ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 11 luglio 2015

Sana prudenza ecclesiale?

Il Papa lascia in Bolivia il crocifisso con falce e martello

Con una scusa Bergoglio ha deciso di non portare in Vaticano il crocifisso intagliato su falce e martello donatogli da Evo Morales


Ora, però, si scopre che il pontefice, con una scusa memorabile, si è disfatto dell'ingombrante manufatto. Così come del medaglione che lo raffigura intitolata al gesuita martire Luis Espinal, assassinato negli anni Ottanta dalla dittatura militare.
Dopo la messa privata a Santa Cruz, papa Bergoglio in mattinata ha "consegnato" le onorificenze alla Madonna protettrice della Bolivia. Così ha precisato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. In un breve discorso, il Papa ha fatto sapere di apprezzato il "gesto di delicatezza" del presidente di offrirgli le due onorificenze, dedicate una al Condor come simbolo della Nazione e l’altra al gesuita.
Ma a fornire ulteriori dettagli su quella che resterà una delle immagini simbolo della visita del Papa in Bolivia è stato lo stesso Morales. La croce, ha spiegato, non è "una mia invenzione", ma riproduce un "disegno del gesuita martire dei poveri Espinal", ha sottolineato alla Cnn in spagnolo. Quando gli hanno chiesto se non temeva di mettere il Papa in una posizione "scomoda" Morales ha risposto ricordando che Bergoglio è oggi "il primo politico del mondo" su fronti quali "la giustizia, la pace con giustizia sociale, la dignità. Quando l’ho conosciuto, ho subito pensato ora sì ho un Papa". Insomma, Morales ribadisce di sentirsi particolarmente vicino al Santo padre. E aggiunge la sua prossima idea: "Ne faremo una medaglia da consegnare a uomini e donne che promuovono la fede religiosa per la liberazione dei popoli".
Scelta che è stata d’altra parte accompagnata da commenti, critiche e analisi sui media e sui social network, non solo a La Paz. Nella Buenos Aires di Bergoglio oggi alcuni giornali hanno per esempio intitolato "il crocifisso della polemica".

Ad approfondire l’origine del crocefisso è stato poi il sito boliviano Oxigeno.Bo, che ha intervistato Xabier Albò, "amico di Espinal, ricercatore, tra i gesuiti più noti nel paese". È proprio lui a conservare infatti la croce originale, le cui misure sono di 40 e 50 centimetri: quella consegnata da Morales al Papa - precisa - è infatti una replica. Commentando il significato della croce, lo studioso taglia corto: "In alcun modo Espinal era comunista, la sua è stata invece una scommessa per il dialogo tra marxisti e cristiani, tra operai minatori e cristiani. Io ho ereditato il crocefisso e non penso consegnarlo a nessuno", aggiunge, ricordando che il ministro degli esteri boliviano, David Choquehuanca, glielo aveva chiesto proprio in occasione dell’arrivo del Papa. Alla domanda su chi ha quindi fatto la replica, Albò risponde: "Il noto artista Gaston Ugalde, che è venuto da me per fotografare l’originale e poi fare appunto la copia".

 - Sab, 11/07/2015

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/papa-lascia-bolivia-crocifisso-falce-e-martello-1150713.html

