«Il mio primo sentimento è di gratitudine al Signore che ha permesso una cosa grande per la vita della Chiesa italiana e per la vita del popolo italiano». Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, tra i primissimi vescovi a sostenere l’idea di una manifestazione pubblica a difesa della famiglia e dei bambini, è particolarmente soddisfatto della grande festa della famiglia che si è celebrata sabato 20 giugno in Piazza San Giovanni. Ha seguito tutto il giorno lo svolgersi della manifestazione, stando al telefono con gli amici presenti a Roma. «È una cosa grande che è potuta accadere perché ha trovato un milione di uomini grandi, un milione di cuori grandi, cioè disponibili ad agire senza farsi frenare dalle piccole alchimie delle valutazioni scientifico-politiche».
«Già, come se la grande battaglia di Lepanto fosse stata fatta sulla previsione della vittoria. Fu fatta prevedendo che sarebbe stata una sconfitta. Tutti, dal re di Polonia fino all’ultimo servente di mulo ricevettero la comunione in articulo mortis. O come se quelli che hanno manifestato contro il comunismo nelle piazze di Danzica, di Varsavia, di Cracovia avessero valutato che c’era una certa previsione che il comunismo cadesse. Avessero ragionato come tanti ecclesiastici e uomini di cultura oggi in Italia, avrebbero detto che era inutile fare la manifestazione perché il comunismo non sarebbe caduto. Come invece cadde, anche per queste manifestazioni».
«Il popolo giustamente ha seguito l’instinctus fidei, quell’istinto della fede per cui il popolo attese all’uscita i vescovi che partecipavano al Concilio di Efeso del 431 imponendo quasi manu militari la dichiarazione della Madonna come Theotokos, madre di Dio. Ecco questa a me pare la grande esperienza di un popolo cattolico e laico che ritrova il senso della propria dignità, il senso della propria cultura, il senso del proprio servizio al bene comune, per il quale fa un gesto magari piccolo ma che diventa significativo nel contesto della vita sociale».
«Di fronte a questo popolo credo che stia la meschinità di tante valutazioni culturali, politiche, ecclesiastiche che non hanno saputo cogliere la domanda che sale dal basso. Comunque certamente mancavano in piazza cattolici di varia estrazione a cui forse è bastato l’elogio di un difensore appassionato della Chiesa e della libertà quale è Alberto Melloni (cfr. articolo sul Corriere della Sera del 19 giugno, ndr). Ma quando si ricevono elogi di quel tipo lì, se si aguzza bene l’orecchio si sente ancora il tintinnare dei 30 denari».
«Credo sia molto importante chiarire che la responsabilità pastorale è esplicitamente delegata agli ordinari, ai singoli vescovi nelle loro diocesi, e non alla Cei. La Cei al massimo può dare direttive che poi sono sottoposte alla discrezionalità degli ordinari locali. Mi sembra quindi giusto dare onore a quel gruppo di cardinali, arcivescovi e vescovi che si sono assunti pienamente la responsabilità di indicazioni a favore della manifestazione. Il popolo, dove è stato guidato, ha trovato il conforto dei pastori e ha saputo utilizzare questo confronto per fare una cosa significativa per sé, per la Chiesa e per la società».
«A questo proposito credo che si apra un problema reale, quello della legittimazione dell’autorità. Delle autorità culturali, politiche, sociali e per certi aspetti di certe autorità religiose nei confronti di questo popolo che è avanti. Un popolo che non chiede di essere telecomandato o sostituito nelle decisioni – altrimenti in piazza san Giovanni ci sarebbe stata solo qualche decina di persone -, ma che chiede di essere educato nelle azioni. C’è un impeto di presenza culturale, sociale e politica, di missione ecclesiale che coloro che ai vari livelli hanno una qualche responsabilità devono farsi interrogare. Tutti dobbiamo chiedere a noi stessi e alla nostra coscienza il livello di corrispondenza fra il nostro popolo - quello cristiano anzitutto, ma anche quello laico che ha pure dei riferimenti autorevoli - e coloro che guidano. Perché io ritengo che questa pressione del popolo sulle strutture istituzionali e civili non debba ridursi, non debba rallentare. Certo non si può fare un Family Day ogni anno, però si possono trovare modi e tempi per questa pressione legittimamente democratica».
