ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 11 giugno 2015

Hanno disturbato i manovratori

«FATICA A CAMMINARE E VOMITA SANGUE». ASIA BIBI ALLO STREMO. COSÌ LA LASCIANO MORIRE IN CARCERE

«Fatica a camminare e vomita sangue». Asia Bibi allo stremo. Così la lasciano morire in carcere
Fatica a camminare, vomita sangue ed è sempre più debole. Asia Bibi, la donna cristiana ormai in carcere da 5 anni, da quando fu arrestata nel giugno del 2010, e condannata a morte per blasfemia, è allo stremo. I suoi familiari temono per la sua vita.
Secondo il Global Dispatch, suo marito e i suoi figli, dopo un mese in cui gli era stato impedito, sono andati a visitare la madre a maggio, spiegando che «è così debole che non riesce a camminare».
La donna ha sviluppato un’emorragia intestinale grave, per cui avrebbe bisogno di una visita medica. I suoi legali ne hanno fatto richiesta, affinché sia curata e trasferita dal carcere di Multan a quello di Lahore, in grado di fornirle l’assistenza necessaria. La preoccupazione della famiglia, già straziata dalla prigionia della madre innocente, è cresciuta quando «nel vomito sono apparse tracce di sangue». La notizia è stata confermata da Sardar Mushtaq Gill, avvocato dei diritti umani dei cristiani pakistani: «Ho avuto notizia dai miei colleghi delle gravi condizioni di salute di Asia Bibi e del fatto che vomita sangue».

UN DECLINO RAPIDO. Non si conoscono le cause precise dell’emorragia, ma il fatto che la donna sia stata messa in isolamento, dopo che qualcuno ha cercato di avvelenarla, fa capire come mai la vita di Asia sia a rischio. Wilson Chiwdhry, presidente della British pakistani christian association, ha spiegato che «Asia Bibi sta andando incontro a un declino rapido della salute; per questo chiediamo a tutti cristiani di ricordarla regolarmente nelle loro preghiere». La donna «crede che Dio la libererà dalla prigionia», ha continuato Chiwdhry.
APPELLO ALL’OCCIDENTE. Ad oggi pare «impossibile fissare la data del prossimo dibattito della Corte Suprema sul caso». Si parla addirittura di 3 anni d’attesa. E molti sono convinti che «la posticipazione del dibattito sia voluta dalle autorità pakistane nel tentativo di sovvertire la giustizia attraverso il suo decesso prematuro». Per questo Chowdhy ha chiarito: «Se ad Asia Bibi sarà impedita la possibilità difendersi, tutto ciò sarà visto come una grande parodia della giustizia. Una vergogna per la reputazione di una nazione apparentemente democratica come il Pakistan». Infine l’avvocato ha chiesto agli occidentali di contattare le autorità governative del proprio paese affinché facciano pressione su quelle pakistane e affinché inviino «delle email direttamente al primo ministro del Pakistan, chiedendo sollecitare la Corte Suprema affinché la donna ottenga un trattamento adeguato al suo stato di salute attuale e precario». 

AFTAB BAHADUR MASIH, PAKISTANO, CRISTIANO, INNOCENTE, IMPICCATO. LA SUA ULTIMA LETTERA

 Aftab Bahadur Masih, pakistano, cristiano, innocente, impiccato. La sua ultima lettera