Socci: Bergoglio ha crocifisso Cristo un'altra volta

Immerso nella babele carnevalesca delle piazze e dei regimi sudamericani, papa Bergoglio appare a suo agio e il suo personaggio, calato in quel clima, diventa più decifrabile.  La grottesca divinizzazione che ne hanno fatto in Ecuador, dove si vendevano souvenir che lo raffiguravano al posto di Cristo (ma l’adulazione e la papolatria dei media e delle sacrestie nostrane non è poi molto inferiore) ha fatto da cornice a discorsi che somigliano a comizi peronisti, con poco di soprannaturale.
Ieri poi, arrivato in Bolivia, Evo Morales, presidente socialista della Bolivia, ha accolto il "fratello Papa" dandogli in dono il simbolo della falce e martello su cui era raffigurato Cristo crocifisso. La stessa blasfema raffigurazione campeggiava pure sulla medaglia che ha messo al collo del papa argentino. L’episodio è scandaloso perché proprio sotto l’insegna della falce e martello e in nome di quello che essa rappresentava, nell’ultimo secolo, è stata perpetrata la più immane mattanza di cristiani della storia della Chiesa: le vittime si contano in molti milioni.
È quello il simbolo di un’ideologia anticristiana e addirittura anticristica che aveva come scopo esplicito la totale cancellazione di Dio dalla terra. E ha costruito un inferno planetario per riuscirci. Dunque regalare al papa una roba simile, oltraggiosa per i martiri cristiani e sacrilega in riferimento alla figura di Cristo, è inaccettabile. È sconcertante che papa Bergoglio abbia accettato l’omaggio senza obiettare, anzi sorridendo compiacente.  C’è chi sostiene che Morales è stato inopportuno e ha messo in difficoltà il papa, ma non pare proprio che le cose stiano così. Anzitutto mi sembra ovvio supporre che i cerimoniali siano concordati, quindi dubito che quel dono abbia colto di sorpresa il Vaticano (ove non vi fosse l’accordo preventivo ci sarebbe da preoccuparsi ancor di più perché vorrebbe dire che il papa è esposto all’affronto di qualunque demagogo).
L’orrore al collo - In secondo luogo è significativo che un capo di Stato, sia pure da socialismo surreale, come Morales, ritenga di regalare un simile orrore a papa Bergoglio e a nessuno invece sia venuto in mente di regalarlo a Giovanni Paolo II o a Benedetto XVI (per esempio durante i viaggi a Cuba). Evidentemente si è ritenuto che quell’oggetto - che di per sé potrebbe simboleggiare benissimo la teologia della liberazione e il cattocomunismo di ogni latitudine (con Cristo crocifisso come «metafora» dei poveri) - sarebbe stato gradito o apprezzato dal papa argentino.  Morales infatti non aveva l’atteggiamento del provocatore, ma dell’estimatore di Bergoglio, che ha lodato continuamente come "papa dei poveri".
Infine, come ho detto, Bergoglio ha sorriso compiacente alla spiegazione dei simboli e ha portato al collo l’oscena raffigurazione. Avrebbe fatto lo stesso se gli fosse stato data in dono una ripugnante svastica con sopra rappresentato un «Cristo ariano»? Io credo (e spero) proprio di no. Dunque perché la “falce e martello” sì?  A chi scioccamente dovesse argomentare che il comunismo ormai è cosa passata va detto che anche la svastica è cosa del passato, ma nessuno vorrebbe portarla al collo. I crimini di comunismo e nazismo non si possono dimenticare. Ma soprattutto va fatto presente che sotto i regimi della «falce e martello» tuttora, nel presente, i cristiani sono perseguitati e massacrati e non si tratta di casi trascurabili dal momento che solo la Cina conta un miliardo e 300 milioni di abitanti. Mentre la Corea del Nord per ferocia è al livello della Cambogia di Pol Pot. Del resto tra i doni del socialista surreale Morales al papa ce n’è pure un altro, altrettanto imbarazzante. Quando Bergoglio è sceso dalla scaletta dell’aereo, Morales gli ha messo al collo la tradizionale chupsa, il contenitore per le foglie di coca che si usa nei paesi andini.
