Mi colpiscono sempre gli aggettivi che appioppano a noi cattolici quando diciamo la nostra, in ogni campo, ma in particolare in quello della morale e della sessualità.
Parto dal presupposto che non varrebbe la pena perdere tempo a parlare di queste cose. Ritengo, infatti, sia oggettivo che chi arriva a tali epiteti (non necessariamente offensivi, ma comunque chiusi al dialogo) ha già perso la sfida. Se si arriva a questo, vuol dire che non si hanno più argomenti e non si sa più come contrastare le mostre argomentazioni e, così, si è costretti a darci del bigotto e altro.
Strano a dirsi, ma la maggior parte delle volte che ho avuto discussioni su questi argomenti, o che ho letto (ad esempio su Facebook) scambi di opinioni, otto volte su dieci la conversazione finiva proprio perché il cattolico veniva apostrofato con uno dei soliti aggettivi.
Strano a dirsi, anche, che questi propagandisti dell’amore libero, della sessualità “come mi pare” sono quelli a cui gli argomenti finiscono subito. D’altronde, molto spesso, basta metterli di fronte al fatto che due più due non può che far quattro e iniziano ad arrampicarsi sugli specchi alla ricerca del cinque…
Non addentriamoci però nel merito della materia; qui la mia curiosità vuol analizzare da vicino qualcuno degli aggettivi con cui veniamo apostrofati. E dimostrare che, anche su questo fronte, chi pensa di offenderci o metterci a tacere sbaglia completamente il bersaglio.
Se andiamo a pensare agli epiteti con cui siamo aggrediti, in maggioranza sono cose tipo bigotto e omofobo, ed anche, in minor parte e con intenti diversi, rigido eintransigente–inflessibile.
Quando mi dicono bigotto, sinceramente, non me la prendo, anzi ne sorrido.
Vocabolari alla mano vediamo che bigotto significa «persona che mostra zelo esagerato più nelle pratiche esterne che nello spirito della religione, osservando con ostentazione e pignoleria tutte le regole del culto» (Treccani, online) o anche «che si richiama a precetti religiosi scrupolosamente e in modo acritico» (Garzanti, online).
Ora, ripeterò all’infinito che chi si dice cattolico DEVE aderire a TUTTE le verità rivelate e insegnate dalla Chiesa, altrimenti non sarebbe cattolico. Tanto che «vien detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa» (Can. 751, Codice di Diritto Canonico).
Non vale il paragone con qualsiasi altro campo della vita (politico, economico, sportivo, culturale). Nel campo religioso il valore di cui si parla, la Verità che si crede non è qualcosa di umano, di valutabile, di opinabile. È oggettivo, è dato, è immutabile. E, principalmente, è soprannaturale. Quindi o si crede tutto o non si crede. Non ci si può mettere a tavolino con Dio (come fanno molti) e contrattare uno o più elementi di fede.
Tanto è vero questo che «per un cattolico la Tradizione è proprio un’ipostasi. È chi non è cattolico che la può ritenere non tale. Nel linguaggio filosofico “ipostasi” significa ciò che “sta fermo” al di là del divenire. La Tradizione è la Verità; e la Verità è la natura costitutiva di Dio: nulla di più immutabile, nulla di più assoluto» (Corrado Gnerre, Risposta ad Introvigne sulla manifestazione del 20 giugno … e su altro, Confederazione Civiltà Cristiana, 1 luglio 2015).
È alla luce di questo che, quando mi dicono bigotto, sorrido.
Se pensano di offendermi, sbagliano alla grande, perché la definizione così come comunemente data non è pertinente con il cattolico o, di contro, è addirittura quasi un complimento.
“Zelo esagerato” non può essere offensivo: o è un “fuori tema” o un paradossale complimento.
Non esiste, infatti, esagerazione nell’essere zelante per un fedele, se zelo «nel linguaggio della Chiesa cattolica» è «il fervoroso adoperarsi per la gloria di Dio, che si esprime soprattutto, oltre che con la preghiera, con l’apostolato della parola e delle opere, e col vivo desiderio di salvare anime» (Treccani online). È tipico di ogni religione, non solo di quella Cattolica, avere come fine la maggior gloria di Dio.
Quindi l’esatto opposto di una farisaica «ostentazione» o di una mancanza di attenzione allo «spirito della religione».
Non c’è quindi in chi vuol essere cattolico «ostentazione e pignoleria», semmai c’è la coerenza che viene definita come «non essere in contraddizione; di persona fedele ai suoi principi» (Treccani, online).
Se un comunista elogiasse la proprietà privata, non gli darebbero dell’incoerente? E perché, allora, in un campo molto più importante come quello della fede, se un cattolico si sforza di essere cattolico, cioè di aderire in toto a quel che vuol dire esserlo, gli dicono “bigotto”, cioè che ha uno “zelo eccessivo”? Forse è un problema essere scrupolosi in quel che si fa?
