ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 29 luglio 2015

Disinsegnante

Curia di Palermo Ufficio IRC insegna nuova dottrina sugli Anglicani e la successione apostolica ( che hanno perduto)


Sul sito ufficiale della Curia Arcivescovile di Palermo - Ufficio IRC* - la Professoressa Lavinia Tagliaferri ha scritto  : 

L'Anglicanesimo-Successione Apostolica

4. La successione apostolica: una catena ininterrotta di autorità
 ...
I Dodici Apostoli sceglievano i vescovi in questo modo, quindi la persona che avevano scelto aveva il potere di ordinare nuovi vescovi a succedergli. 
E in seguito questi vescovi potevano ordinare nuove persone, e così di seguito, in una catena ininterrotta, che iniziò con Gesù e i Dodici Apostoli e continua da allora.
Prima che la Chiesa Anglicana si separasse da Roma nel 1533, gli uomini che erano vescovi in Inghilterra erano scelti in questo modo. 
Essi erano parte della successione apostolica.

Solo perché la Chiesa Anglicana nel 1533 cessò di obbedire al Papa in Roma questo non implicava che l’autorità dei vescovi scomparisse. 
Così negli anni che seguirono, questi uomini scelsero nuovi uomini e li ordinarono quali vescovi allo stesso modo di sempre. (Sottolineatura nostra N.d.R)
La successione apostolica continua anche oggi. 
Ogni vescovo nella Comunione Anglicana in ogni parte del mondo è stato ordinato da altri vescovi, ed ha ricevuto il dono speciale dell’autorità dallo Spirito Santo.
Anche altre Chiese continuano la successione apostolica, quali la Chiesa Cattolica Romana 
( ma daiiii non lo sapevamo N.d.R.) e le Chiese Ortodosse in Grecia, Europa orientale e Russia.   (Sottolineatura nostra N.d.R)
 4.1 L’arcivescovo di Canterbury 
L'Arcivescovo di Canterbury è il capo della Chiesa d'Inghilterra (Chiesa Anglicana) e della Comunione Anglicana mondiale. 
ecc ecc

Com'è possibile che la Professoressa Tagliaferri non abbia accennato alla questione dell'invalidità delle ordinazioni anglicane, così chiaramente espressa dalla Bolla di Leone XIII ?  
Eppure Il Movimento di Oxford (Oxford Movement) fa parte, per lo splendore teologico ed ecumenico di cui è rivestito, della Storia della Chiesa : come può la Professoressa Tagliaferri, che scrive sul sito della Curia di Palermo, ignorare quel Movimento e con esso le tematiche strettamente congiunte alla triste e reale consapevolezza che gli Anglicani avevano aimè perso la successione apostolica? 
La sempre riconosciuta invalidità delle ordinazioni anglicane é oggi aggravata dal cosiddetto episcopato femminile. 
Gli Anglicani persero la successione apostolica non perché si separarono da Roma, ma perché il rito usato per la consacrazione dei vescovi non esprimeva più l'intenzione di consacrare dei vescovi, intendendo, per tali ciò che la Chiesa ha stabilito che siano. 
L'Apostolicae Curae di Leone XIII parla chiaro :

Apostolicae curae 

Lettera apostolica sulle ordinazioni anglicane.


