ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 19 giugno 2015

Phussa via!

Hus: chi era costui?

È di recente tornato agli onori della cronaca quando, il 15 giugno scorso, alcuni suoi seguaci, che si attribuiscono abusivamente il titolo di “chiesa” hussita, sono stati ricevuti in Vaticano dalla suprema autorità della Chiesa Cattolica in occasione del sesto centenario della morte. Già rettore dell’Università di Praga, oggi ricordato come celebre predicatore e incompreso riformatore, Jan Hus (1370 ca.-1415) fu convinto di eresia al Concilio di Costanza e, dato il suo rifiuto di abiurare, arso sul rogo il 6 luglio 1415.
Una rapida scorsa alle trenta proposizioni condannate dal Concilio (cf. H. Denzinger – A. Schönmetzer, Enchiridion symbolorum…, §§ 1201-1230) permette, anche a chi abbia limitate conoscenze di storia della Chiesa, di rilevare immediatamente che, in effetti, si tratta di eresie colossali; non tener conto di questo può pertanto essere indizio solo di ignoranza crassa o di disonestà intellettuale.

Che cosa potrebbero quindi apportare di buono, al Popolo di Dio, lo studio e la conoscenza del pensiero di tale personaggio, che in detta ricorrenza sono stati caldamente raccomandati con parole che, di fatto, equivalgono ad una sua riabilitazione e, correlativamente, sconfessano un decreto di un concilio ecumenico, successivamente confermato da papa Martino V il 22 febbraio 1418? Al Popolo di Dio ancora credente secondo la retta fede cattolica, ovviamente nulla, se non – indirettamente – una maggiore consapevolezza del pericolo che sta attualmente correndo la Chiesa; a quel “popolo di Dio”, invece, che, secondo le parole conclusive della Costituzione dogmatica Lumen gentium, dovrebbe riunire in sé «tutte le famiglie di popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore» (§ 69), tale raccomandazione suona molto eloquente. In base a quest’ultimo testo, infatti, si direbbe che l’essere o meno insigniti del nome cristiano sia sostanzialmente irrilevante, a meno che non si intenda che chi non lo è debba necessariamente aderire con la fede alla predicazione della Chiesa ed esservi incorporato con il santo Battesimo.
Nell’odierno processo di autodemolizione della Chiesa e del Papato, dunque, le tesi hussite risultano perfettamente funzionali. Il preteso riformatore boemo, effettivamente, parla di una universalis Ecclesia che non corrisponde per niente alla Chiesa una, sancta, catholica et apostolica del Credo, ma sarebbe costituita di soli predestinati distinti dai preconosciuti (praesciti); che i secondi siano identificati con i primi nientemeno che da san Paolo (quos praescivit et praedestinavit, Rm 8, 29) non ha evidentemente alcuna importanza. Tale questione non appare affatto oziosa, visto che, sempre secondo il “riformatore”, i praesciti, anche se sono in stato di grazia secondo la giustizia presente (a qualcuno risulta che ve ne sia un’altra?), non fanno mai parte della santa Chiesa, mentre un predestinato, quand’anche decada dalla gratia adventitia (altra espressione mai sentita), rimane sempre membro della Chiesa perché non può perdere la gratia praedestinationis, vincolo che lo unisce a Cristo in modo indissolubile, qualunque cosa egli faccia.
In confronto, Lutero e Calvino non sono altro che timidi epigoni. Ma, a parte questo, proviamo ad accostare questo discorso – sebbene completamente eterodosso – all’attuale insistente opposizione tra coloro che si ritengono giusti per le loro pratiche farisaiche e quanti sono esclusi dalla vita ecclesiale dall’ipocrisia dei primi. Secondo le teorie di Hus, come appena visto, che uno sia in peccato mortale non conta assolutamente nulla: la cosiddetta giustizia presente, infatti, non incide minimamente sul fatto di essere predestinati. Vien da pensare che l’essere giusti secondo l’ordinamento stabilito da Cristo e perpetuato dalla Chiesa sia una colpa che esclude dalla salvezza eterna, mentre l’aver perso lo stato di grazia – sempre secondo la giustizia presente, l’unica però che conosciamo – sia un merito da incoraggiare e premiare. Tutto questo, in ogni caso, pare non dipendere affatto dalla libera volontà umana sostenuta e guidata dalla grazia, bensì da un’arbitraria deliberazione divina che, insindacabilmente, predestina gli uni e danna gli altri. Chiunque può facilmente riconoscere che un’ingiusta misericordia equivale alla negazione della misericordia stessa…
