora, una corona ancora più variopinta grazie all’apporto di fiori diversi. È ancora controversa la data in cui si passò alla semplificazione dei misteri del Rosario riducendoli a quindici per un totale di cinquanta Ave Maria ripetute tre volte. Probabilmente già il priore del giovane monaco Domenico, Adolfo di Essen, aveva riassunto le clausulae del suo allievo. È certo che nel 1483 entrò in uso la nuova forma che si stabilizzò nel tempo.
Il Rosario è il Salterio mariano. Maria stessa ha consegnato al santo Domenico in una visione questa collana di perle, come mezzo più efficace per la conversione degli Albigesi eretici. La strategia di successo della missione e della nuova evangelizzazione non consiste nel compiere continuamente nuove azioni, per quanto possano essere utili, ma nello sperare sempre di più nell’intervento di Dio piuttosto che nell’attività umana e pertanto nel rivolgersi a Lui in primo luogo. Con il Rosario in mano possiamo lasciarci guidare dalla Madonna all’incontro con suo Figlio; con esso conduciamo anche gli altri alla vera vita che il Signore regala a tutti coloro che lo cercano (cf. Gv 10,10). La Madonna a Fatima non ci ha chiesto di scrivere libri o di fare conferenze – iniziative senza dubbio lodevoli ed utili – ma di pregare ogni giorno il Rosario. Il nostro primo compito è la preghiera che impariamo da Maria e poi, insieme a Lei, l’apostolato illuminato dal fuoco che si è acceso in noi nella meditazione.

Il Santo Rosario: fionda del cristiano

Davide lotta contro il gigante Golia e lo vince con la piccola fionda. Il Rosario con i suoi cinque Misteri è come la fionda e i cinque piccoli sassi: anche i giganti possono esserne sconfitti! Infatti il Santo Rosario è l’arma più potente della Chiesa militante sulla terra.
Abbiamo in mano un’arma per combattere qualsiasi nemico, dice infatti suor Lucia, la veggente di Fatima: «Non c’è problema spirituale, nazionale o internazionale che non si possa risolvere con il Santo Rosario» e la Chiesa nel passato ha vinto tutte le grandi battaglie con il Rosario in mano. La vittoria nella battaglia di Lepanto, in ricordo della quale fu istituita la festa della Madonna del Rosario, la vittoria contro l’assedio turco di Vienna, che ancora oggi festeggiamo come Santissimo Nome della Beata Vergine Maria, e il ritiro pacifico delle truppe russe dall’Austria, per il quale i credenti avevano recitato pubblicamente il Rosario ogni giorno.
È sempre stato il Santo Rosario a vincere tutte le battaglie della Chiesa e anche noi con il Rosario in mano possiamo risolvere i grandi problemi della vita. Pensiamo ancora a Golia, un grande mostro, un gigante enorme e al piccolo Davide che lo ha sconfitto senza spada; così noi oggi, come lui, di fronte ai grandi problemi della vita – le malattie, la mancanza di lavoro, la povertà – che ci sembrano e­normi e insormontabili come dei mostri giganteschi, con il Rosario in mano possiamo affrontarli e vincerli. Sono fermamente convinto che la crisi della Chiesa di oggi è una crisi della preghiera, e non mi riferisco ai cattolici che non pregano, ma ai cristiani che non pregano bene, infatti il Rosario è un’arma nelle nostre mani, u­no strumento potentissimo per risolvere problemi personali e internazionali, ma bisogna recitarlo bene; è la scuola della Madonna, che a Lourdes e a Fatima ci ha raccomandato la recita del Rosario, perché la Madonna come pedagoga e maestra sa che questa preghiera è adatta a tutti, dai bambini agli adulti di qualsiasi estrazione sociale.
L’efficacia del Rosario risiede nella sua semplicità. È una preghiera che può essere recitata da chiunque: dai bambini agli anziani, dai malati a chi gode di ottima salute, in macchina o a casa davanti ad un’immagine di Maria Santissima. Proprio nella facile attuabilità delle cinquanta Ave Maria, nelle quali si riflettono i misteri della vita di Gesù e di sua Madre, è nascosto anche il pericolo di considerare il Rosario una mera successione di formule di preghiera monotone e riduttive. In verità il Rosario è una scuola eccellente di preghiera, un’accademia, nella quale il cristiano, tenendo la mano di Maria, perla dopo perla, passo dopo passo, impara ad avvicinarsi a Gesù Cristo, a conversare con Lui, ad ascoltarlo e a contemplarlo amorevolmente.
Bisogna pregare con amore e fede, con gli occhi del cuore rivolti ai grandi misteri della nostra Salvezza. Il Santo Rosario raccoglie interamente le tre grandi forme di preghiera che conducono all’incontro con il Signore come i gradini di una scala: preghiera orale, meditazione e contemplazione. In altre parole chi recita il Rosario prega con la bocca, con l’intelletto e con il cuore. Chi presta però solo attenzione alla recita delle Ave Maria, ritenendo che l’enunciazione veloce e di quante più parole possibili sia già una buona preghiera, è paragonabile ad uno studente di latino che coniuga i verbi, ripetendoli in coro con la classe, ma che non ha mai aperto un libro di poeti latini. Nella scuola di Maria l’Ave Maria dà inizio alla preghiera e la accompagna, ma la Maestra vuole insegnarci molto altro (cf. F. Kolfhaus, Totus tuus, Maria, Cantagalli, Siena 2011, p. 9). Lei vuole condurci attraverso la meditazione alla contemplazione, cioè al silenzioso canto dell’amore.
dal Numero 18 del 3 maggio 2015
di Mons. Florian Kolfhaus

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