«Io non ho il compito di fare osservazioni di carattere politico, e in questi dieci anni di episcopato mi sono rigorosamente attenuto a questa discrezione sulle scelte partitiche. Ma posso dire con molta tranquillità che ho guardato con una certa simpatia i tentativi di riforma dell’attuale presidente del Consiglio perché l’Italia ha veramente bisogno di riforme per uscire da questa situazione stagnante. Ma se dalla presidenza del Consiglio arrivano questo genere di affermazioni che non vengono smentite, allora bisogna dire, caro presidente del Consiglio, per lei è inaccettabile la libertà di espressione, la libertà di cultura, la libertà di proporre lealmente e pacificamente nel contesto sociale posizioni che hanno una loro identità e una loro dignità. Questa è paura della libertà. E come può fidarsi un popolo di un presidente del Consiglio che ha paura della libertà?»
«Come è stato giustamente detto, in tutti gli interventi almeno degli ultimi sei-sette mesi sulla questione famiglia e gender, il Papa non solo è stato chiarissimo ma è stato decisissimo nel chiedere opportuni interventi di presenza della società. Mi dispiace che un giornalista che ho sempre ritenuto serio, arrivi a questi mezzucci che non hanno nessuna consistenza di carattere filologico, scientifico. Bisogna accettare che il popolo italiano, cattolici in maggioranza ma anche molti laici, ha seguito la chiarezza delle posizioni e non le meschinerie e i miscugli di carattere parascientifico. La realtà è questa: un milione di persone ha seguito indicazioni chiare, partendo dalle indicazioni di papa Francesco e seguendo indicazioni non meno chiare di un gruppo significativo - qualitativamente e quantitativamente - di vescovi italiani. Piaccia o no le cose stanno così. Riflettiamo su ciò che c’è e non su ciò che sarebbe stato augurabile che accadesse. Il giornalista informa a partire dalla realtà, non dalle sue farneticazioni».
SAN GIOVANNI/20 GIUGNO: CE N’EST QU’UN DEBUT, CONTINUONS LE COMBAT - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 21 giugno 2015
Sabato 20 giugno un popol s’è desto. Da una folla immensa e colorata un grande sì alla famiglia e un inequivocabile ‘No pasaran’ all’indottrinamento gender e ai disegni di legge Cirinnà, Scalfarotto e Fedeli. Sarà ascoltata? Un duro richiamo alla realtà per il segretario generale della Cei Galantino, per i vertici di CL, per l’associazionismo cattolico collaterale al potere e per il governo del ‘cattolico’ Renzi.
Dagli atri muscosi, dai fori cadenti (…) un volgo disperso repente si desta/intende l’orecchio/solleva la testa/percosso da novo crescente romor… E’ il coro del III atto dell’ ‘Adelchi’, tragedia di Alessandro Manzoni sul crollo del dominio longobardo in Italia e il conseguente ‘risveglio’ popolare, appena giunta notizia della sconfitta del re Desiderio ad opera del futuro Carlo Magno presso Susa. Fatte le debite distinzioni storiche, sabato 20 giugno piazza san Giovanni ha visto il risveglio inatteso di un popolo fin qui ufficialmente irrilevante per i grandi massmedia e per i Palazzi del potere, un po’ come è accaduto in Francia con gli esordi clamorosi della ‘Manif pour tous’. Un popolo di tutte le età convenuto dalle Alpi alla Sicilia con la precisa volontà di sfidare l’avanzata della truce macchina da guerra del pensiero unico in materia di famiglia, vita ed educazione. Che s’è trovato a sfidare anche quel po’ po’ di acqua che il cielo (con la c minuscola) ha scaricato su piazza San Giovanni per quaranta minuti prima dell’inizio dell’incontro: quale altra manifestazione non si sarebbe dispersa? Invece le decine di migliaia già presenti in piazza hanno steso teli impermeabili sui passeggini, hanno stretto a sé i bimbi, si sono protetti alla bell’e meglio con ombrelli improvvisati e hanno avuto perfino la forza di cantare: anche il nubifragio s’è dovuto arrendere alla volontà di chi c’era.
