ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 10 maggio 2015

La posta in gioco

Ma quale misericordia…

Una “fede” puramente volontaristica, sospesa al mero arbitrio dell’individuo, allo stato d’animo del momento, a sogni irreali di un mondo nuovo popolato da un’umanità totalmente buona… Una fede tipicamente protestante fondata unicamente sulla tua volontà di credere, che ti fa vedere la realtà come ti piacerebbe che fosse: io sono sì peccatore, ma Dio mi considera giusto; certe mie azioni sono sì cattive, ma Dio le scusa sempre e comunque; gli uomini fanno sì del male, ma Dio li ama così come sono, e via di seguito.
Una fede che non è virtù teologale da coltivare con la preghiera ed esercitare con la grazia, ma semplice convincimento umano – e per giunta del tutto aleatorio e inconsistente per una totale ignoranza dei fondamenti logici e metafisici della dottrina cattolica e per una completa assenza di qualsiasi riflessione apologetica che metta il “credente” in condizione di renderne ragione e di ribattere alle obiezioni.

Una “morale” relativistica per essenza perché totalmente sganciata, di fatto, dalla verità rivelata e dall’obbedienza che le è dovuta, sottomessa alle mutevoli circostanze dell’esistenza e alle cangianti condizioni della società, mirante unicamente ad evitare le sofferenze o ad ottenere vantaggi immediati… Una morale del capriccio che è diretta derivazione di quella “fede” che non ha nulla di soprannaturale e che coincide, in pratica, con il codice di comportamento che ognuno elabora in modo del tutto autonomo. Una morale priva, in realtà, di contenuti definiti perché contraria per principio a qualsiasi principio obbligante per la coscienza individuale, erroneamente ritenuta suprema e inappellabile istanza di giudizio. Una morale – come la fede protestante da cui discende – completamente cieca di fronte alla contraddittorietà e all’assurdità dei propri assunti, assolutamente incapace di regolare la vita dell’uomo e ancor più di santificarla.
Una “liturgia” che vuol essere talmente popolare e partecipativa da scadere inevitabilmente nel ridicolo, se non nel grottesco; anche senza populismo e demagogia, è un rito fabbricato in modo tale che bisogna fare comunque uno sforzo continuo per non cadere nel banale e nel superficiale – uno sforzo di cuore, intelletto e volontà. Una liturgia nella quale un sacerdote che voglia celebrarla in modo degno deve continuamente richiamare alla mente l’elevatezza e grandiosità di ciò che sta facendo, perché le modalità rituali non l’aiutano affatto, anzi lo distraggono. Una liturgia, poi, ulteriormente semplificata nella prassi, al punto che chi abbia un minimo di raziocinio e di cultura si sente trattato da stupido e insultato nell’intelligenza. Il divino Sacrificio della redenzione umana, che strappa le anime all’Inferno e spalanca loro le porte del Paradiso, in tanti, troppi casi è ridotto a squallido teatrino di provincia per la gioia di grandi e piccini…
Una “religiosità”, di conseguenza, in cui si crede tutto dovuto, indipendentemente dall’autenticità della fede personale, dalle disposizioni interiori nell’accostarsi ai Sacramenti e dalla qualità della propria vita morale; in cui si pensa di avere sempre e comunque diritto a tutto e, davanti al primo intoppo, si accampano rivendicazioni assurde, come se Dio fosse in debito con l’uomo e non il contrario, dato che quest’ultimo Gli deve ogni cosa a cominciare dall’esistenza; oltretutto, dopo essere stato coperto di benefici dal Creatore, ha osato disobbedirgli fin dall’inizio, continuando poi ad oltraggiarlo spudoratamente in modo sempre più grave. Una religiosità talmente ripiegata sull’io e sull’auto-celebrazione del gruppo che, per diagnosticare il male, si è sentito il bisogno di creare un apposito e magniloquente neologismo (autoreferenzialità), abbondantemente usato per disquisire con saccenza sulla propria stessa malattia nell’illusione di trovarvi rimedio da sé…