13 settembre 1896
Leone vescovo servo dei servi di Dio a perenne memoria.
Alla nobilissima nazione inglese Noi abbiamo dedicato una parte non piccola della sollecitudine e della carità apostolica con cui cerchiamo in forza dell'ufficio di rappresentare e di imitare, col favore della sua grazia, il grande pastore delle pecore, il Signore nostro Gesù Cristo(Eb. 13,20). 
Peculiare testimonianza della Nostra benevolenza verso la medesima [nazione] è la lettera che l'anno scorso abbiamo rivolto agli inglesi che cercano il regno di Cristo nell'unità della fede: di questo popolo abbiamo ricordato naturalmente, richiamandola alla memoria, l'antica unione con la chiesa madre, e, riacceso nelle anime lo zelo di pregare Dio, ci siamo adoperati per portare a maturazione una felice riconciliazione. 
E di nuovo, non molto tempo fa, quando da un punto di vista generale e con una lettera pubblica si è voluto trattare più ampiamente dell'unità della chiesa, non abbiamo certo dimenticato l'Inghilterra; con la chiara speranza che i nostri documenti possano dare fermezza ai cattolici e luce salutare ai dissidenti. 
E fa piacere riconoscere, cosa che mette ugualmente in evidenza sia la benevolenza della popolazione che la preoccupazione della salvezza eterna di molti, come dagli inglesi sia stata valutata favorevolmente sia la Nostra premura che la Nostra libertà di espressione, poste in essere senza nessuna sollecitazione di calcolo umano. 
Ora poi con la medesima intenzione e con lo stesso spirito Noi abbiamo deciso di rivolgere l'attenzione ad una causa precisa di non minore importanza, che è in linea con lo stesso problema e con i Nostri desideri. 
Presso gli inglesi infatti, dopo un certo tempo dalla separazione dal centro dell'unità cristiana, è stato introdotto pubblicamente, sotto il re Edoardo VI, un rito completamente nuovo per il conferimento degli ordini sacri. 
Che per questo motivo sia venuto meno il vero sacramento dell'ordine, cosi come lo ha istituito Gesù Cristo, e contemporaneamente anche la successione gerarchica, fino a questo momento la sentenza comune lo ha tenuto per fermo, e gli atti e la costante disciplina della chiesa più di una volta l'hanno confermato. 
Tuttavia da qualche tempo e soprattutto in questi ultimi anni, si è ricominciato a discutere se le sacre ordinazioni compiute con il rito edoardiano abbiano o no la natura e l'efficacia del sacramento: danno corpo alla discussione, in modo affermativo o dubitativo, non solo diversi scrittori anglicani, ma anche alcuni cattolici, specialmente non inglesi. 
Gli uni certamente li ha spinti la grandezza del sacerdozio cristiano, nel desiderio di non essere privi della sua duplice potestà sul corpo di Cristo; gli altri li ha spinti l'intenzione di rendere loro in qualche modo più facile il ritorno all'unità. 
Gli uni e gli altri, essendo progrediti col tempo gli studi su questo argomento, ed essendo venuti alla luce nuovi documenti scritti, si sono detti persuasi che sarebbe stato quanto mai opportuno un nuovo esame della causa da parte della Nostra autorità. 
Noi quindi, non volendo assolutamente trascurare quei consigli e quei desideri, e soprattutto volendo assecondare la voce della carità apostolica, abbiamo ritenuto che non si dovesse tralasciare nulla che in qualche modo potesse portare ad una riduzione dei danni o ad un accrescimento dei vantaggi delle anime.
È sembrato bene allora permettere, con grandissima benignità, il riesame della causa: e in modo tale che, con la massima scrupolosità della nuova inchiesta, fosse del tutto eliminata per il futuro ogni possibilità di dubbio.
Per questo, a un certo numero di uomini insigni per dottrina ed erudizione, e dei quali erano note le contrapposte opinioni su questo problema, abbiamo affidato il compito di mettere per iscritto i motivi del loro giudizio. 
Chiamatili poi presso di Noi, abbiamo chiesto loro di scambiarsi reciprocamente gli scritti, e di ricercare e valutare qualsiasi cosa che fosse meritevole di più ampia conoscenza per la soluzione del problema.
Abbiamo poi stabilito che costoro, senza limitazione alcuna, potessero riesaminare negli archivi vaticani gli opportuni documenti già conosciuti e rendere pubblici quelli non ancora noti; e che ugualmente avessero a disposizione qualsiasi atto su tale argomento conservato presso il sacro Consiglio chiamato Suprema, come anche tutto ciò che avessero pubblicato fino ad oggi le persone più dotte da una parte e dall'altra.
Abbiamo voluto che costoro, forniti di tali sussidi, si riunissero poi insieme in sedute particolari; se ne sono tenute dodici, sotto la presidenza di un cardinale della santa chiesa di Roma da Noi stessi designato, essendo stata data a tutti la facoltà di discutere liberamente. 
Gli atti infine delle loro riunioni, unitamente agli altri documenti, abbiamo ordinato che fossero tutti consegnati ai venerabili cardinali Nostri fratelli; così che questi, avendo riflettuto sul problema, ed avendolo infine dibattuto in Nostra presenza, potessero esprimere ciascuno il proprio parere.
Dopo aver avviato questo modo di procedere, era giusto tuttavia che non si affrontasse l'intima valutazione della causa, se prima non si fosse esaminato con grandissima diligenza lo stato in cui essa già si trovava secondo le determinazioni della sede apostolica e la consuetudine consolidata; di questa consuetudine era senza dubbio estremamente importante valutare il suo inizio e il suo valore. 
Sono stati così esaminati prima di tutto i principali documenti con i quali i Nostri predecessori, su richiesta della regina Maria, dedicarono particolari premure alla riconciliazione della chiesa d'Inghilterra. 
Giulio III infatti, designò a questo compito, come legato a latere, il cardinale Reginaldo Pole, di nazionalità inglese, esimio per molteplici meriti, quasi suo angelo di pace e di amore, e gli assegnò compiti e poteri d'azione del tutto straordinari (ciò fu fatto nel mese di agosto 1552 con lettere pubblicate, Si ullo unquam tempore, Post nuntium Nobis ed altre), che poi Paolo IV confermò e definì chiaramente. 
Per questo, al fine di valutare esattamente quale importanza abbiano in sé i documenti ricordati, è necessario stabilire, come punto di riferimento fondamentale, che il loro proposito non fu mai astratto, ma totalmente riferito alla specifica situazione e ad essa peculiare. 
Poiché infatti le facoltà attribuite da quei pontefici al legato apostolico riguardavano solo l'Inghilterra e la situazione della religione sul posto, anche le direttive di comportamento dagli stessi assegnate al legato inquirente, non potevano affatto avere lo scopo di determinare in linea generale quali siano le cose in assenza delle quali le ordinazioni sacre non sono valide; dovevano invece mirare esclusivamente a prendere posizione riguardo agli ordini sacri in quel regno, per quel che mostravano le ben note condizioni dei tempi e delle situazioni. 
Tutto questo, oltre al fatto di essere evidente per la natura e la modalità di quei documenti, risulta chiaramente anche per il seguente motivo: sarebbe stato del tutto assurdo, riguardo alle cose che sono necessarie per conferire il sacramento dell'ordine, volere che fosse istruito il legato, proprio lui, la cui dottrina aveva brillato anche nel Concilio di Trento.
A coloro che bene intendono queste cose, apparirà subito chiaro per quale motivo nella lettera di Giulio III al legato apostolico, scritta 1'8 marzo 1554, ci sia un distinto riferimento prima di tutto a coloro che, promossi secondo il rito e in modo legittimo, dovessero essere conservati nei loro ordini, e poi a coloro che non promossi ai sacri ordinipotessero, se fossero stati trovati degni e idonei, essere promossi
Si indica infatti in modo certo e definito, come era in realtà, una duplice categoria di persone: da una parte coloro che avessero veramente ricevuto la sacra ordinazione, sia prima della secessione di Enrico, o, se anche successivamente per mezzo di ministri implicati nell'errore e nella separazione, tuttavia con il rito cattolico abituale; dall'altra coloro che fossero stati iniziati secondo l'Ordinale edoardiano, e che potessero quindi essere promossi, dato che avevano ricevuto una ordinazione invalida. 