Ce n’est qu’un début, continuons le combat (non è che un inizio, la battaglia continua): il celebre slogan del ’68 francese (poi ripreso anche dalla Manif pour tous transalpina), è una realtà: non sarà facile smobilitare la folla di piazza san Giovanni, cosciente di aver dato il primo, grande avvio a una stagione che si preannuncia lunga e combattuta. Le prime reazioni della nota lobby e dei suoi conniventi parlano un linguaggio violento, totalitario: manifestazione inutile e odiosa, piazzata omofoba, un salto nella preistoria. Anche: Ho visto un’Italia medievale(Cirinnà, prima firmataria del disegno di legge per il ‘matrimonio gay’), Una manifestazione inaccettabile (Il sottosegretario Scalfarotto, primo firmatario del disegno di legge liberticida ‘contro l’omofobia’). Non è finita: c’è chi vaneggia (Franco Grillini) del complotto gender completamente inventato nelle stanze vaticane. La piazza piena brucia e dunque le reazioni sono di una arroganza pari alla dolorosa sorpresa. Accresciuta, tale sorpresa, dal fatto che il nubifragio aveva fatto ben sperare la nota lobby e i suoi conniventi in un flop clamoroso della manifestazione. Insomma: dall’esultanza allo scoramento condito di una rabbia direttamente proporzionale alle illusioni maturate nel primo pomeriggio.
L’IRA FUNESTA DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CEI, IL CASO DI “AVVENIRE”. SI INCOMINCIA A PARLARE DI DIMISSIONI
Molto stizzita anche la reazione del segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, che ha lavorato tanto (ma proprio tanto) perché la manifestazione neppure nascesse e ha poi tentato di soffocarla in culla. Galantino si è sentito preso di mira da un passo dell’intervento di Kiko Arguello: “Sembra che il segretario generale della Cei (Galantino, già citato in precedenza da Arguello) abbia detto altro, ma il Santo Padre sta con noi”. Subito il nuovo portavoce della Cei, il mite don Ivan Maffeis, è stato ‘precettato’ e ha dovuto rilasciare una dichiarazione molto dura verso Arguello: “Kiko Arguello si è reso protagonista di una caduta di stile gratuita e grave. Contrapporre il Papa alla Cei, e in particolare al suo segretario generale, è strumentale e non veritiero”. C’è dell’altro. Il quotidiano ufficiale della Cei, ormai marcato a uomo da Galantino, non solo ha pressoché ignorato la manifestazione fino all’altro giorno. E sabato 20 ha pubblicato un commento del direttore, in cui – già nel titolo a tutta pagina e nel sommato – si esprimeva “qualche paura”. Quale? Che la manifestazione brandisse a mo’ di “battaglia” (termine odiatissimo dai cultori della ‘bandiera bianca’) termini come padre e madre. Stamattina, domenica 21, “Avvenire” ha fatto ancora di meglio. In prima pagina l’articolo principale è dedicato alla lotta all’azzardo, con commento. L’editoriale alla strage di Charleston, negli Stati Uniti. A centro pagina una grande foto per la visita del Papa a Torino. Sulla destra un richiamo con foto più piccola alla manifestazione: già nelle poche righe in prima pagina si è voluto inserire la frase: “Unica nota stonata la polemica pretestuosa di Kiko Arguello”. Dentro, a pagina 9 (!) l’articolo di cronaca, un altro articolo dal titolo “La festa felice di chi non è contro” (NdR: dev’essere un’ossessione quel ‘non essere contro’) e un commento siglato “Avvenire” dal titolo “Grande, bella e pacifica (con un po’ di zizzania)”, in cui si legge: “Peccato solo per la pretestuosa e