ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 10 maggio 2015

El Conducător e la estrella emergente

Il teologo argentino più vicino al Papa, monsignor Víctor Manuel Fernández, 52 anni, rettore dell‘Universidad Catòlica Argentina di Buenos Aires. «I nemici non fermeranno Francesco»«I fedeli sono con Francesco. La Curia? Non è essenziale» 


(Massimo Franco) Il Papa isolato? «Per niente. La gente è con lui. I suoi avversari sono più deboli di quanto non credano». La Curia vaticana? «Non è essenziale. Il Papa potrebbe pure andare ad abitare fuori Roma, avere un dicastero a Roma e uno a Bogotà». Un ritorno al passato dopo Francesco? «Indietro non si torna. Se e quando non fosse più Papa, la sua eredità resta». Un Conclave oggi lo rieleggerebbe? «Non lo so, magari no. Ma è accaduto e tutto quello che si può pensare prima o dopo il Conclave non è importante. Crediamo che a guidare il Conclave sia lo Spirito santo, e che non si può contraddire lo Spirito santo. Se poi alcuni si sono pentiti, non cambia nulla». Rischi per il rapporto diretto tra Papa e popolo, saltando la Chiesa? «Ma la Chiesa è il Popolo di Dio guidato dai suoi pastori. Gli stessi cardinali possono sparire, nel senso che non sono essenziali. Essenziali sono il Papa e i vescovi…».
Visti da Buenos Aires, il Vaticano e la Curia continuano a essere un grumo di potere misterioso e tenace.
E con voce piana, ma con parole nette, monsignor Víctor Manuel Fernández, 52 anni, rettore della prestigiosa Universidad Catòlica Argentina (Uca) di Buenos Aires, l’uomo più vicino a Francesco nel suo Paese d’origine, racconta una sfida tutt’altro che conclusa. Soprattutto, offre una lettura non eurocentrica e «romana», ma latinoamericana e originale di quanto sta accadendo: nel bene e nel male. Seduto nel suo studio a Puerto Madero, che dà sul fiume e sui grattacieli lussuosi sull’altra riva , ripete la parola «popolo» con la «p» maiuscola: quasi marcando la distanza dalle gerarchie vaticane.
Monsignor Fernández, a due anni dall’inizio del pontificato, le resistenze in Vaticano nei confronti del Papa sono aumentate o diminuite?
«Io non vivo a Roma e posso parlare soltanto da quello che vedo quando ci vado. Bisogna distinguere. Ho visto che a Roma alcuni prima erano sbalorditi, ma adesso capiscono il senso di quello che chiede Francesco, e sono contenti di accompagnare questo percorso della Chiesa, aiutano il Papa. Altri tendono a dire: facciamo quello che possiamo, assecondiamolo finché c’è, perché alla fine è lui il Papa. Sembra che questa componente sia maggioritaria, benché non sia in grado di confermarlo. Altri, veramente pochi, invece, seguono un altro cammino tutto loro. E da quello che si vede, tendono a ignorare gli insegnamenti di Francesco».
Potrebbe offrirci un esempio?
«Ho letto che alcuni dicono che la Curia romana fa parte essenziale della missione della Chiesa, o che un prefetto del Vaticano è la bussola sicura che impedisce alla Chiesa di cadere nel pensiero light ; oppure che quel prefetto assicura l’unità della fede e garantisce al Pontefice una teologia seria. Ma i cattolici, leggendo il Vangelo, sanno che Cristo ha assicurato una guida ed una illuminazione speciale al Papa e all’insieme dei vescovi ma non a un prefetto o ad un altra struttura. Quando si sentono dire cose del genere sembrerebbe quasi che il Papa fosse un loro rappresentante, oppure uno che è venuto a disturbare e che dev’essere controllato».
Non sembra una linea molto seguita, però.
«Non lo è, perché la maggior parte del Popolo di Dio ama Francesco. Forse il Consiglio dei 9 cardinali potrebbe aiutare a chiarire meglio fin dove arrivano le competenze dei prefetti più importanti. Ma la cosa che più mi preoccupa è che i teologi non stiano offrendo nuove analisi sulla Chiesa, sul senso teologico delle sue strutture, sullo statuto delle Conferenze Episcopali dei Paesi e delle regioni, e sul vero posto della Curia romana in rapporto col Papa e col Collegio dei Vescovi».
Alcune voci descrivono Francesco come isolato. Lei crede che sia così?