E che altro non fosse stato il proposito del pontefice, lo conferma chiaramente la lettera dello stesso legato del 29 gennaio 1555, che demanda le sue facoltà al vescovo di Norwick. 
Si deve inoltre soprattutto considerare ciò che la lettera stessa di Giulio III riporta riguardo alle facoltà pontificie da usare liberamente, anche a vantaggio di coloro ai quali la funzione di consacrare era stata conferita in modo non pienamente conforme al rito e senza osservare la forma consueta della chiesa: con questa locuzione certamente venivano designati coloro che erano stati consacrati con il rito edoardiano; al di fuori di questa forma infatti e di quella cattolica, non ne esisteva altra in quel tempo in Inghilterra.
Queste cose poi si fanno più chiare ricordando la missione che i re Filippo e Maria, persuasi dal cardinale Pole, inviarono a Roma, al pontefice, nel mese di febbraio 1555. 
Gli ambasciatori del re, tre uomini veramente insigni e forniti di ogni virtù, fra i quali Thomas Thirlby, vescovo di Elie, avevano l'intenzione di informare esattamente il pontefice con più complete notizie sulla situazione della realtà religiosa in quel regno, e di chiedere che fossero ritenute valide e confermate le cose che il legato aveva trattato e ottenuto per la riconciliazione del medesimo regno con la chiesa: per questo motivo furono portate al pontefice tutte le testimonianze scritte che erano necessario, e le parti del nuovo Ordinale che riguardavano più da vicino il problema. 
Accolta con grande solennità l'ambasceria. Paolo IV, "dopo aver discusso diligentemente" le medesime testimonianze con alcuni cardinali fidati, pervenuto ad una deliberazione matura, pubblicò la lettera Praeclara carissimi il giorno 20 giugno del medesimo anno. In questa, essendosi data piena approvazione e conferito efficacia alle cose compiute dal Pole, così si prescrive a proposito delle ordinazioni: ... coloro che sono stati promossi agli ordini ecclesiastici ... da altri e non invece da un vescovo ordinato secondo il rito e il diritto, sono tenuti a ricevere di nuovo ... gli stessi ordini
Quali poi fossero tali vescovi, ordinati non secondo il rito e il diritto, lo avevano indicato già a sufficienza i precedenti documenti, e le facoltà usate dal legato al riguardo: senza dubbio coloro che fossero stati promossi all'episcopato, come agli altri ordini, senza che fosse osservata la forma consueta della chiesa, o senza che fosse osservata la forma e l'intenzione della chiesa, come scriveva lo stesso legato al vescovo di Norwick. Questi altri poi erano certamente quelli promossi secondo la nuova formula rituale; ad esaminare la quale si erano attentamente impegnati i cardinali prescelti. E non bisogna tralasciare un passo della stessa lettera del pontefice, del tutto congruente al problema; dove, con gli altri bisognosi del beneficio della dispensa, vengono elencati quelli che avevano ottenuto sia gli ordini che i benefici ecclesiastici in modo nullo e di fatto. Avere ottenuto gli ordini in modo nullo è la stessa cosa che con un atto invalido e con effetto nullo, cioè non validamente, come chiarisce lo stesso significato di quella parola e il modo consueto di parlare; soprattutto quando è affermata la stessa cosa in ugual modo degli ordini e dei benefici ecclesiastici, che secondo precisi istituti dei sacri canoni erano manifestamente nulli, perché attribuiti con un vizio invalidante. A questo si aggiunge che, essendo certuni nel dubbio su chi potesse, secondo la mente del pontefice, dirsi ed essere realmente vescovo, ordinato secondo il rito e il diritto, questi, non molto tempo dopo, il giorno 30 ottobre, fece seguire un'altra lettera, in forma di breve e disse: Noi, per togliere tale incertezza, e volendo adeguatamente provvedere alla serenità di coscienza di coloro che durante lo scisma furono promossi agli ordini, esprimendo più chiaramente il pensiero e l'intenzione che abbiamo avuto nella Nostra lettera, dichiariamo che solo quei vescovi e arcivescovi che furono ordinati e consacrati non nella forma della chiesa, non possono dirsi ordinati secondo il rito e il diritto
Se questa dichiarazione non avesse dovuto riferirsi appositamente alla situazione presente dell'Inghilterra, cioè al rituale edoardiano, certamente il pontefice non avrebbe fatto la nuova lettera, con cui "togliere l'incertezza e provvedere alla serenità di coscienza".
Del resto, anche il legato non comprese affatto diversamente i documenti e i comandi della sede apostolica, e ad essi ottemperò nel modo dovuto e con scrupolo: e ciò fu ugualmente fatto dalla regina Maria e dagli altri che con lei si impegnarono affinchè la religione e le istituzioni cattoliche fossero ricondotte alla precedente situazione.
Gli autorevoli comportamenti di Giulio III e di Paolo IV che abbiamo richiamato, mostrano chiaramente l'inizio di quella dottrina a cui in modo costante ci si attiene da più di tre secoli, e cioè che le ordinazioni con il rito edoardiano sono ritenute invalide e nulle; a questa dottrina sono poi di ampio sostegno le molte testimonianze di ordinazioni che, anche in questa città, sono state frequentemente e incondizionatamente ripetute secondo il rito cattolico. 
Nell'osservanza poi di questa disciplina c'è un argomento favorevole alla tesi. Infatti, se qualcuno rimane ancora nel dubbio sul senso in cui debbano essere accolte quelle disposizioni dei pontefici, giustamente vale il detto: la consuetudine è un'ottima interprete delle leggi. Infatti, dato che nella chiesa si è sempre ritenuto in modo fermo e stabile che la reiterazione del sacramento dell'ordine fosse contro il diritto divino, non avrebbe potuto verificarsi in nessun modo che la sede apostolica sopportasse e tollerasse tacitamente una tale consuetudine. 
Orbene non solo non l'ha tollerata, ma ha anche sempre valutato e sanzionato in modo univoco ogni volta che nella medesima situazione si è dovuto giudicare un qualche evento particolare. 
Presentiamo ora due eventi di tal genere, tra i molti che sono stati deferiti di volta in volta alla Suprema: uno nell'anno 1684, di un calvinista francese, il secondo nell'anno 1704, di Giovanni Clemente Gordon; entrambi avevano ricevuto gli ordini secondo il rituale edoardiano. Nel primo caso, dopo un'accurata indagine del problema, molti consultori misero per iscritto i loro responsi, i cosiddetti voti, e gli altri concordarono con loro in un'unica sentenza, per l'invalidità dell'ordinazione: tenendo quindi conto soltanto dell'opportunità, piacque ai cardinali rispondere: Rinviata. Gli stessi atti poi sono stati ripetuti e riesaminati nel secondo caso: sono stati per questo richiesti nuovi voti dei consultori, si sono interrogati dottori famosi fra quelli della Sorbona e di Kilmacduagh, e non si è trascurata nessuna risorsa di più perspicace competenza nell'esaminare profondamente la cosa. E deve essere tenuto presente che, anche se lo stesso Gordon, di cui si trattava, come pure alcuni consultori, abbiano addotto anche quella ordinazione, come si riteneva, di Parker fra le cause di rivendicazione della nullità, tuttavia, nella sentenza che doveva essere promulgata, quella causa è stata totalmente trascurata, come palesano documenti di fede certa, e nessun'altra ragione è stata considerata se non il difetto di forma e di intenzione. Riguardo poi a questa forma, affinchè il giudizio fosse più completo e più sicuro, si era fatto in modo di avere davanti un esemplare dell'Ordinale anglicano; e anche con questo sono state confrontate le singole forme di ordinazione, ricavate dai vari riti degli orientali e degli occidentali. Quindi Clemente XI, con i voti favorevoli dei cardinali ai quali spettava, proprio lui personalmente, venerdì 17 aprile 1704, decretò: "Giovanni Clemente Gordon di nuovo e senza condizionisia ordinato a tutti gli ordini sacri e particolarmente al presbiterato, e poiché non aveva ricevuto la confermazione, riceva per primo il sacramento della confermazione". 