presuntuosa polemica di un oratore, uno solo: Kiko Arguello. Ha ceduto al vizio di emulare e assecondare chi cerca di seminare zizzania nella Chiesa. Peccato, davvero”. “Avvenire”, meritevole di tante lodi su battaglie antropologiche fondamentali per la dignità umana, sul 20 giugno è stato oggettivamente penoso e sta suscitando una forte indignazione in molti cattolici. Quanto scritto da “Avvenire” è il ringraziamento di Galantino a chi ha voluto caparbiamente (e c’è pienamente riuscito) portare in piazza centinaia di migliaia di cattolici per difendere la famiglia e contrastare il pensiero unico del gender. Forse il segretario generale della Cei, un vescovo-pilota perdipiù perdente, non sa che un pastore deve avere addosso l’odore delle pecore (ma allora legga meglio papa Francesco!). Galantino distingue palesemente tra le pecore di serie A, quelle docili e pronte a ogni compromesso sui valori fondamentali dell’uomo (pur di non guastare i rapporti con il governo di cattolici à la carte e poltronisti) e quelle che invece restano con forte volontà fedeli alla dottrina sociale della Chiesa, manifestandolo pubblicamente e dunque visibilmente davanti all’intera comunità. Più d’uno sabato pomeriggio si chiedeva se non sia ormai il caso che il segretario generale incominci a pensare alle dimissioni (o venga consigliato in tal senso) per ripetuta e manifesta incapacità di comprendere una parte consistente del suo popolo.
UN DURO RICHIAMO AI VERTICI DI CL E DELLE ALTRE ASSOCIAZIONI CATTOLICHE DI MASSA
La manifestazione del 20 giugno si è rivelata un avvertimento molto doloroso anche per i vertici odierni di CL (ivi compreso lo stesso don Carron). La non adesione - motivata dalla curiosa opinione che le adunate di piazza non sarebbero mai servite e non servirebbero a niente - è stata letteralmente ignorata da decine di migliaia di ciellini. Quando dal palco Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita, ha detto che “se fosse ancora vivo, oggi don Giussani sarebbe qui insieme con noi”, dalla piazza si è levato un vero boato di approvazione. C’è materia dunque per riflettere ai piani alti di CL.
Duro il richiamo anche per le altre associazioni e movimenti cattolici di massa assenti a piazza San Giovanni, dall’Azione cattolica a Rinnovamento nello Spirito, dai Focolarini agli scout dell’Agesci (che, come è noto, in alcune centinaia dopo aver sentito il Papa a San Pietro sono andati ad applaudire il Gay pride con tanto di cartelli politicamente corretti), dalle Acli a tutte quelle aggregazioni meno numerose ma molto influenti, a partire dalla Comunità di Sant’Egidio. Forse i vertici di tali associazioni avranno incominciato a capire che c’è un mondo cattolico, numericamente molto rilevante, che non è disposto ad alzare bandiera bianca per presunte convenienze ecclesiali o politiche.
LE DIFFERENZE CON IL ‘FAMILY DAY’ del 2007
La piazza di ieri era diversa da quella del ‘Family Day’ del 2007. Che è stato un grande successo, ma fondato su premesse differenti. Nel 2007 è la Cei, grazie all’azione intelligente e tempestiva del cardinale Ruini, che ha stimolato (oltre che finanziato) la partecipazione della gran parte del mondo associazionistico. In quell’occasione “Avvenire”, diretto da Dino Boffo, aveva preparato con continuità, ricchezza di contributi e incisività l’appuntamento del 12 maggio. Erano stati coinvolti direttamente anche il mondo politico e quello sindacale di area cattolica.