Perché mi si dice che ostento o che sono pignolo? Cosa c’entrano l’ostentazione e la pignoleria? Semmai stiamo parlando di fervore e di attenzione al culto. Forse il problema ce l’ha chi non ha tutta questa tensione nei confronti di cose così essenziali come quelle della liturgia e della fede.
E, sulla base di queste constatazioni, anche l’intendere bigotto come chi «si richiama a precetti religiosi scrupolosamente e in modo acritico» (Garzanti online) non si attaglia ad un cattolico.
Chi è cattolico ha conoscenza di quel che crede e difficilmente potrà dirsi “acritico” (salvo casi eccezionali, che, purtroppo, al giorno d’oggi, sono sempre più diffusi: vedasi ad esempio “papolatri” e “normalisti”).
In generale, dunque, bigotto non c’entra nulla con cattolico, almeno non nella sua accezione negativa.
Si è visto come inutile è l’apostrofarmi come bigotto perché o si deve ritenere errato l’accomunare tale espressione alla fede o l’accezione negativa comunemente datagli potrebbe, paradossalmente, divenire un complimento. In ultima analisi, infatti, mi si sta dicendo che sono un buon cattolico perché seguo attentamente la mia fede. Fede che, tra l’altro, per essere integralmente seguita, raramente non è radicale.
Lo stesso discorso si può fare per omofobo, con la differenza che questo è solo un termine che assolutamente sbagliato e “fuori tema”. Chi ce lo dice e lo usa come spada per “ammazzare” le risposte di segno opposto non fa altro che farmi ridere.
Sempre dai vocabolari sappiamo che per omofobia” si intende una «avversione ossessiva per gli omosessuali e l’omosessualità» (Treccani online; simile in Garzanti online) e che quindi l’omofobo è una «persona ostile agli omosessuali» (Treccani online).
Specifichiamo, innanzitutto, che preferiamo parlare di persone con tendenze omosessuali, e non di omosessuali ed eterosessuali.
La totale inadeguatezza di tale aggettivo (omofobo) nei confronti di un cattolico è palese già semplicemente ascoltando un cattolico che parla di omosessualità:raramente parla contro la persona, sempre condanna l’omosessualità. Come da sempre fa la Chiesa Cattolica, si condanna l’errore e si accoglie l’errante.
Non c’è alcuna «ostilità» o «avversione ossessiva» verso le persone con tendenze omosessuali, anzi c’è la massima dimostrazione di carità nei loro confronti. Molto più di alcuni paladini del gay frendly che poi, in privato o nelle situazioni personali, non sono altrettanto caritatevoli.
Anche in questo caso, d’altronde, come per l’essere bigotti, non si fa altro che aderire appieno a quello che insegna la Chiesa Cattolica, che a sua volta non fa altro che ricordare l’ordine naturale voluto da Dio.
Non c’è alcuna stranezza, nessuna ostilità nell’essere fermi nella condanna di un errore. Il problema è di chi pensa sia normale il relativismo e la fluidità del credo e dei dogmi.
Così perde ogni senso aggredire un cattolico al grido di omofobo: si va totalmente fuori tema, è come se uno per offendere dicesse ad un cieco che non ci sente… Fa solo ridere!
Finisco con la rigidità.
Questo è un termine adoperato più da fedeli di altre religioni o, addirittura, da quei cattolici “adulti” annacquati nella fede, quando non ci si muove dalle verità fondamentali della nostra fede, come fanno loro. E come vorrebbero che facessimo anche noi.
A me è capitato spesso, quando esprimevo fermamente la mia adesione a TUTTA la fede cattolica, sentirmi apostrofare con un “sei troppo rigido”. Peccato che, in questo campo, il contrario di rigidità sia ecumenismo e/o relativismo, quindi non essere più cattolici.
Torniamo ai vocabolari e vedremo che rigidità viene intesa come «mancanza di flessibilità» (Corriere della Sera) e «rigore, severità, inflessibilità».
Si capisce subito che è sufficiente tornare ai ragionamenti appena fatti: non può esserci flessibilità in un cattolico su determinati principi (non per nulla, anche se solo riferito alla Bioetica, Benedetto XVI li aveva definiti “non negoziabili”). Il cattolico, per rimanere tale, DEVE avere «rigore, severità, inflessibilità».
Che non vuol dire in nessun modo essere ostili a qualcuno.
Non cadiamo nel “misericordismo” per cui, con la scusa di dover amare, non ci si deve più permettere di evidenziare gli errori di molti fedeli e delle altre confessioni religiose. Questo non è amore per il prossimo, è sdoganamento dell’errore e, di conseguenza, del peccato.
La maggior carità possibile, non dimentichiamolo, è il dire la verità, è il ricordare la Verità.
Alla luce di tutto questo, quindi, mi fa il solletico sentirmi dare del bigotto, dell’omofobo o del rigido.
Ditemelo pure, mi farò una risata e penserò che sto facendo il “buon cristiano” (come soleva invitare san Pio da Pietrelcina).
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