Ecco il terreno di coltura in cui si è sviluppato un concetto di misericordia che ne è in realtà una volgare falsificazione, un volontario travisamento che offende la santità di Dio e la ragione umana. Senza la deformazione della fede e della vita cristiane appena abbozzata sarebbe stato impensabile giungere a tanto; ma qualsiasi fenomeno ha pur sempre una spiegazione. I semi cattivi sparsi a piene mani negli ultimi cinquant’anni hanno ormai fruttificato: dai loro effetti appare ormai evidente, in modo inequivocabile, la falsità di certe idee che sono state propagandate come Vangelo, ma che nulla hanno a che fare con la parola di Cristo quale la Chiesa l’ha conservata e trasmessa. L’unico modo – ovviamente fasullo – di giustificarle è inventare di sana pianta un nuovo “vangelo” sostenendo (come illustri biblisti fanno da più di mezzo secolo) che quello ricevuto sia in buona parte un’elaborazione delle comunità primitive che occulterebbe il vero messaggio di Gesù. Fatto singolare (si fa per dire), esattamente le stesse illazioni si possono leggere in pubblicazioni della massoneria, auto-incaricatasi di smascherare l’ecclesiastica mistificazione per restituire al mondo la vera figura di un “messia” tutto umano che sarebbe stato – guarda caso – il primo libero pensatore della storia e il precursore dei franchi muratori…
Le cialtronate divulgate da sedicenti teologi tedeschi, poi diventati addirittura cardinali nonostante le palesi eresie contenute nei loro scritti, non meriterebbero nulla di più che uno scuoter la testa, se non fossero tali da provocare un vero e proprio cataclisma nella fede e nella vita dei cattolici. Il codazzo di pappagalli che le ripetono per smania di farsi notare dalla suprema autorità della Chiesa (che è chiaramente d’accordo con loro, malgrado la subdola strategia di equilibrismo) coopera ad un piano di indottrinamento forzato che non ammette repliche né dissensi. In un simile clima totalitario da regime sovietico, la sicumera di questi personaggi è arrivata a un tale punto di arroganza che hanno già stabilito in anticipo a quale risultato dovrà necessariamente pervenire il prossimo “sinodo sulla famiglia”: se non si ammettono i divorziati risposati alla comunione eucaristica – secondo il leader del partito della “misericordia aggiornata” – non vale nemmeno la pena di convocarlo…
In effetti, non si vede a che pro celebrare un sinodo dei vescovi, se le decisioni sono state già prese e si intende semplicemente ignorare le posizioni contrarie, come già si è capito dalla conclusione del sinodo dell’ottobre scorso. Ma il punto nodale è che, in realtà, non è della famiglia che si tratta veramente: la posta in gioco è la sostanza stessa della fede e della vita cristiane. A rifletterci appena un poco, ciò che è gravemente minacciato è qualcosa di ancora più importante:
  • l’autorità indiscutibile della Parola divina scritta, ispirata dallo Spirito Santo;
  • il valore vincolante della costante Tradizione ecclesiale, guidata dal medesimo Spirito;
  • il compito di insegnare proprio della Chiesa gerarchica, assistita ancora dal Paraclito;
  • il legame inscindibile tra verità e carità, giustizia e misericordia, che tocca la comprensione dell’essenza divina;
  • l’insopprimibile distinzione ontologico-morale tra stato di grazia e stato di peccato mortale;
  • la fede nell’Eucaristia come sacrificio della Redenzione e come presenza reale di Cristo;
  • la realtà stessa dell’essere umano in quanto creato da Dio maschio e femmina.
Una volta messi in discussione questi punti, è naturale che alla comunione eucaristica (intesa come mero segno di appartenenza) possa accedere chiunque. Qualcuno osserverà che su questi aspetti, in molti Paesi occidentali, la fede e la prassi sono già seriamente compromesse, al punto che la comunione ai divorziati risposati – come ad altre categorie di persone in peccato grave oggettivo e manifesto – è ormai largamente concessa da decenni, con tanto di implicita o esplicita autorizzazione dei vescovi; il sinodo, in fin dei conti, non dovrebbe fare altro che normalizzare una situazione di fatto. Purtroppo è perfettamente vero: chi scrive lo può testimoniare in prima persona per esperienza diretta. Che ci si ponga a livello teologico o pratico, tuttavia, si tratta di peccati gravissimi contro lo Spirito Santo e contro il bene dei fedeli. Tale costatazione ci autorizza forse a gettare la spugna? Al contrario, ci sprona a reagire con urgenza: ciò che finora è stato un abuso, lo si vuole rendere obbligatorio. Grazie a Dio, un folto gruppo di vescovi e cardinali è pronto ad attaccar battaglia per la difesa della verità evangelica e, in ultima analisi, per la salvezza delle anime che Cristo ha redento con il proprio Sangue. Dobbiamo però sostenerli: anzitutto con la preghiera, ma anche con la parola e con l’azione. È interesse di tutti, un interesse vitale.

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