Sabato 20 giugno 2015 invece la manifestazione è stata convocata da un Comitato di laici temerari (razionalmente c’erano molti dubbi sulla riuscita dell’evento), nato il 2 giugno precedente, dunque diciotto giorni prima. In tale lasso di tempo, i promotori -ignorati dai grandi massmedia fin quasi all’ultimo, sostanzialmente osteggiati dalla segreteria generale della Cei e da “Avvenire”, disdegnati dai vertici delle grandi associazioni cattoliche salvo il movimento neocatecumenale, avendo l’appoggio solo di qualche cardinale e vescovo coraggiosi - sono riusciti a portare in piazza una folla enorme di cattolici. Un vero ‘miracolo laico’, preparato attraverso centinaia di incontri svoltisi in tutta Italia sul tema del gender e dei disegni di legge in corso di esame parlamentare e organizzati in particolare da Massimo Gandolfini (portavoce della manifestazione), dalla ‘Croce’ di Mario Adinolfi, da “Notizie pro-vita”, dai Giuristi per la Vita di Gianfranco Amato, da Alleanza cattolica. E’ giusto aggiungere che il Comitato non è stato sponsorizzato da nessuno: anche la richiesta a Tremitalia di poter usufruire di un biglietto scontato sui treni, come l’azienda ha sempre fatto in casi analoghi, è stata respinta. Ognuno ha dunque pagato di tasca propria e si è sobbarcato in diversi casi viaggi notturni, lunghi e faticosi per poter raggiungere quella Roma in cui si è dovuto confrontare poi anche con i torrenti d’acqua che scendevano dal cielo. Qui una grande lode va anche a chi ha curato con successo i non facili aspetti tecnici dell’organizzazione, come Nicola Di Matteo e Maria Rachele Ruiu.
ANALOGIE E DIFFERENZE CON LA ‘MANIF POUR TOUS’ FRANCESE
Dapprima diverse analogie. La Manif pour tous è sbocciata in Francia in poco tempo. A novembre 2012 le prime manifestazioni con decine di migliaia di persone, a gennaio 2013 la prima adunata di massa a Parigi con oltre un milione di persone. La Manif pour tous è stata ignorata per mesi dai poteri massmediatici, fino a quando non è stato più possibile nascondere il fenomeno. Che allora è stato, bon gré mal gré, evidenziato, ma nel contempo accusato di “omofobia”, di “arretratezza culturale” proprio come hanno fedelmente testimoniato le prime reazioni italiane della nota lobby e dei suoi conniventi alla grande testimonianza di piazza San Giovanni. Non solo: si è cercato nel contempo di togliere credibilità alla Manif francese, irridendone i promotori. Il che sta accadendo puntualmente pure in Italia. Ancora: si è tentato di minimizzarne l’impatto sull’opinione pubblica (e però le foto e i video parlano da sé…), sostenendone l’inutilità. Altra analogia: la Manifè stata organizzata da laici, in buona parte cattolici. Ma nella Manif erano presenti anche persone di altre confessioni e religioni, oltre a non credenti. Proprio come sabato a San Giovanni: dal palco hanno parlato (suscitando grandi applausi) anche l’imam Mohamed di Centocelle (in nome della comunità islamica di Roma), l’evangelico Giacomo Ciccone (in nome della grande maggioranza del protestantesimo italiano), il rappresentante di varie etnie presenti a Roma. Molto gradito il messaggio del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, letto dal palco (data l’impossibilità di partecipare fisicamente essendo sabbath), sulla necessità di non lasciarsi travolgere dalle nuove ideologie antropologicamente sovversive. Un’ulteriore analogia: la presenza di persone omosessuali. Dal palco è stato letto il messaggio (anch’esso applaudito più volte a scena aperta) inviato dall’associazione Genitori e amici di persone omosessuali (Agapo), in cui si sostiene con forza che il disegno di legge Cirinnà “non fa il bene degli omosessuali” in genere e in particolare “dei nostri figli”, che sarebbero spinti alla “confusione”. Nel testo si sostiene che “il ‘matrimonio gay’ non ha senso sul piano antropologico” e costituirebbe “una grave ingiustizia sul piano sociale”. Altro messaggio letto: quello del presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia. Un’ultima analogia: la Chiesa di Francia, se ha stimolato con il cardinale Ving-Trois alla riflessione sull’argomento e con il cardinale Barbarin è voluta essere sempre presente agli appuntamenti della Manif, in genere non l’ha appoggiata, tenendosene assai distante nella maggioranza dei vescovi e delle associazioni cattoliche tradizionali.