Se passiamo a considerare il Primato petrino, queste tesi deliranti sprigionano tutto il loro veleno distruttivo. Capo della Chiesa universale intesa come convocazione dei predestinati (che siano o meno in stato di grazia secondo la giustizia presente) è unicamente Cristo; non lo è né san Pietro né tanto meno il Romano Pontefice: nessuno, anzi, fa le veci di Cristo o di Pietro, a meno che non sia a ciò predestinato e non ne segua i costumi, conditio sine qua non per ricevere direttamente da Dio la potestà vicariale, ciò che si può conoscere soltanto per rivelazione. Il Papato sarebbe stato istituito dall’autorità imperiale; ma un papa cattivo, anche se legittimamente eletto secondo la comune costituzione umana, è un Giuda, un diavolo e un ladro. Analogamente, l’immoralità dei sacerdoti ne inficia la potestà sacramentale e di governo; ad ogni modo, l’obbedienza ecclesiastica non è altro che una loro invenzione contraria alla Scrittura. I predicatori che la conoscono e vivono secondo la legge di Cristo devono disobbedire al divieto di predicare e resistere persino alla scomunica; qualsiasi censura ecclesiastica è d’altronde un espediente del clero mirante alla propria esaltazione e alla sottomissione del popolo. L’unico criterio per discernere la validità (fondata sull’elezione divina) di un ufficio di qualsiasi grado conferito nella Chiesa sono le opere dell’eletto.
È del tutto evidente che idee come queste, oltre ad essere in radicale contraddizione con la costante Tradizione ecclesiale, getterebbero la Chiesa in uno stato di anarchia totale in cui non vi sarebbe più alcuna certezza né sul piano dottrinale, né su quello pastorale, né su quello sacramentale. Ma non è forse ciò che è effettivamente accaduto in tante parti del mondo cattolico negli ultimi cinquant’anni? E non è questo l’obiettivo che, a quanto pare, si sta attualmente perseguendo dal cuore stesso della Chiesa con una martellante propaganda contro il clericalismo e i vizi clericali, con l’obliterazione dei legittimi fondamenti del ministero ecclesiastico e la loro sostituzione con una non meglio definita autorità morale basata su una pretesa realizzazione dell’ideale evangelico inteso come banale pauperismo?
L’autorità dei Pastori, di fatto, non è più riconosciuta dal popolo in forza dell’ufficio, fondato sulla valida successione apostolica, ma in base alla corrispondenza del loro agire e parlare all’immagine che ne viene sdoganata come normativa; chi non la riproduce pedissequamente subisce un linciaggio morale che sprizza odio e livore nei confronti di ciò che la gerarchia ecclesiastica è per istituzione divina. Inutile dire che tutto questo puzza terribilmente di zolfo… ma si ritrova pressoché intatto, mutatis mutandis, a sei secoli di distanza. La differenza principale – e per nulla trascurabile – è che, sei secoli fa, l’eresia fu condannata da un Concilio e da un Papa; oggi… la situazione sembra invertita.
BY  · 
http://www.civiltacristiana.com/hus-chi-era-costui/

2 commenti:

  1. D'altronde non ci è stato detto che la Chiese deve essere in "hussita ," ( uscita ), e dai e dai ci sono riusciti. jane

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  2. Il problema non sono più gli eretici di cinque secoli fa. Oggi il nemico mortale è Bergoglio con la cricca ateo-satanica che lo circonda, esalta e sostiene.

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