Il sito Dagospia, che ha il bernoccolo del trash, ha giustamente commentato: "Mancava solo la maglietta di Che Guevara e un ’bong’ di Bob Marley". Ma il caso è tragicomico. Perché i paesi andini, Perù, Bolivia e Colombia, sono i maggiori produttori di coca nel mondo. E Morales, che è tuttora capo di un sindacato dei coltivatori di coca, ha fatto della legalizzazione della coca la sua principale battaglia politica internazionale. "Limes" iniziava così un articolo a lui dedicato: "’Viva la coca, morte agli yankee!’, ha gridato Evo Morales lunedì 14 gennaio (2013), festeggiando la vittoria ottenuta all’Onu, nella sua battaglia per la legalizzazione della coca".
Le foglie di coca - Dunque c’era proprio bisogno che il papa portasse disinvoltamente al collo quell’emblematico contenitore? Non ha pensato che la sua figura veniva strumentalizzata da Morales per una battaglia del tutto discutibile, anzi esecrabile? Non è devastante degradare a tal punto la figura del papa? Sembra che Bergoglio non ami proprio esercitare la virtù della prudenza. Nei giorni scorsi aveva fatto scalpore la notizia, data dallo stesso governo boliviano, secondo cui il papa intendeva masticare foglie di coca arrivando in Bolivia.
Non si sa se l’abbia fatto, ma in ogni caso il Vescovo di Roma ha portato senza imbarazzi la chupsa che Morales gli ha messo al collo. Oltretutto fino al momento in cui scrivo non risulta che Bergoglio abbia tuonato contro il sistema economico di quei paesi che fanno della coltivazione della coca una delle principali fonti di reddito. Vedremo. C’è però da dubitare che lo faccia visto che finora ha fatto discorsi di apprezzamento del regime boliviano di Morales, affermando che la Bolivia è sulla strada giusta. Si legge testualmente su Repubblica: "Forte appoggio del papa appena giunto a La Paz al cammino di inclusione sociale della Bolivia… Forte sintonia e calore con il presidente Evo Morales". In compenso Bergoglio ha tuonato contro chi costruisce muri ("Bisogna costruire ponti piuttosto che erigere muri"). Secondo alcuni osservatori ce l’aveva con Israele e con l’Ungheria (per le barriere con cui proteggono le proprie frontiere). Non avrebbe fatto meglio, in quel luogo, a tuonare contro chi coltiva e smercia coca?
Chiesa in abbandono - Con Bergoglio di sana prudenza ecclesiale non c’è traccia, di ardore per le scomode verità nemmeno. E - se è permessa una battuta - è la stessa fede cattolica che va in "fumo". Il viaggio di Bergoglio in Sudamerica fa capire perché, proprio in quel continente un tempo cattolicissimo, la Chiesa, negli ultimi decenni, è in caduta libera, con un crollo statistico di appartenenza che non ha eguali al mondo. Dove i preti e i vescovi fanno i sindacalisti e i demagoghi, le persone non provano più nessuna attrattiva per la fede. Se i discorsi che fanno gli ecclesiastici somigliano a quelli di Evo Morales perché andare ancora in Chiesa? È per questo che, nei popoli di quel continente, la domanda religiosa e l’attrattiva del soprannaturale si è convogliata su altre forme di religiosità e tantissimi stanno abbandonando la Chiesa Cattolica.  Ora Bergoglio sta applicando la rovinosa ricetta, già sperimentata in America Latina, anche alla Chiesa universale. In modo da fare gli stessi disastri. Così lascerà un panorama di rovine fumanti, ma con tanti applausi da parte dei nemici di sempre della Chiesa, da parte dei vari Morales e dei coltivatori di coca.
di Antonio Socci
http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11809376/Socci--Bergoglio-ha-crocifisso-Cristo.html