Una differenza – enorme – però c’è: la Maniffrancese è sbocciata troppo tardi, quando alcune leggi liberticide erano già in vigore. LaManif italiana invece è ancora in tempo per bloccare i disegni di legge frutto dell’ideologia totalitaria del gender. Ora naturalmente, se al Comitato “Difendiamo i nostri figli” spetta di prefigurare rapidamente nuovi modi di intervento, per i parlamentari cattolici il compito è quello di agire immediatamente e incisivamente a Palazzo Madama e a Palazzo Montecitorio. Si deve dire che i segnali dai ‘cattolici’ del Pd, quelli delle continue mediazioni a basso prezzo, non sono incoraggianti. E neppure quelle dei ‘cattolici à la carte’ di Palazzo Chigi. Occorre insistere, come ha chiesto più volte coralmente la piazza, sul ‘no’ chiaro e inequivocabile ai disegni di legge Cirinnà e Scalfarotto e a quello Fedeli sulle ‘pari opportunità’, a meno che da quest’ultimo non venga tolto l’emendamento che prescrive l’indottrinamento gender nelle scuole. E’ interessante notare che la piazza ha accompagnato con un boato di disapprovazione la citazione delle “autorità istituzionali” che non hanno accettato l’invito a essere presenti. E con un boato di disapprovazione ancora maggiore la citazione (da parte di Mario Adinolfi) del sottosegretario Scalfarotto, che in tempo reale ha definito “inaccettabile” la manifestazione.
Altra differenza: la presenza massiccia in particolare di un movimento cattolico, il Cammino neocatecumenale. In Francia invece i gruppi aderenti erano tanti e in genere minuscoli, poi naturalmente molto cresciuti. A Piazza San Giovanni si è levato un altro boato quando alle 15.20 – dieci muniti prima dell’inizio della manifestazione - si è affacciato sul palco Kiko Arguello, che si è presentato con poche parole: “Buonasera a tutti! Alla battaglia! Coraggio!”. Ancora una volta: complimenti al Cammino neocatecumenale che ha ritenuto fondamentale scendere in piazza hic et nunc, qui e ora, per cercare di impedire che il pensiero unico entri nella città di soppiatto, grazie ai conniventi e ci metta tutti con le spalle al muro.
SUL PALCO L’ICONA DELLA ‘SALUS POPULI ROMANI’
Oltre al logo della manifestazione sulla destra del palco, in alto, è stata affissa la copia di una icona particolarmente cara ai romani (e molto cara anche al Papa): quella della Salus populi romani, conservata in Santa Maria Maggiore: “E’ il saluto di Roma a tutti quelli che vengono da fuori”, ha detto Massimo Gandolfini.
QUALCHE SPUNTO DALLA MANIFESTAZIONE
Da Cagliari. Usciamo verso le 12.30 da casa a Piazza Bologna e vediamo una colonna di persone con la bandiera dei Quattro Mori. Da dove venite? Da Cagliari. In quanti siete? Almeno in duecento. Come raggiungete piazza San Giovanni? A piedi, sono quasi cinque chilometri. Una signora in carrozzella: Io sono su gomma. E se dovesse piovere forte come previsto? Fa bene una rinfrescata. Questo lo spirito della manifestazione.
