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mercoledì 3 giugno 2015

Il nostro primo Family Gay

Si fa strada l’idea che sia la oggettiva presenza di un fenomeno a garantire la sua normalità, che il fatto stesso della sua esistenza implichi una necessaria presa d’atto e comporti il conseguente automatico riconoscimento di una tutela giuridica. Idea che fa presto ad attecchire come communis opinio.

di Patrizia Fermani ed Elisabetta Frezza

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I cattolici di ogni ordine e grado – e di ogni associazione, partito, credo religioso, gerarchia civile ed ecclesiale – hanno indetto per il prossimo 20 giugno il tanto atteso Family Gay, l’evento destinato ad accompagnare un paese ancora scosso da turbolenze ideologiche nel seno della più evoluta civiltà europea.
Sulla carta si celebrerà la festa della famiglia canonica – il matrimonio è solo tra un uomo e una donna, ogni bambino ha il diritto di avere una mamma e un papà – ma in realtà si mira ad allargarla generosamente a una vasta gamma di derivati. L’evento pubblico diventa così, al di là delle apparenze, il pretesto per consacrare tutte le possibili variazioni sul tema.

Il modello omosessuale, imposto dai poteri sovranazionali come forma virtuosa di vita, ha vinto giorno per giorno le naturali resistenze della gente comune, tanto che “una mattina mi son svegliata e ho trovato l’invasor”. A questo punto, in tempi di pace per forza, a nessuno è venuto in mente di prendere delle contromisure, tantomeno a chi era preposto alla difesa della cittadella. Anzi. Tutti hanno cominciato a rassicurare tutti che l’invasore, in fondo, era un ospite prezioso e pertanto doveva anche essere gradito.
Si fa strada l’idea che sia la oggettiva presenza di un fenomeno a garantire la sua normalità, che il fatto stesso della sua esistenza implichi una necessaria presa d’atto e comporti il conseguente automatico riconoscimento di una tutela giuridica. Idea che fa presto ad attecchire come communis opinio.
“Coppie formate da persone omosessuali sono presenti nella nostra società, e..questa circostanza non può essere semplicemente ignorata dal diritto”, dicono ad Avvenire Introvigne e Mantovano (Alleanza Cattolica) – CLICCA QUI.
«È una realtà che due persone dello stesso sesso possano provare attrazione, simpatia, affetto, il desiderio di un progetto comune», dice al Corriere della Sera monsignor Galantino, segretario generale della CEI. CLICCA QUI.
Tutti sono dunque concordi nel riconoscere che ciò che esiste è di per sé meritevole di essere tutelato dal diritto. Ciò che è reale è razionale, e anche di più. Concetto, questo, la cui evidenza si può cogliere efficacemente con riguardo a varie altre situazioni, come Cosa Nostra, la rapina a mano armata, i furti con destrezza e soprattutto l’evasione fiscale: tutte realtà che, in virtù della loro indubbia diffusione, richiederebbero una immediata valorizzazione giuridica.
Secondo gli stessi pensatori summenzionati, poi, bisogna anche prendere atto che si è verificata una rivoluzione sessuale. Come dire: l’Isis c’è, si tratta solo di regolamentare i suoi interventi operativi (decapitazioni tutti i giorni, riposo il venerdì per la preghiera rituale).
Ecco dunque che si avverte la necessità impellente, per tutti, di disciplinare le relazioni omosessuali. In altre parole, la patologia, quando è diffusa, diventa ipso facto fisiologia. Succede anche per le malattie incurabili.
Giunti a questo punto però, coerenza vorrebbe che si avallassero ufficialmente tutte le conseguenze logiche della premessa posta. E quindi che si seguissero i sapienti percorsi obbligati tracciati per i sudditi dall’illuminata Unione Europea, che tanti fecondi frutti stanno producendo nei felici paesi limitrofi.
Sennonché all’Italia, che formalmente è tuttora il centro della cristianità, è meglio far assorbire con delicatezza queste belle novità, visto che potrebbe ancora esserci qualche resistenza da parte di alcuni cristiani ideologici e attardati. E d’altra parte, la chiesa è bene che usi una certa prudenza nell’adottare un nuovo testo del Vangelo.