La sentenza, e questo deve assolutamente essere tenuto presente, non attribuì nessuna importanza alla mancanzadi consegna degli strumenti: in quel caso infatti, sarebbe stato prescritto secondo la consuetudine che fosse disposta una ordinazione sotto condizione
Si deve poi soprattutto considerare che la medesima sentenza del pontefice si riferisce in modo generale a tutte le ordinazioni degli anglicani. 
Anche se ha riguardato una situazione particolare, tuttavia non ha preso le mosse da una qualche ragione particolare, ma da un vizio di forma, vizio dal quale sono colpite tutte quelle ordinazioni: al punto che, tutte le volte che in seguito si è dovuto decidere in situazioni simili, sempre ci si è riferiti al medesimo decreto di Clemente XI.
Stando così le cose, non c'è nessuno che non veda come la controversia oggi suscitata sia già stata definita da molto tempo dalla sede apostolica: senza conoscere quei documenti in modo adeguato, come sarebbe stato necessario, è accaduto forse che un qualche scrittore cattolico non abbia dubitato di poter discutere liberamente al riguardo. 
Però, dato che, come abbiamo dichiarato all'inizio, non c'è nulla per Noi di più caro e gradito che poter essere utili con la più grande indulgenza e carità agli uomini rettamente disposti, abbiamo ordinato di indagare di nuovo con la massima cura nell'Ordinale anglicano, che è il fondamento di tutta la causa.
Nel rito di conferimento e di amministrazione di qualsiasi sacramento, si distingue giustamente fra la partecerimoniale e la parte essenziale, che si è soliti chiamaremateria e forma
Tutti sanno che i sacramenti della nuova legge, in quanto segni sensibili ed efficaci della grazia invisibile, debbono significare la grazia che producono, e produrre la grazia che significano. 
Questa significazione, anche se deve essere contenuta in tutto il rito essenziale, nella materia cioè e nella forma, appartiene però particolarmente alla forma, dato che la materia è parte di per sé non determinata, che per mezzo di quella viene determinata. 
E questo, in modo ancora più esplicito, appare nel sacramento dell'ordine, la materia del cui conferimento, quale si manifesta in questo luogo, è l'imposizione delle mani, che di per sé poi non significa nulla di definito, e viene usata ugualmente per tali ordini e per la confermazione.
Ora poi, le parole che fino a questi ultimi tempi vengono ovunque usate dagli anglicani come forma propria dell'ordinazione presbiterale, e cioè: "ricevi lo Spirito Santo", non significano affatto in modo determinato l'ordine del sacerdozio, o la sua grazia e potestà, che in particolare è la potestà di consacrare e di offrire il vero corpo e sangue del Signore (Concilio tridentino Sess. XXIII, de sacr. Ord. can. I, Denz. 1771), con quel sacrificio che non è una pura commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce (Ib. Sess. XXII, de sacrif. Missae, can.3, Denz. 1753). 
Tale forma poi è stata arricchita più tardi con le parole: per la funzione e il compito di presbitero
Ma questo dimostra piuttosto che gli anglicani hanno visto loro stessi che quella prima forma era imperfetta e non idonea alla situazione.
La stessa aggiunta però, se anche fosse in grado di apportare alla forma il legittimo significato, è stata introdotta troppo tardi, quando ormai era trascorso un secolo dalla ricezione dell'Ordinale edoardiano, e quando proprio per questo, essendosi estinta la gerarchia, la potestà di ordinazione era ormai nulla. Inutilmente poi ultimamente si è cercato un aiuto alla causa dalle altre preghiere dell'Ordinale. 
Infatti, anche tralasciando tutto ciò che nel rito anglicano le dimostri insufficienti allo scopo, valga solo questo argomento fra tutti: dalle stesse è stato tolto di proposito tutto ciò che nel rito cattolico designa chiaramente la dignità e le funzioni del sacerdozio. 
Non può dunque essere adatta e sufficiente al sacramento quella forma che passa sotto silenzio quello che dovrebbe propriamente significare.
Le cose stanno allo stesso modo per quanto riguarda la consacrazione episcopale. 
Infatti, alla formula ricevi lo Spirito Santo, non solo sono state aggiunte troppo tardi le parole per la funzione e il compito di vescovo, ma anche riguardo alle medesime, come subito diremo, si deve giudicare altrimenti che nel rito cattolico. 
E non aiuta certo la causa il richiamare la preghiera del prefazio Onnipotente Dio, dal momento che è ugualmente priva delle parole che dichiarano il sommo sacerdozio
In verità, non giova a nulla a questo proposito, esaminare se l'episcopato sia un completamento del sacerdozio, o un ordine distinto da quello; o se conferito, come si dice, per salto, cioè ad un uomo che non sia sacerdote, abbia effetto oppure no. 
Ma lo stesso [episcopato] senza dubbio appartiene con assoluta verità al sacramento dell'ordine, secondo l'istituzione di Cristo, ed è sacerdozio di grado supremo; questo appunto, dalla voce dei santi padri e dalla nostra consuetudine rituale, è dichiarato sommo sacerdozio, pienezza del sacro ministero
Dal momento che il sacramento dell'ordine e il vero sacerdozio di Cristo è stato totalmente eliminato dal rito anglicano, e che nella consacrazione episcopale del medesimo rito in nessun modo è conferito il sacerdozio, proprio da questo consegue che anche l'episcopato non può essere in alcun modo veramente e giustamente conferito; e questo tanto più perché tra i primi doveri dell'episcopato c'è appunto quello di ordinare i ministri per la santa eucaristia e il sacrificio.
Tuttavia, per la retta e piena valutazione dell'Ordinale anglicano, oltre a ciò che è stato osservato su alcune sue parti, nulla vale sicuramente quanto il considerare attentamente in quali circostanze sia stato composto e pubblicamente costituito. 
Sarebbe lungo enumerare le singole cose, e non è necessario: la storia di quel tempo infatti, dice abbastanza chiaramente quali fossero i sentimenti degli autori dell'Ordinale nei confronti della chiesa cattolica, quali fautori si associassero dalle sette eterodosse, dove infine dirigessero i loro progetti. 
Ben sapendo infatti quale vincolo esista fra la fede e il culto, fra la legge del credere e la legge del pregare, con il pretesto di reintegrare la sua forma primitiva, hanno alterato in molti modi l'ordinamento della liturgia secondo gli errori dei novatori. 
Per questo, in tutto l'Ordinale, non solo non c'è nessuna chiara menzione del sacrificio, della consacrazione e della potestà del sacerdote di consacrare e di offrire il sacrificio; ma anzi, cosa di cui sopra ci siamo occupati, sono state deliberatamente eliminate e distrutte tutte le tracce di queste cose che fossero rimaste nelle preghiere non completamente rifiutate del rito cattolico. Così si manifesta da sé il nativo carattere e lo spirito, come si dice, dell'Ordinale. 
Di qui poi, avendo portato con sé l'errore fin dall'inizio, se non ha potuto avere in nessun modo validità nella pratica delle ordinazioni, neppure in futuro, con il passare del tempo, essendo rimasto il medesimo, potrà avere valore. 
Ed hanno agito inutilmente quelli che, fin dai tempi di Carlo I, hanno cercato di introdurre qualcosa del sacrificio e del sacerdozio, avendo fatto qualche aggiunta all'Ordinale; e ugualmente si dà da fare inutilmente quella parte non certo molto grande di anglicani costituitasi in tempi recenti, che ritiene che lo stesso Ordinale possa essere compreso e ricondotto ad un significato sano e retto. Inutili, noi diciamo, sono stati e sono questi tentativi: e ciò anche per questo motivo, perché, se alcune parole dell'Ordinale anglicano, come ora si trova, si presentano in modo ambiguo, non possono assumere il medesimo senso che hanno nel rito cattolico. 
Infatti, come abbiamo visto, una volta cambiato il rito con cui veramente si è negato o corrotto il sacramento dell'Ordine, e dal quale è stato ripudiato qualsiasi concetto di consacrazione e di sacrificio, non ha più nessuna consistenza il Ricevi lo Spirito Santo, Spirito che viene infuso nell'anima con la grazia del sacramento; e non hanno alcuna consistenza le parole per la funzione e il compito di presbitero o di vescovo, e quelle simili, che restano nomi senza la realtà che Cristo ha istituito.