COMPAGNO PONTEFICE – L’ENTOURAGE PAPALE È STATO PRESO TOTALMENTE ALLA SPROVVISTA DAL CROCEFISSO CON FALCE E MARTELLO REGALATO DA MORALES – MA BERGOGLIO NON SI È SMENTITO È HA FATTO UNA LUNGA TIRATA CONTRO LA POVERTÀ E PER L’”EQUA DISTRIBUZIONE”

E’ facile immaginare che il bizzarro dono del presidente colombiano finirà in qualche scantinato vaticano, non essendo esattamente un capolavoro del Bernini. Morales è stato però assai furbo a unire in unico oggetto le due grandi matrici della sua nazione e farne uno spot planetario per sé…

1.“POVERTÀ,IL SISTEMA NON REGGE PIÙ”
Marco Ansaldo per “la Repubblica”

«Ecco, Santitad, i miei regali». Il presidente boliviano Evo Morales infila attorno al collo del Pontefice una collana. È un medaglione con impresso a sbalzo il simbolo della falce e martello. Jorge Bergoglio se ne accorge solo quando l’ha indosso. Non sa che faccia fare. Abbozza un sorriso stirato. «E poi c’è questo».
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Da un tavolino alla sua destra, il leader delle nuova Bolivia afferra un crocifisso in bronzo, steso sulla testa di un martello, le gambe che appoggiano su una falce. «È un’onorificenza che ricorda il sacrificio di padre Luis Espinal», aggiunge. È il gesuita sul cui luogo del martirio Francesco si è appena fermato, nella discesa che dai 4000 metri dell’aeroporto di El Alto piomba fino a La Paz, per pregare per il sacerdote difensore dei minatori torturato qui a morte nel 1980 dal regime militare.

Il Papa è incredulo. «Questo non lo sapevo» fa in tempo a mormorare. Non puo’ proprio dire nulla. Ma l’uno-due messo a segno dall’astutissimo Morales è un colpo immortalato dai flash di una foto che fa il giro del mondo: il Papa che indossa il simbolo del comunismo e prende nelle sue mani falce, martello e Cristo. Qui al Palazzo presidenziale di La Paz, con la folla nella Cattedrale che rumoreggia e addirittura fischia quando il leader allunga al Pontefice pure un suo libro, basta vedere la faccia del Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin per capire gli umori dell’entourage papale, preso del tutto alla sprovvista dalla mossa del presidente.

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 Titola difatti El Deber , quotidiano di Santa Cruz dove Francesco subito dopo va a dire messa accolto da 2 milioni di boliviani: «Un regalo che ha sorpreso il Paese, contro tutti i pronostici». Nemmeno il nunzio in Bolivia, come i diplomatici vaticani appurano, conosceva il regalo a sorpresa di Morales. Per non contare del suo discorso dal sapore internazionalista, e del pugno chiuso alzato a fianco del Papa mentre suonano gli inni.

Maèai cartoneros , ai “frugatori tra le cose”, e ai movimenti popolari che Francesco fa un lungo, articolato discorso, quando in Italia è ormai notte. Questo: «Iniziamo riconoscendo che abbiamo bisogno di un cambiamento ». Parla di «problemi comuni» non solo a tutti i latino-americani, il Papa, ma «a tutta l’umanità», problemi che hanno una «matrice globale e che oggi nessuno Stato e`in grado di risolvere da solo».
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Parla poi di «contadini senza terra, molte famiglie senza casa, lavoratori senza diritti, persone ferite nella loro dignità», ricorda le guerre insensate e la violenza fratricida che aumenta nei nostri quartieri». Infine l’affondo: «E allora diciamolo senza timore: abbiamo bisogno e vogliamo un cambiamento. Non si tratta di problemi isolati. Se è`cosi, insisto, diciamolo senza timore: noi vogliamo un cambiamento, un vero cambiamento, un cambiamento delle strutture. Questo sistema non regge più, non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi ... E non lo sopporta piu`la Terra, la sorella Madre Terra, come diceva san Francesco.

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Vogliamo un cambiamento nella nostra vita, nei nostri quartieri, nel salario minimo, nella nostra realta` piu`vicina; e pure un cambiamento che tocchi tutto il mondo. Mettere l’economia al servizio dei popoli, un’economia veramente comunitaria, di ispirazione cristiana. L’equa distribuzione è un dovere morale. Per i cristiani, l’impegno e`ancora piu`forte: è`un comandamento. Si tratta di restituire ai poveri e ai popoli cio`che appartiene a loro».