«Per niente. La gente è con lui, non con i suoi pochi avversari. Questo Papa prima ha riempito piazza San Pietro di folle, e poi ha iniziato a cambiare la Chiesa: innanzi tutto per questo non è isolato. Il Popolo sente in lui il profumo del Vangelo, la gioia dello Spirito, la vicinanza di Cristo, e cosi percepisce la Chiesa come la sua casa. Ma io direi pure che ha un’ampia cerchia di persone alle quali chiede consigli su diverse questioni. Ascolta molte più persone di quelle che possono appartenere ai dicasteri della Curia, e in questo modo è più vicino alle diverse voci della Chiesa e della società. Mi riferisco a quelle che riceve a Casa Santa Marta, alle sollecitazioni che gli arrivano dalle lettere, agli incontri nelle piazze. Proprio per questo oggi la Chiesa è molto ascoltata nei dibattiti internazionali, e i leader mondiali la guardano con tanto rispetto».
È indubbio, e in modo profondo e netto, soprattutto all’inizio. Eppure, ultimamente si denota un certo affanno. Le cose procedono più lentamente. La stessa riforma della Curia appare in bilico.
«Il Papa va piano perché vuole essere sicuro che i cambiamenti incidano in profondità. La lentezza è necessaria per la loro efficacia. Sa che ci sono alcuni che sperano che col prossimo Papa tutto torni indietro. Se si va piano è più difficile tornare indietro. Lui lo fa capire quando dice che “il tempo è superiore allo spazio”».
Quando Francesco dice che il suo sarà un papato breve non fa un favore ai suoi avversari?
«Il Papa avrà le sue ragioni, perché sa bene il fatto suo. Avrà un obiettivo che noi non capiamo ancora. Bisogna sapere che lui punta a riforme irreversibili. Se un giorno intuisse che gli manca poco tempo, e che non ne ha abbastanza per fare quello che lo Spirito gli chiede, si può essere certi che accelererà».
Sarebbe possibile un Papa senza e fuori dal Vaticano?
«Ma la Curia vaticana non è una struttura essenziale. Il Papa potrebbe pure andare ad abitare fuori Roma, avere un dicastero a Roma e un altro a Bogotá, e magari collegarsi per teleconferenza con gli esperti di liturgia che risiedono in Germania. Attorno al Papa quello che c’è, in un senso teologico, è il Collegio dei Vescovi per servire il Popolo».
Non teme che su questo sfondo, dopo Francesco il suo papato venga archiviato?
«No, indietro non si torna. Se e quando Francesco non fosse più Papa, la sua eredità resta forte. Ad esempio, il Papa è convinto che quello che ha già scritto o detto non possa essere punito come un errore. Dunque, in futuro tutti potranno ripetere quelle cose senza la paura di ricevere sanzioni. E poi c’è la maggior parte del Popolo di Dio che con la sua sensibilità speciale non accetterà facilmente che si torni indietro in certe cose».
Non vede nemmeno il rischio di «due Chiese»?
«No. C’è uno scisma quando un gruppo di persone importanti condivide la stessa sensibilità, che riflette quella di una porzione ampia della società. Lutero e il protestantesimo nacquero così. Ma ora la stragrande maggioranza del Popolo è con Francesco e lo ama. I suoi oppositori sono più deboli di quanto non credano. Non piacere a tutti non significa provocare uno scisma».
Non è rischiosa questa idea del rapporto diretto del Papa con il popolo, mentre la Chiesa, intesa come classe ecclesiastica, si sente emarginata?
«Ma la Chiesa è il Popolo di Dio guidato dai suoi pastori. Gli stessi cardinali possono sparire, nel senso che non sono essenziali. Essenziali sono il Papa e i vescovi. D’altronde, è impossibile che quanto dice e fa un Papa piaccia a tutti. Benedetto XVI piaceva a tutti? L’unità non viene fuori dall’unanimismo».
Secondo lei oggi un Conclave rieleggerebbe Francesco?
«Non lo so, magari no. Ma è accaduto, e tutto quello che si può pensare prima o dopo il Conclave non è importante. L’unica cosa che conta ed è importante è la votazione che si fa nel Conclave, con l’assistenza speciale dello Spirito. Crediamo che a guidare il Conclave sia lo Spirito Santo, e che non si può contraddire lo Spirito santo. Se poi alcuni si sono pentiti non cambia nulla».
Lei pensa che Francesco potrebbe essere costretto a lasciare Casa Santa Marta per motivi di sicurezza, per un attacco terroristico del fondamentalismo islamico?
«Lui non la pensa così. E io non ho trovato argomenti decisivi in questo senso. D’altronde, credo che chi organizza grandi attentati ha una certa intelligenza e sia in grado di distinguere tra gli Stati Uniti di Bush e il Vaticano. Certo ci può essere qualche fanatico isolato, ma sempre sotto controllo. No, credo proprio che Francesco rimarrà a Casa Santa Marta, forte e con tanta fiducia».
Corriere della Sera, 10 maggio 2015
http://ilsismografo.blogspot.it/2015/05/argentina-il-teologo-argentino-piu.html