Alle 4.30 di questa mattina (ora locale) le autorità del carcere Kot Lakhpat  di Lahore hanno impiccato il cattolico Aftab Bahadur Masih. L’uomo aveva 15 anni quando è stato condannato a morte per l’omicidio di tre persone, da lui non commesso. Inutili gli appelli lanciati in questi anni dalla Chiesa cattolica e da attivisti per i diritti umani. Mons. Joseph Coutts, vescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, aveva scritto una lettera al presidente Mamnoon Hussain, chiedendo di ritardare l’esecuzione per avviare nuove indagini.
Aftab è stato condannato a morte il 5 settembre 1992 per l’omicidio di Sabiha Bari e dei suoi due figli. Il giorno seguente Ghulam Mustafa, idraulico con cui lavorava come apprendista, viene arrestato per complicità e torturato dalla polizia per implicare Aftab nell’omicidio. Solo di recente l’idraulico ha ammesso che Aftab Bahadur non aveva nulla a che fare con il crimine, e che era stato solo un testimone oculare. L’uomo ha anche rilasciato una testimonianza ufficiale davanti a un leader religioso, dichiarando di aver mentito.
Aftab ha sempre detto di essere innocente. Negli anni ha raccontato che, quando era stato arrestato, la polizia gli ha chiesto 50mila rupie (5mila dollari) per lasciarlo andare. Essendo un giovane apprendista, non ha potuto pagare.
Il Primo ministro del Pakistan Nawaz Sharif ha tolto la moratoria sulla pena di morte lo scorso anno, un giorno dopo l’attentato talebano alla scuola militare di Peshawar, in cui sono morti 134 studenti e 19 adulti. Poco prima della sua esecuzione, Aftab Bahadur Masih ha scritto un’ultima lettera, per raccontare le proprie sensazioni. (Traduzione a cura di AsiaNews)