Ecco che allora i sedicenti cattolicissimi difensori della famiglia, diligentemente, si impegnano ad elaborare le tappe intermedie dell’operazione. Ben sapendo di avere le spalle coperte da un alleato potente e sicuro com’è la magistratura di ogni ordine e grado, sulla cui attività di sostegno si può contare con assoluta certezza.
Si dice dunque: guai al matrimonio omosessuale, che conduce alla adozione dei bambini eventualmente fabbricati su ordinazione; no anche alle “unioni civili” di cui al ddl Cirinnà, perchè persino Scalfarotto le ha riconosciute come sostanzialmente equivalenti al primo; la soluzione salvifica è quella del riconoscimento dei diritti dei conviventi che l’ordinamento italiano già prevedrebbe, “esplicitamente o implicitamente”. Tale corredo di diritti è stato quindi felicemente assemblato nel testo unico elaborato dal Sì alla Famiglia, poi fatto proprio dall’onorevole Pagano e dal senatore Sacconi che lo hanno presentato alle Camere sottoforma di disegno di legge.
Il suo scopo «è quello di distinguere con estrema chiarezza il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, con la conseguente possibilità di adottare figli, cui siamo assolutamente contrari anche qualora lo si nasconda pudicamente sotto il nome di “unioni civili”, dal riconoscimento dei diritti e doveri che derivano dalle convivenze», dichiarano i promotori.
Bene.
Quanto invece alla manifestazione indetta per il prossimo 20 giugno, si legge che “L’obiettivo è replicare con un secondo Family Day la manifestazione che otto anni fa riempi la piazza storica della capitale (piazza San Giovanni, ndr) e contribuì non poco all’affossamento della proposta dei DICO messa allora in campo dal governo Prodi” (dove DICO sta per diritti e i doveri delle persone stabilmente conviventi: appunto!) poichè “la mobilitazione, e le conseguenti prese di distanza degli esponenti cattolici del governo, frenarono di fatto il percorso del ddl, che si arenò del tutto in autunno». CLICCA QUI
Dal punto di vista degli attuali promotori dell’evento, bisognerebbe forse aggiungere un “purtroppo”. Infatti, la proposta di regolarizzazione delle convivenze, che aveva preso forma con i c.d. DICO, mirava proprio a quella delle unioni tra persone dello stesso sesso, visto che è evidente a chiunque che, se i conviventi eterosessuali non si sposano, è perché ritengono più vantaggiosa la scelta di “libertà”. Non per nulla l’affossamento dei DICO avvenne perché fu chiaro a tutti dove in realtà si voleva andare a parare (evidentemente otto anni fa brillava ancora qualche lume di ragione e l’anormalità non era ancora per tutti divenuta normale).
Ora, nasce spontaneo chiedersi come mai proprio il Family Day venga riproposto oggi per far passare quello stesso progetto contro cui otto anni fa era stato ideato: vale a dire i diritti delle persone stabilmente conviventi.
Per renderci ragione di questa acrobatica capriola conviene leggere il testo (unico) che ne costituisce il manifesto. CLICCA QUI
Per prima cosa, in esso si dà per scontato che la convivenza more uxorio tra persone di sesso diverso è ontologicamente equivalente a quella tra persone dello stesso sesso; risulta dunque sottinteso che l’omosessualità è solo una variante ordinaria della sessualità, come il colore dei capelli è una variante naturale della capigliatura. Come si può notare, l’idea fondamentale che animava i DICO è rispettata.
In secondo luogo, gli elementi capaci di attribuire alla realtà di fatto della convivenza la rilevanza di status giuridico sono la stabilità del rapporto e il legame affettivo, resi ufficiali dalla iscrizione nell’apposito registro. La tutela giuridica viene cioè giustificata da un primo elemento, la stabilità del rapporto, che dipende esclusivamente dalla volontà individuale; e da un secondo elemento, il legame affettivo, irriducibile ovviamente a qualunque possibilità di verifica.