Metropolitana. Scendiamo alla metropolitana: vagoni già pieni. Tante chitarre. Siete neocatecumenali? Come fa a saperlo? Si ride. Da dove?Da Palermo. Quanti siete? Trecento. Giungiamo a Termini e si cambia. La banchina della metro A è già piena di bresciani, anche di cremonesi (siamo ciellini). Arriva il convoglio, un vagone straripa di marchigiani, da Macerata. Un buon inizio, no?
Striscioni e cartelli. Sulla piazza, prima che scoppi il nubifragio, facciamo in tempo ad annotare i contenuti di alcuni striscioni e cartelli, intanto che risuonano i canti dei gruppi neocatecumenali. Centinaia di bandiere della Manif rosa e azzurre su modello francese. ‘Manif’ da Empoli (oltre cento). Difendiamo i nostri figli, no al gender nelle scuole. Maschio e femmina Dio li creò. Tutti nascono da mamma e papà. Nella famiglia il futuro dell’Italia. Citazioni dell’articolo 26 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (quello sul diritto prioritario dei genitori per l’istruzione dei figli) e degli articoli 29 e 30 della Costituzione italiana (famiglia naturale, educazione dei figli). Mamma e papà, aiuto! No al disegno di legge Cirinnà (grande striscione della Manif pour tous). L’ideologia gender è più pericolosa dell’Isis. Teoria gender?No grazie. Sulle unioni omosessuali, Renzi, chi siamo noi per arrogarci il diritto di procreare in modo artificiale bambini orfani? Dalla sana educazione dipende la felicità di una Nazione (frase di san Giovanni Bosco).
Dal palco. La folla si estende a perdita d’occhio, non si riesce a intravvederne la fine. Grappoli umani si abbarbicano alla grande statua di san Francesco.
Oratori 1. Massimo Gandolfini introduce e spiega l’ideologia gender e un video che presenta il Papa mentre parla di ‘colonizzazione ideologica’ e chiede di “agire contro”. La famiglia Aquino racconta in breve la sua esperienza di educazione dei figli (11). La giornalista e scrittrice Costanza Miriano illustra con linguaggio colloquiale la differenza tra maschio e femmina nella quotidianità: “I figli sono generati, non comprati!”
Oratori 2. Dopo un bel video della Manif pour tous, parla l’avvocato umbro Simone Pillon: “E’ da tanto tempo che aspettavamo questa piazza! Il combattimento gigantesco che stiamo conducendo non è contro le persone, ma contro le ideologie! Noi ci siamo alzati in piedi! L’Italia ha un compito insostituibile, è l’ultimo baluardo di un’antropologia scritta nell’uomo” (boato della piazza). La famiglia SergioAngori racconta poi l’esperienza della figlia che, in seconda media, ha avuto una docente che ha propagandato per tutto l’anno l’ideologia del gender.
Oratori 3. Subito un boato per il presidente dei Giuristi per la Vita Gianfranco Amato: “Non è vero che in questa piazza non ci sono le istituzioni, perché – secondo la Costituzione – la sovranità appartiene al popolo”. E “il popolo è qui per dire: Basta!”. Purtroppo “oggi viviamo in una democrazia totalitaria che sta tentando per legge di imporre l’ideologia gender. Occorre opporsi a ogni tentativo in tal senso” (boato). Amato cita ancora il Papa (“colonizzazione ideologica”, paragone con la “gioventù hitleriana”). Poi definisce la manifestazione “il primo grande atto collettivo di resistenza contro l’imposizione della dittatura del pensiero unico da parte di una lobbyche non ha niente a che vedere con il popolo” (boato). Ricorda un passo del discorso di Winston Churchill del giugno 1940 per la resistenza al nemico nazista. E aggiunge: “Noi combatteremo nelle scuole, nelle piazze, nelle cabine elettorali” (boato). “Non ci arrenderemo mai! Mai mai!” (boato)
Oratori 4. Tocca poi all’ex-sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, presidente dei Comitati “Sì alla famiglia” tener vive le emozioni della folla. Mantovano ricorda le “tante bombe sulla famiglia”, buttate sul popolo italiano in poco tempo: dal divorzio breve a quello facile (“Si impiega più tempo a disdire l’abbonamento telefonico che non a divorziare”), la fecondazione eterologa, la selezione genetica degli embrioni, il disegno di legge Cirinnà (travolto da un doppio, possente coro di ‘no!’). “Forza, coraggio e speranza!” conclude Mantovano (boato).