Cardenal Tagle, la estrella emergente

Tiene 58 años. Es uno de los cardenales más jóvenes del colegio cardenalicio y, sin embargo, ya es todo un veterano en esas lides. Todo el mundo se hace lenguas de la valía del cardenal Luis Antonio Tagle. Prueba de ello es que su nombre suena para todo. Incluso para papable de garantías.
La próxima parada de su tren hacia la cumbre eclesial pasa por la estación de Cáritas Internationalis. La joya sociocaritativa de la Iglesia se reúne, en Roma, la próxima semana. Cumbre de la solidaridad eclesial. Con cambios en su cúpula. Se retira su presidente, su santo y seña durante años, el cardenal Rodríguez Maradiaga.
El moderador del G9 tiene suficiente con sus tareas de arzobispo de Tegucigalpa y moderador del G9. Y, como tal, uno de los hombres de máxima confianza de Francisco.Uno de sus báculos más cercanos y queridos, junto al cardenal Marx y al “clan argentino”.
Se va Maradiaga y, en Cáritas, quieren buscarle un sucesor de garantías. Otro cardenalazo a su nivel. De un latinoamericano a un filipino. Porque, para ocupar el prestigioso puesto de presidente de Cáritas internationalis, se perfila el cardenal arzobispo de Manila, Luis Antonio Gokim Tagle.
Su candidatura tiene todas las de ganar. Y va a ganar. Cáritas es la institución de la Iglesia con mejor imagen y mayor credibilidad. El buque insignia del catolicismo. La boya salvavidas que, en muchos países (España, entre ellos), mantiene a flote la credibilidad de la institución. En España, en concreto, si no fuera por Cáritas, los misioneros y los curas de barrio y pueblo, a los obispos los llamarían cuervos por las calles. O cosas peores.
En un papado social, como el de Francisco, Cáritas vuelve a colocarse en el centro. Hasta ahora, hablar de los pobres (y, sobre todo, dedicarse a los pobres) era temporalismo. La misión esencial de la Iglesia era llevar a los hombres a Dios a través de la rigidez de la doctrina y de las soflamas del miedo. Hemos pasado, con Francisco, de la doctrina al Evangelio. La opción preferencial por los pobres dejó de ser una herejía. Y la Teología de la Liberación vuelve por sus fueros. Porque, mientras haya pobres, habrá teología de la liberación. Y, por supuesto, mientras la Iglesia lea de verdad el Evangelio como la está haciendo Francisco: “Bienaventurados los pobres...”
Con la Iglesia convertida en hospital de campaña, Cáritas necesita en su puesto de mando un cardenal de Francisco, con nombre y renombre, que haya asumido de verdad el giro eclesial, que sea pobre, venga de un país pobre y viva como los pobres. Que sepa a qué huele la pobreza.
Tagle no es un cardenal príncipe. Vive austeramente y sabe que la pobreza es indigna y aparta de Dios. Al frente de Cáritas, está dispuesto a dar esa batalla, crucial para el papado de Francisco. Crucial para la barca de Pedro. O ganamos credibilidad apostando por los más pobres o hasta las ricos nos mirarán con desprecio, como mira la gente de arriba a los que dicen una cosa y hacen otra. A los que predican y no dan trigo.
Al frente de Cáritas, Tagle recorrerá el mundo entero, palpando las miserias locales, que en cada lugar, en cada país, en cada continente huelen diferente. Y curará heridas y levantará la voz, con el peso mediático que le da su púrpura, para misericordear a los empobrecidos y fustigar, dura y claramente, a los empobrecedores, a los avaros, a los que medran a costa de los demás, al sistema injusto que crea desigualdad y obliga a la gente a no poder cumplir con el deber-derecho sagrado de llevar el pan a casa.
A Tagle le conocerán los pobres (le amarán los pobres), pero también le conocerán los ricos. Y puede que hasta le teman, al menos un poco. Porque Tagle bien podría ser el sucesor de Francisco, el perfecto continuador de su obra, de su reforma, de su primavera. El nuevo Pablo VI después del nuevo Juan XXIII. El Papa venido de Asia, de la nueva frontera del catolicismo.
No tiene prisa en suceder a Francisco. Sólo el decirlo y, más aún, el escribirlo, le parecerá una inconveniencias. Casi una blasfemia. Que el Espíritu deje a Francisco acabar su obra. Cuanto más tiempo dure, mejor. Pero, cuando Dios se lo lleve o cuando él decida retirarse a la habitación de la residencia de ancianos que le está esperando en Baires, la figura de Tagle emergerá con potencia. Con su sonrisa de niño que se deja mecer en manos de Dios. Porque, desde ahora hasta entonces, el cardenal filipino se convertirá, sin lugar a dudas, en el Sucesor.
José Manuel Vidal

1 commento:

  1. Non lo fermeranno i nemici.... lo fermerà direttamente Colui del quale finge di essere il Vicario!

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