Si parte quindi dallo stesso schema dei DICO, ma superando a piè pari, oltre alle ragioni etiche, anche quelle formali che si erano opposte alla loro approvazione. In barba anche alle più elementari esigenze di certezza del diritto.
Tuttavia, al di là di questo pur vistoso tallone di Achille, il disegno di legge in questione rivela, più o meno mascherato, un più vasto intento eversivo dell’ordinamento.
Dopo aver preso come criteri per l’attribuzione di uno status giuridico elementi labili come il legame affettivo e la stabilità autocertificata, ed aver equiparato alla convivenza tra persone di sesso diverso quella tra omosessuali – che ovviamente non è neppure potenzialmente feconda come la prima –  si attribuisce addirittura a questo legame quel valore etico e sociale che hanno i rapporti famigliari parificando il rapporto omosessuale ai rapporti di parentela quando una determinata tutela penalistica sia prevista per i “prossimi congiunti”.
Va ricordato al proposito come la Corte Costituzionale, con la sentenza 140/2009 – proprio per respingere la pretesa equiparazione delle convivenze ai vincoli famigliari fondati sul matrimonio, ai fini dell’applicazione delle cause di non punibilità di cui all’art. 384 c. p. – avesse affermato l’impossibilità di assimilare le convivenze di fatto fondate sulle relazioni affettive alla famiglia legittima, “nei confronti della quale vi sono esigenze di tutela non solo delle relazioni affettive, ma anche di quelle della istituzione famigliare come tale, il cui elemento essenziale e caratterizzante è la stabilità”. Laddove per stabilità si intende evidentemente un aspetto ontologico che deriva dal vincolo contratto, e non certo (come vorrebbe il testo unico del Sì alla Famiglia) la “stabilità” contingente legata alla volontà mutevole dei soggetti interessati.
Gli estensori del testo unico ritengono evidentemente superato il principio che era stato enunciato dalla Corte Costituzionale, peraltro in un momento successivo al Family Day, precisamente due anni dopo. Infatti, proprio ai fini dello stesso art. 384 c.p., propongono espressamente che i conviventi siano considerati “prossimi congiunti”.
Ed è chiaro che, entrando nello spettro dei criteri del diritto penale, si va ben oltre la tutela degli interessi privatistici a carattere patrimoniale, perché si investono i valori profondi connessi strutturalmente ai legami di sangue e di coniugio.
Ne consegue che tutto, sotto la maschera, è già pronto anche qui per la totale equiparazione delle convivenze omosessuali ai rapporti famigliari.
A detta degli stessi promotori del testo unico, la loro “terza via” dovrebbe servire a sbarrare la strada alle tre conseguenze estreme, ritenute capitali, insite nelle altre due soluzioni: ossia l’adozione, la riserva di legittima per la successione, e la reversibilità delle pensioni. Ma, per un rapporto che si vuole parificato ai fini penalistici a quello dei prossimi congiunti, suona davvero strabiliante la sicurezza (o sicumera) con cui essi sbandierano questa capacità taumaturgica del disegno de quo, in barba alla solerzia con cui le magistrature superiori brandiscono il principio di uguaglianza di cui all’art. 3. In nome del quale, si sa, nel giro di qualche mese o qualche settimana, con matematica certezza verrebbero a tutti garantiti i “diritti” negati.
Come si sa, per la proprietà transitiva, se A è uguale a B (matrimonio e unioni civili) e B è uguale a C (unioni civili e convivenze giuridicamente consacrate), allora A è uguale a C.
O, per dirla diversamente, è stato esperito con successo il gioco delle tre tavolette. Quello che serve ad assicurare ai cattolici dialoganti persino la pace della coscienza.
Ma attenzione, perché è in agguato anche quell’articolo 640 del codice penale, che ci parla dei famosi “artifizi o raggiri” con i quali si ottiene l’“ingiusto profitto con altrui danno” “inducendo taluno in errore”.
E per questo, il 20 giugno prossimo venturo faremo felicemente il nostro primo Family Gay.

  –  di Patrizia Fermani ed Elisabetta Frezza



Redazione

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