Moltissimi fra gli stessi anglicani, interpreti più fedeli dell'Ordinale, hanno ben conosciuto la forza di tale argomento; e questa apertamente oppongono a coloro che interpretando in modo nuovo lo stesso [Ordinale], con vana speranza attribuiscono agli ordini con esso conferiti il valore e la forza che non hanno. 
Con questo medesimo argomento cade anche l'opinione di coloro che dicono che come legittima forma dell'ordine possa essere sufficiente la preghiera Onnipotente Dio, largitore di tutti i beni, che si trova all'inizio dell'azione rituale; anche se forse potrebbe essere ritenuta sufficiente in un qualche rito cattolico che la chiesa avesse approvato. 
Con questo intimo vizio di forma, dunque, è congiunto unvizio dell'intenzione, che il sacramento, per poter essere, richiede in modo ugualmente necessario. Riguardo alla disposizione o intenzione, essendo di per sé qualcosa di inferiore, la chiesa non giudica; ma dal momento che si manifesta all'esterno, deve giudicarla. Ora poi, quando qualcuno per compiere o conferire un sacramento, ha adoperato seriamente e giustamente la materia e la forma dovute, proprio per questo si ritiene che egli abbia inteso certamente fare ciò che fa la chiesa. 
Su questo principio si fonda la dottrina che tiene per fermo che è veramente un sacramento anche quello che è compiuto mediante il ministero di un eretico o di un non battezzato, purché con il rito cattolico. 
Al contrario, se il rito viene cambiato per introdurne un altro non approvato dalla chiesa, e per respingere ciò che fa la chiesa e che appartiene alla natura del sacramento secondo l'intenzione di Cristo, allora è chiaro che manca non solo l'intenzione necessaria al sacramento, ma che c'è anzi una intenzione contraria e opposta al sacramento.
Tutte queste cose a lungo e ripetutamente le abbiamo considerate fra Noi e coi Nostri venerabili fratelli giudici nella Suprema, l'assemblea dei quali Ci è piaciuto convocare presso di Noi in modo straordinario il venerdì 16 luglio, nella commemorazione di Maria, nostra Signora del Carmelo. 
Costoro concordemente hanno convenuto che la causa proposta già da tempo era stata conosciuta e giudicata dalla sede apostolica e che, istruita e trattata poi di nuovo la sua discussione, era emerso nel modo più chiaro con quale forza di giustizia e di sapienza [la sede apostolica] aveva deciso l'intera problematica. 
Abbiamo tuttavia ritenuto che la cosa migliore da farsi fosse il non pronunciare subito una sentenza, per meglio valutare l'utilità e il vantaggio di una nuova dichiarazione sul medesimo argomento in virtù della Nostra autorità, e per implorare supplici una più copiosa abbondanza di luce divina. 
Avendo poi Noi considerato che lo stesso capitolo dottrinale, anche se giustamente già definito, è stato da certuni rimesso in discussione, qualunque sia poi il motivo di questa nuova discussione; e che da questa situazione avrebbe potuto nascere facilmente un pericoloso errore per i non pochi che pensano di trovare il sacramento dell'Ordine e i suoi frutti dove invece non ci sono. 
Ci è sembrato bene nel Signore di rendere pubblica la Nostra sentenza.
Pertanto, approvando in modo globale tutti i decreti dei Nostri predecessori su questo problema, e confermandoli e rinnovandoli pienamente, in forza della Nostra autorità, di nostra iniziativa, per sicura conoscenza. 
Noi dichiariamo e proclamiamo che le ordinazioni compiute con il rito anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle.
Rimane questo: con lo stesso nome e con lo stesso animo del grande pastore con cui ci siamo adoperati per dimostrare la verità assoluta di una realtà così importante, vogliamo dare coraggio a coloro che con volontà sincera desiderano e ricercano i benefici degli ordini e della gerarchia. 
Forse fino ad ora, pur ricercando l'ardore della cristiana virtù, riflettendo più devotamente sulle divine Scritture, raddoppiando le pie preghiere, si sono tuttavia arrestati, incerti e inquieti, di fronte alla voce di Cristo che già da tempo esorta interiormente. Vedono già esattamente che Colui che è buono li invita e li vuole. Se ritornano al suo unico ovile conseguiranno veramente sia i benefici richiesti, sia i rimedi della salvezza che ne conseguono, e di cui egli stesso ha fatto ministra la chiesa, quasi custode perpetua e amministratrice della sua redenzione fra le genti. Allora veramente attingeranno l'acqua con gioia dalle fonti del Salvatore, i suoi meravigliosi sacramenti; da questi le anime fedeli, rimessi veramente i peccati, sono restituite all'amicizia di Dio, sono nutrite e rafforzate con il pane celeste, e con gli aiuti più grandi pervengono al raggiungimento della vita eterna. Assetati realmente di tali beni, il Dio della pace, il Dio di ogni consolazione, voglia benigno con questi ricolmarli e appagarli. Vogliamo poi che la Nostra esortazione e i Nostri desideri riguardino soprattutto coloro che sono considerati ministri della religione nelle loro comunità. Gli uomini che per l'ufficio stesso sono superiori in dottrina e autorità, e ai quali senza dubbio sta a cuore la gloria divina e la salvezza delle anime, vogliano mostrarsi particolarmente alacri e obbedire a Dio che chiama, e dare di sé un chiarissimo esempio.
Certamente la madre chiesa li accoglierà con gioia specialissima e li abbraccerà con ogni bontà e con ogni cura, perché una più generosa forza d'animo li ha ricondotti al suo seno attraverso ardue difficoltà. 
Per tale forza, è impossibile dire quale lode sia loro riservata nelle assemblee dei fratelli per l'orbe cattolico, quale speranza e fiducia davanti a Cristo giudice, quali premi da lui nel regno celeste! Noi poi, per quanto sarà possibile, con ogni mezzo, non cesseremo di favorire la loro riconciliazione con la chiesa; dalla quale e i singoli e gli ordini, cosa che desideriamo con forza, possono prendere molto per imitarla. 
Frattanto preghiamo tutti e supplichiamo per le viscere di misericordia del nostro Dio affinchè cerchino fedelmente di assecondare l'abbondante flusso della verità e della grazia divina.
Noi poi decretiamo che la presente lettera, con tutte le cose in essa contenute, non potrà mai in nessun tempo essere censurata o impugnata per vizio di surrezione o di orrezione o di intenzione Nostra, o per un qualsiasi altro difetto; ma che sarà ed è sempre valida e in vigore, e che deve essere osservata infallibilmente da tutti, di qualsiasi grado e onore, nel giudizio e fuori; dichiarando anche invalido e nullo se mai capitasse che fosse portato contro di essa un attacco, consapevolmente o inconsapevolmente, da chiunque e con qualsiasi autorità o pretesto, nonostante qualsiasi cosa contraria.
Vogliamo poi che alle copie di questa lettera, anche stampate, sottoscritte però dalla mano di un notaio e munite del sigillo da un uomo costituito in dignità ecclesiastica, si debba la medesima fiducia che si avrebbe alla manifestazione della Nostra volontà mediante l'ostensione di questa presente.
Roma, presso San Pietro, 13 settembre dell'anno dell'incarnazione del Signore 1896, anno XIX del Nostro pontificato.
Leone XIII
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Da Famiglia Cattolica prendiamo una piccola parte del pregevole studio sull'invalidità delle ordinazioni anglicane :
"L'esame delle consacrazioni dei primi vescovi avvenute al tempo di Elisabetta ha pure rivelato delle grandi oscurità; tutto fa indurre che esse avvennero alla chetichella, non volendosi da una parte allarmare i cattolici e dar motivo alle loro proteste, le quali avrebbero messo in evidenza le enormità che succedevano, e dall'altra esasperare le fazioni, già anche troppo facinorose. Da tale mistero l'origine di una quantità di favole e di leggende, di cui quella più celebre è la «fabula tabernaria», secondo la quale Parker sarebbe stato consacrato di notte in una taverna, da vescovi senza insegne e con cerimonie strane.