Ho appena ricevuto la mia condanna a morte. Dice che sarò “appeso per il collo fino al sopraggiungere della morte” mercoledì 10 giugno.
Sono innocente, ma non so se questo farà alcuna differenza.
Durante gli ultimi 22 anni della mia prigionia, ho ricevuto ordini di esecuzione molte volte. È strano, ma non so nemmeno dirvi quante volte mi sia stato detto che stavo per morire.
Ovviamente fa male ogni volta. Inizio a fare il conto alla rovescia dei giorni, cosa dolorosa già di per sé, e scopro che i miei nervi sono incatenati come il mio corpo.
In realtà, sono morto molte volte prima della mia morte. Suppongo che la mia esperienza di vita sia differente da quella della maggior parte delle persone, ma dubito ci sia qualcosa di più spaventoso del sentirsi dire che si sta per morire, e poi restare seduto in una cella di prigione aspettando quel momento.
Per molti anni – avevo solo 15 anni – sono stato bloccato tra la vita e la morte. È stato un limbo assoluto, una totale incertezza per il futuro.
Sono un cristiano e, talvolta, è difficile qui. Purtroppo, c’è un prigioniero in particolare che ha cercato di rendere le nostre vite ancora più dure. Non so perché lo faccia.
Sono stato molto rattristato per gli attentati anticristiani avvenuti a Peshawar. Mi hanno ferito profondamente, e vorrei che il popolo pakistano possedesse un senso di unità nazionale capace di vincere il suo odio interreligioso. C’è un piccolo gruppo di noi, qui, che è cristiano, appena quattro o cinque, e adesso siamo tutti insieme nella stessa cella, il che ha migliorato la mia vita.
Faccio tutto quello che posso per sfuggire alla mia miseria. Sono un amante dell’arte. Ero un artista – solo uno ordinario – sin da piccolo, quando non sapevo ancora nulla.
Anche allora, avevo una propensione per la pittura e per la poesia. Non avevo alcuna preparazione, era solo un dono di Dio. Ma dopo essere stato portato in prigione, non ho avuto alcun altro modo per esprimere i miei sentimenti, perché ero in uno stato di completa alienazione e di solitudine.
Qualche tempo fa ho iniziato a dipingere tutti i cartelli per il carcere di Kot Lakhpat, dove sono rinchiuso. Poi mi hanno chiesto di farlo per altre prigioni. Niente al mondo mi dà più gioia che la sensazione che provo quando dipingo qualche idea o sensazione sulla tela. È la mia vita, quindi sono felice di farlo. Il carico di lavoro è grande, e sono esausto a fine giornata, ma sono felice di questo, perché tiene la mia mente lontana da altre cose.
Non ho una famiglia che mi faccia visita, così, quando viene qualcuno, è un’esperienza meravigliosa. Mi consente di raccogliere idee dal mondo esterno che poi potrò mettere su tela. Sentirmi chiedere come sono stato torturato dalla polizia mi ha riportato alla mente ricordi terribili, che ho tradotto in immagini. Anche se, forse, sarebbe stato meglio non pensare a quello che gli agenti hanno cercato di farmi per ottenere una mia falsa confessione per questo crimine.
Quando abbiamo sentito la notizia della revoca della moratoria sulla pena di morte, nel dicembre 2014, la paura ha prevalso in tutte le celle della prigione. C’è stato un predominante senso di orrore. L’atmosfera era appesa, cupa, su tutti noi. Ma poi le esecuzioni sono iniziate davvero qui a Kot Lakhpat, e tutti hanno iniziato a subire una tortura mentale. Quelli che venivano impiccati erano stati i nostri compagni per molti anni, lungo questa strada verso la morte, ed è solo naturale che la loro morte ci abbia lasciato in uno stato di angoscia.
Mentre la moratoria sulla pena di morte è stata revocata con il pretesto di uccidere i terroristi, la maggior parte delle persone qui a Kot Lakhpat sono condannate per crimini regolari. In che modo ucciderli fermerà la violenza settaria in questo Paese, non posso dirlo.
Spero di non morire mercoledì, ma non ho alcuna fonte di reddito, quindi posso solo affidarmi a Dio e ai miei avvocati volontari. Non ho rinunciato alla speranza, anche se la notte è molto buia.
(Ha collaborato Jibran Khan)
Guardiamo i volti dei nuovi martiri
di Angelo Busetto12-06-2015
Ecco il volto dei nuovi martiri cristiani
Non ce lo aspettavamo. Da sempre la ricorrenza dei santi martiri Felice e Fortunato, patroni della città e diocesi di Chioggia – non diversamente dalle feste patronali di tanti paesi e città - è stata vissuta come festa celebrativa che trasbordava nel folklore della piazza, con le variopinte e variegate bancarelle e i venditori che incantavano i ragazzi e imbonivano gli adulti. I santi Patroni erano personaggi pittoreschi di un passato definitivamente tramontato, che riluceva nelle immagini dei santini. 
In questi ultimi tempi, improvvisamente, una grande ventata ha cambiato la direzione del mondo e alterato il panorama. I santi martiri hanno preso il volto dei cristiani sgozzati sulla spiaggia, dei vecchi dai lineamenti seri e pacati e delle donne in fuga dall’incedere stanco, con in braccio i piccoli e i grandicelli a mano. Siamo stati toccati dalle testimonianze di qualche vescovo e di qualcuno dei loro preti, affezionati come padri alle loro comunità. Così ci troviamo dentro un mondo cambiato. Le persecuzioni che hanno impregnato i secoli antichi e i barbari hanno invaso l’Occidente, nei tempi moderni si sono estese con i gulag di Stalin, i forni crematori Hitler, i campi di lavoro di Pol Pot, i laogai cinesi, le carceri pakistane, e qui ai nostri giorni con gli attentati alle chiese e alle case. Sono arrivate quasi alla soglia di casa nostra ed entrano dentro i nostri occhi con le immagini della Tv e da qualche giornale più attento e con i richiami insistiti di Papa Francesco.
Che cosa impariamo da quello che succede? L’antica, strana lezione dei martiri Felice e  Fortunato che hanno accettato i dileggi, le torture e la morte “solo” per non voler dire no a Cristo, risalta con inaudita imponenza sulla frontiera del cuore. Viene a ridirci che il cristianesimo non è un santino o una festa di compleanno, ma una questione di vita. A gamba tesa ci viene reinsegnato che Cristo è vita e che per Cristo si può dare la vita. Vale la pena perdere tutto – casa, soldi, beni, amicizie, “buon nome” e chissà altro -  piuttosto che perdere Cristo. Ma questo appare un discorso esagerato: qui nessuno viene a minacciare la nostra vita di cristiani. L’insidia è più sottile e profonda. Scava il cuore e lo svuota di contenuto, ci pialla l’anima fino a renderla piatta, senza le punte della preghiera, senza gli scatti della carità, senza i ponti del perdono. 
Veniamo indotti a credere che si può vivere senza Vangelo e senza sacramenti; senza matrimonio e senza comunità cristiana. Cristo, di fatto, reso inutile e addirittura considerato un ostacolo, nel grande campo di addestramento della nuova umanità che ci vuole identicamente uguali. E tuttavia anche oggi i martiri escono di chiesa, si inoltrano nelle strade della città, segnandole con loro passaggio. Ancora Papa Francesco: «Lasciamoci affascinare dalla Bellezza della verità della vita che è Cristo e non dagli idoli mondani…»

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