Oratori 5. Dopo un video molto chiaro sulla relazione tra madre e figlio, tocca a Mario Adinolfi , direttore de “La Croce”. Già abbiamo detto dell’accenno a Scalfarotto, sepolto dalla disapprovazione corale della piazza. Adinolfi fa capire che l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà introduce de facto (pur se scritto naturalmente in un burocratese incomprensibile ai più) la possibilità di adozione per i gay. Citando a tale proposito Elton John, ne ripercorre i tentativi fatti – dopo essersi “sposato” con un uomo – per comperare un figlio (“i soldi possono tutto”), ma il figlio – generato con l’utero in affitto e portato in grembo da un’altra donna - piange continuamente perché cerca inutilmente il seno della madre. Un vero capitolo di disumanità, dovuto al fatto che Elton John “vuol essere come Dio e non conosce il senso del limite naturale: l’uomo non può essere Dio!”. Per Adinolfi il disegno di legge Cirinnà “è il coronamento dell’ideologia gender”: “Perciò noi dobbiamo batterci per i veri diritti civili e senza vescovi-pilota!” (boato).
Oratori 6: Tocca a Kiko Arguello: la testimonianza pubblica “è indispensabile per essere coerenti con la propria condotta di vita”. In un momento in cui “l’Europa sta commettendo un grave peccato contro la Luce”. Il fondatore del Cammino neocatecumenale introduce un brano famoso dall’ “Apocalisse” di san Giovanni sulla donna vestita di luce, coronata di dodici stelle, cui un enorme drago rosso con sette teste e dieci corna cerca inutilmente di strappare il figlio appena partorito. L’arcangelo Michele con i suoi angeli sconfiggerà il drago, pure sostenuto da altri angeli, precipitandolo sulla terra. La folla neocatecumenale canta con forza il brano, accompagnando la voce di Arguello, in spagnolo e in italiano.
Si giunge alla fine con i ringraziamenti e l’ “arrivederci” di Massimo Gandolfini, mentre le nubi gonfie di altra pioggia si avvicinano e incominciano a scaricarsi di nuovo. La folla sciama rapidamente, anche perché le strade in un batter d’occhio si trasformano in torrenti. Per caso reincontriamo Adinolfi, che sta attendendo un bus che non arriva. Tanti (veramente tanti) che passano lo ringraziano ad alta voce, gli stringono la mano, perfino lo salutano dai finestrini abbassati delle auto che hanno incominciato a ripopolare la strada. Il bus non arriva, la metropolitana è lontana (chiusa la fermata di san Giovanni), non resta che sospirare un tassì. Che giunge e ci porta a Largo Argentina: intanto il tassista, spontaneamente parla della manifestazione e dice che “è stata una cosa buona, ci voleva, il matrimonio è solo tra uomo e donna”. Il popol s’è desto.
Come mai questi pro 20 giugno tra gli "oratori" non hanno detto che a salire sul palco vi erano anche quei del culto maomettano e rabbinico?
RispondiEliminaCome mai tutto questo "entusiamo"da parte di "cattolici" per questa manifestazione aconfessionale chiamata "family day" dove la di famiglia secondo il cattolico deve essere quella formata da un padre, una madre uniti nel vincolo del Sacramento del matrimonio inesistente negli altri culti non cattolici?
Ma fatemi il piacere smettetela con questi minestroni stile raduno assisiani che a Dio non sono graditi.