Ma il difetto delle ordinazioni anglicane non era soltanto d'indole cronologica o in lacune rituali gravissime; la Lettera Apostolica ne ricercava ragioni più profonde, nella carenza, cioè, dell'intenzione, la quale deve concorrere col rito a fare ciò che la Chiesa intende fare; e ciò collo scopo di provare e dimostrare agli anglicani che non solamente tale intenzione non vi fu, ma ve ne fu una del tutto contraria: quella cioè di non fare ciò che la Chiesa cattolica intende generalmente fare.

Quindi difetto di forma e di intenzione. Per la chiara intelligenza di cotesta non facile materia, ritengo sia necessario ricordare al lettore che nel rito di tutti i sacramenti vi sono due parti nettamente distinte: il cerimoniale, che può essere mutabile nel tempo ed è diverso a seconda delle varie Chiese, perché non è parte essenziale al compiersi del sacramento; un'altra parte, invece, è essenziale ed immutabile, costituita alla sua volta dai due elementi di materia e forma: la materia è la cosa sensibile di cui si fa uso per significare il sacramento, per esempio l'acqua nel battesimo, la forma consiste nelle parole colle quali si eleva la cosa sensibile alla funzione spirituale di segno pratico della grazia, e sono atte quindi a produrre un determinato effetto interiore e spirituale. Dice S. Agostino scultoriamente: «Si aggiunge la parola all'elemento (materiale) e ne nasce il sacramento».

