Id quod habetis tenete donec veniam
(Ap 2, 25).
Fino a che il Signore non ritorni, teniamo ben
stretto ciò che abbiamo ricevuto: sono i mezzi della salvezza, anzi è la sua
stessa vita già germogliata in noi, è Lui stesso vivente in noi: «Non sono più
io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20); «Egli è il vero Dio e la vita
eterna» (1 Gv 5, 20). Non lasciamoci rubare Cristo, non lasciamoci estromettere
dalla Chiesa: Extra Ecclesiam nulla salus
(cf. DS 802, 870, 1351). Parliamo della salvezza eterna, la cui sola
alternativa è l’Inferno, non della lotta alla crisi o alla disoccupazione, che
sono salutari castighi per una società che ha rigettato Dio e ricusa
ostinatamente di ritornare sulla retta via. Non lasciamoci distogliere dalla
vera speranza, quella celeste, che poggia sull’offerta redentrice del Verbo
incarnato e sulle Sue infallibili promesse; quella di cui già possediamo la
caparra nelle primizie dello Spirito
Santo, grazie al quale «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm
5, 5; cf. Rm 8, 23; 2 Cor 1, 22; 5, 5).
«Se il nostro evangelo rimane velato, lo è per
coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente
incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso evangelo di Cristo, che
è immagine di Dio» (2 Cor 4, 3-4). I ciechi, purtroppo, sono ormai
innumerevoli, nella società e nella Chiesa stessa; chi non ha coltivato e custodito
una fede retta e viva non ha difese dagli inganni di Satana, dio di questo mondo, e ingoia
supinamente tutto ciò che i suoi scagnozzi gli propinano. La massa tumorale
composta di questi poveretti – nonché di quanti l’hanno provocata spargendo le
tossine di un falso insegnamento – ha ormai invaso con le sue metastasi tutta
la componente terrena del Corpo mistico; l’unica soluzione è una conversione
radicale, ma ci vorrà una terapia d’urto… Per decenni i sintomi della malattia,
sebbene sempre più evidenti, sono stati non semplicemente ignorati o tollerati,
ma molto spesso applauditi e incrementati come indice di buona salute, frutto
di un indiscutibile progresso e rinnovamento.
Da questo punto di vista, sarebbe assurdo che le
cellule sane si sentissero estranee al corpo perché quelle cancerose sembrano
più forti e numerose. Le prime non possono avere nulla a che spartire con le
seconde, pena l’essere a loro volta contagiate, ma non per questo sono fuori
della Chiesa, nonostante il cancro sia arrivato fino alla sala-comandi, che per
questo sta andando in tilt. È ovvio
che questa situazione paradossale non possa essere indolore per la parte ancora
immune, che soffre e geme nelle doglie del parto; ma quest’ultima non deve lasciarsi
smuovere di un millimetro dalla certezza di fede – e dalla consolazione
spirituale che ne deriva – di essere la vera Sposa di Cristo. Quel settore
della Chiesa visibile che lo ha tradito e, come una belva indiavolata, ne sta
dilaniando il Corpo, di fatto non vi appartiene più, se mai ne ha fatto parte
realmente. Da quest’opera diabolica di demolizione dall’interno possiamo e dobbiamo
difenderci rimanendo saldamente convinti che non siamo affatto “fuori”, ma
dentro più che mai, dentro quel Gesù che, sulla terra, è in agonia sino alla fine del mondo, sia in senso temporale che in
senso geografico.
Abbiamo tutti i mezzi necessari per conservare la
vera fede e l’unione reale al Corpo mistico: l’Eucaristia, la Sacra Scrittura,
la Tradizione vivente nei Padri, nei Concili, nella Liturgia, il Magistero
autentico fino all’ultimo Papa eletto in modo certo (riguardo al successore,
san Roberto Bellarmino sentenzia: Dubius papa habetur pro non papa).
Ciò che ci è stato trasmesso è immutabile, in quanto dottrina rivelata di
origine divina: «La verità è principio della tua Parola: resta per sempre ogni
sentenza della tua giustizia» (Sal 119 [118], 160). In ebraico il termine verità (’emet) appartiene all’ambito semantico della stabilità e della fedeltà,
espresso dalla stessa radice della parola amen:
Dio non può cambiare né venir meno alle Sue parole. La grazia o misericordia (ḥesed)
è inseparabile dalla verità così intesa, al punto che i due termini ricorrono spessissimo
associati in endiadi, specie per qualificare il Dio della Bibbia (cf. per es.
Es 34, 6). Una reale – e non immaginaria – fruizione della misericordia divina
suppone pertanto un’adesione incondizionata alla Rivelazione cristiana –
un’adesione vitale, capace di trasformare la coscienza individuale e di
modificare l’esistenza concreta. Il resto è illusione, narcisismo, vanità…
impuro e peccaminoso godere di sé.
http://lascuredielia.blogspot.it/2015/06/fino-quandoverro-id-quod-habetis-tenete.html
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