Quindi è evidente che le parole sacramentali non devono esser vaghe e imprecise, ma devono avere un significato ben determinato, che, congiunto ad una data materia sensibile, costituisca un segno pratico e tangibile che il sacramento è compiuto; da ciò ne viene che ogni sacramento deve avere una forma tutta propria, ed anche una materia distinta e particolarmente opportuna.

Ora, nel sacramento dell'Ordine la materia, per costante tradizione da tutti accettata, anglicani compresi, sta nel fatto della imposizione delle mani, la quale viene impiegata in tutti e tre i gradi dell'Ordine: diaconato, presbiterato ed episcopato; perciò occorre che sia accompagnata da parole di differenziazione, significanti particolarmente il carisma donato e la potestà trasmessa, per cui la potestà conferita è piuttosto l'una che l'altra.

Quando tale determinazione non si verifica, sorge il difetto di forma, che è appunto la grave lacuna lamentata nell'«Ordinale» edoardiano, e ciò proprio contrariamente alle consuetudini di tutte le antiche liturgie sia latine che slave, paleoslave e delle altre Chiese autocefale d'Oriente.

In quanto al vizio d'intenzione, esso non è meno evidente, prescrivendosi dal Concilio di Trento che «se vi sia chi sostenga che nei ministri, nell'atto di conferire il sacramento, non sia necessaria l'intenzione di fare almeno ciò che la Chiesa intende di fare, sia anatema». Quindi l'intenzione è importantissima e gli stessi anglicani lo ammettono. La Chiesa poi la suppone senz'altro implicitamente nel ministro che faccia atti sacramentali, anche se egli ne è indegno e non si trovi in stato di grazia; donde la validità degli atti sacramentali nei ministri scismatici delle varie Chiese separate, che però abbiano conservata la successione apostolica.

Ma l'«Ordinale» edoardiano, scostandosi deliberatamente dal rito cattolico, fa uso di una forma incompleta e insolita, escludente la significazione cattolica, per cui il celebrante non può non essere conscio di non operare «almeno ciò che la Chiesa intende di fare».

Tutto ciò è poi aggravato dalle circostanze che accompagnarono la redazione dell'«Ordinale» e che precisano veramente quale fosse la mens dei riformatori: infatti i famosi «39 Articoli di Religione», carta fondamentale delle credenze della Chiesa stabilita, e che ogni ministro giura prima di accedere agli Ordini, sono espliciti. Dei sacramenti soltanto due sono ammessi: il Battesimo e la Cena; degli altri, la Confermazione seguitò ad essere praticata come una consuetudine ed un modo di immettere in un grado distinto del laicismo, il Matrimonio fu considerato come una benedizione nuziale, la Penitenza abolita del tutto e l'Estrema Unzione non altro che una pratica devozionale; e ciò col pretesto che gli uni originavano da una cattiva imitazione di atti compiuti dagli Apostoli, gli altri erano da considerarsi piuttosto stati di vita approvati nella Sacra Scrittura che sacramenti, onde in nessun modo potevano dirsi «istituiti da Dio», come il Battesimo e la Cena.

In quanto alla Messa, nessun anglicano può negare che nei «39 Articoli» si dichiari esplicitamente: «I sacrifici delle Messe, che si dicevano offerti dal sacerdote in remissione della pena o della colpa per i vivi o per i morti, sono finzioni blasfeme e perniciose imposture».

Quindi, fedele a tali premesse, l'«Ordinale» edoardiano aveva soppresso tutto ciò che potesse far supporre la realtà di tali «blasfeme imposture», come la consacrazione con i sacri olii, la consegna degli strumenti, e financo evitando i vocaboli di «sacerdozio, sacerdote, altare, sacrificio». Perciò è evidente che nella mente del riformatore non vi era affatto l'idea di fare dei veri sacerdoti mediante l'ordinazione, ridotta a mera cerimonia simbolica.

Gli anglicani di tutto ciò non potevano non essere convinti e consapevoli. Il vicario di Exton, infatti, nell'«Echo» scriveva proprio in quei giorni di così accese discussioni: «Noi non crediamo vi siano Ordini nel senso cattolico e consideriamo l'imposizione delle mani come una semplice e formale ammissione nel ministero di una denominazione qualunque. Nella Chiesa episcopale (anglicana) noi riceviamo l'ufficio di ministrare al popolo dall'ufficiale capo, il vescovo... Nella nostra Chiesa non esistono né vescovi, né sacerdoti, né sacrifici... Noi siamo soltanto ministri, come i nostri fratelli delle Chiese dissidenti (i protestanti)».

«Con la riforma - scrive un altro «clergyman» sul «The Rock» - i capi della Chiesa d'Inghilterra si separarono deliberatamente ed effettivamente dalla Chiesa di Roma, ripudiando il suo insegnamento sul sacerdozio e sull'episcopato, e perciò non ebbero mai, nell'ordinare, alcuna intenzione di conferire il sacerdozio, considerando il sacerdotalismo come ingiuria al sacerdozio di Cristo...».

E il vescovo anglicano di Liverpool, Dr. Ryle: «L'ecclesiastico della Chiesa romana è un vero prete, il cui principale ufficio è di offrire il sacrificio della Messa; per contro, l'ecclesiastico anglicano in nessun modo è prete: sebbene sia così chiamato, egli è soltanto un presbytero» (cioè un anziano).

L'arcidiacono di Liverpool, Dr. Taylor, aggiungeva: «È un fatto storico che dall'"Ordinale" del 1550 non solo fu esclusa per l'ordinazione la formula sacrificante "accipe potestatem offerre sacrificium", ma altresì ogni traccia dell'idea di sacrificio e di sacerdozio; è vero che vi è conservata la parola "prete", ma le funzioni e le manifestazioni proprie del prete sono svanite».

E tante altre ragioni profondamente liturgiche e sostanzialmente teologiche sarebbero da aggiungersi, se non esulassero dai limiti che ci siamo imposti e che del resto il lettore sollecito può facilmente trovare nella notissima lettera leoniana.
Non sono però da omettersi i giudizi e la pratica della Santa Sede all'epoca della Riforma, quando tanti elementi ora mal noti erano nel dominio di tutti e quindi facilmente sindacabili.

Tra le varie facoltà del Card. Polo, Legato di Giulio III, vi era quella di «riabilitare» o semplicemente di «abilitare» al sacro ministero gli ecclesiastici che lo avevano esercitato al tempo dello scisma di Enrico e dell'eresia di Edoardo; la riabilitazione riguardava soltanto coloro che, caduti nell'errore, erano però stati validamente ordinati; l'abilitazione invece serviva a quelli che non lo erano stati «per non essere stata osservata la consueta forma della Chiesa». Costoro, «se degni ed idonei», dovevano dai propri vescovi «essere promossi agli Ordini sacri e al presbiterato», cioè dovevano essere riordinati, perché considerati tuttora laici.

Un altro dato di fatto conferma tale modo di procedere. La regina Maria, nel 1555, aveva spedito a Paolo V un'ambasciata composta dal vescovo di Thirbly e da due gentiluomini per appianare tutte le divergenze in corso e domandare la «conferma della dispensa per le ordinazioni e le promozioni di ecclesiastici, sia secolari che regolari, i quali, durante lo scisma, le avevano ottenute con nullità (cioè invalidamente)». Segno, essere notoria in quel tempo la posizione di tali presunti ecclesiastici. Difatti nell'Archivio Vaticano esistono tuttora le relazioni comprovanti che in quell'occasione l'ambasciatore aveva sottoposto l'«Ordinale» all'esame della Santa Sede, appunto a prova della necessità di tale dispensa.

Fu infatti in base alle concessioni romane che la regina dispose testualmente: «In quanto a coloro che già furono promossi a qualche Ordine secondo il modo di ordinare novellamente fabbricato, considerando che veramente e di fatto non furono ordinati, il vescovo diocesano, se idonei e capaci, può sopperire a ciò che ad essi è mancato prima». Alla sua volta il Cardinale Polo, appena giunto in Inghilterra, aveva decretato che coloro i quali «male Ordines susceperunt» venissero riordinati, perché «non servata forma et intentione Ecclesiae», e Paolo IV alla sua volta conferma tutte le decisioni del suo Legato, facendo propri gli stessi decreti del grande Cardinale.

Senonché, giunta la bolla di Paolo IV e pubblicatala in Inghilterra il 22 settembre 1555, sorse ancora un dubbio sui vescovi scismatici, e quindi se costoro dovessero ritenersi «rite et recte ordinati». Ma a tale dubbio il Papa stesso, con suo breve del 20 ottobre, rispose nettamente che «soltanto quei vescovi e arcivescovi ordinati e consacrati non secondo la forma della Chiesa, non possono essere considerati rettamente e validamente ordinati».

Inoltre, dell'attività del Card. Polo in quel senso la documentazione è amplissima, anche in una sua lettera ai sovrani inglesi del 24 dicembre 1557, in cui egli annunzia di aver già dispensato e di essere disposto a dispensare ancora coloro i quali per difetto di giurisdizione (cioè per causa della supremazia regale, come origine di potere) avevano ottenuti Ordini e benefici con nullità; in altra lettera al vescovo di Norwich del 29 gennaio 1555, insieme con altre facoltà, elargisce a quel vescovo anche quella di accettare le ordinazioni degli ecclesiastici già ordinati da vescovi scismatici, purché avvenute secondo il rito cattolico, cioè «Ecclesiae forma et intentione servata»; che invece gli ordinati secondo l'«Ordinale» dovessero considerarsi nulli e quindi gli ecclesiastici in parola doversi riordinare.

Ma quale fosse la mente della Santa Sede in quei frangenti e in quegli anni appare non meno esplicita dalle domande alle quali gli ecclesiastici erano tenuti a rispondere, tra le altre, per essere riabilitati o abilitati, se cioè fossero stati ordinati otto anni prima, in quanto avanti il 1547, vigendo il Pontificale Romano, nessun dubbio potea esservi sulla validità delle ordinazioni.

La regina Maria seguì fedelmente le disposizioni apostoliche, dimettendo dalle loro sedi tutti i vescovi ordinati col rituale edoardiano e ciò con regolare processo di cui esistono tuttora gli atti. Del Dr. Taylor per esempio si legge «privato per nullità di consacrazione», e di Harley «deposto per matrimonio, eresia e nullità di consacrazione», ecc.

A tutte coteste prove della continuità di indirizzo seguita dalla corte romana si può aggiungere che fin dal principio furono riordinati ex novo, quasi fossero laici, quei vescovi e sacerdoti che tornavano dall'anglicanesimo alla fede romana e desideravano entrare negli Ordini sacri. Di tali casi soltanto dal 1555 al 1558 ben 14 vengono ricordati dai registri episcopali inglesi di quel tempo, senza calcolare quelli numerosi avvenuti fuori, in Francia, nelle Fiandre e in Roma stessa.

Quindi la Lettera leoniana non lasciava nessun punto controverso, e la documentazione ne era amplissima; ed infatti l'eco da essa suscitata in Inghilterra fu enorme."
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Non si riesce a comprendere perchè nel sito dedicato agli Insegnanti della Religione Cattolica della Curia Arcivescovile di Palermo siano state scritte delle cose che, per la loro stessa natura, sono facilmente confutabili sia dal punto di vista storico che teologico.
In particolar modo questa frase è completamente contrasta con le verità di fede della Santa Chiesa Cattolica :
"Solo perché la Chiesa Anglicana nel 1533 cessò di obbedire al Papa in Roma questo non implicava che l’autorità dei vescovi scomparisse. Così negli anni che seguirono, questi uomini scelsero nuovi uomini e li ordinarono quali vescovi allo stesso modo di sempre.
La successione apostolica continua anche oggi. 
 
Ogni vescovo nella Comunione Anglicana in ogni parte del mondo è stato ordinato da altri vescovi, ed ha ricevuto il dono speciale dell’autorità dallo Spirito Santo.
Anche altre Chiese continuano la successione apostolica, quali la Chiesa Cattolica Romana e le Chiese Ortodosse in Grecia, Europa orientale e Russia. 
(Sottolineatura nostra N.d.R)

la Professoressa che scrive sull'IRC di Palermo ne sarà a conoscenza?
* Cos'è l'IRC? ( QUI tutta la scheda )
L'Insegnamento della Religione Cattolica è una disciplina scolastica a tutti gli effetti. Non è mossa da finalità catechistiche, ma si qualifica come proposta culturale offerta a tutti, credenti e non.In tal senso, pur essendo indirizzata in particolare ai credenti, si propone come insegnamento che va oltre le personali scelte di fede, essendo prioritaria la sua vocazione culturale: decidere di avvalersi dell'Insegnamento della Religione Cattolica per un ragazzo non significa dichiararsi cattolico, ma piuttosto scegliere una disciplina scolastica che si ritiene abbia un valore per la crescita della persona e la comprensione della realtà in cui siamo inseriti.

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