2. LA PROVOCAZIONE DEL LEADER INDIO UN REGALO DI STATO “COMUNISTA”
Vittorio Zucconi  per “la Repubblica

Sarebbe piaciuto più a Karol Wojtyla che a Jorge Bergoglio, nella ovvia contraddizione simbolica, quel Cristo crocifisso alla falce e martello dalla quale il Papa polacco lottò con successo per schiodarlo nell’Est dell’Europa. Ma il regalo del presidente boliviano Evo Morales a Papa Francesco raggiunge comunque il podio dei doni più bizzarri scambiati fra capi di Stato e leader politici.

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Non è ancora dato sapere in quale degli infiniti forzieri e archivi e cripte e nicchie di tesori in Vaticano sarà riposto l’oggetto donato da un uomo politico che inaugurò il proprio trionfale mandato secolarizzando la Bolivia, accusando la Chiesa di collaborazionismo nello sfruttamento, ridimensionando il potere dei vescovi e cacciando proprio crocifisso e Vangelo dall’uffico, come già il Cristo con i mercanti dal Tempio.

Tra Deposizioni, martiri torturati del potere temporale del momento, Madonne e Bambini, Pietà, crocifissioni canoniche, il reclutamento del Figlio di Maria di Nazareth nella lotta di classe e nella ideologia del Materialismo Dialettico marxiano potrebbe risultare azzardata.

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Ma nel nome della battaglia comune contro la miseria e lo sfruttamento, evocata costantemente anche dal Capo della Chiesa pur senza arrivare ai Soviet, all’elettrificazione e ai Piani Quinquennali, anche la provocatoria e greve allegoria in legno massiccio dell’ “Indio”, ossia di Morales, non è più bizzarra di altri omaggi di Stato che negli anni leader e governanti si sono scambiati.

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Dalla sella incrostata di pietre preziose e duunque intulizzabili senza acuti dolori in parte delicate che il presidente algerino Chadil Benjedid regalò a Reagan, alle Cadillac che segretamente la Casa Bianca spediva a Breznev per arricchire la sua collezione di supercar, i depositi e gli archivi della nazioni traboccano di paccottiglia più o meno sontuosa da tempo dimenticata. Cose che al momento parevano astute allusioni ideologiche, come il Cristomarxiano di Morales o semplici scherzi, come le due enormi patate dell’Idaho portate a Vladimir Putin dal Segretario di Stato John Kerry, perdono il loro significato nel tempo, si accastano impolverandosi.

Evo Morales, campione delle 36 diverse popolazioni che hanno sofferto, e soffrono, la sottomissione al potere coloniale e alle vere caste che spremono da secoli gli Indio, doveva trovare una forma di sintesi mistica alla dialettica fra la propria vocazione tardocomunista e la nuova teologia della liberazione portata a San Pietro dal vescovo argentino. Un gesuita, che appartiene allo stesso ordine di padre Luis Espinal, «ucciso da coloro che non potevano sopportare il messaggio evangelico che lui diffondeva», come ha detto Francesco.

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L’ha trovata in un encomiabile sforzo di immaginazione lignea, forse non riuscitissimo esteticamente e destinato a un ruolo marginale fra opere di Michelangelo o di Bernini, dove la metafora del Cristo martirizzato sulla falce e martello si presta a contraddittorie letture, ma sicuramente meno crudele del cammello che il governo del Mali offrì al presidente Hollande per ringraziarlo dell’aiuto nella lotta all’islamismo violento. Gesto che finì malissimo per il povero animale rispedito, dopo numerose prove di incompatibilità con il palazzo dell’Eliseo, a una famiglia maliana che procedette, non avendo altra sistemazione e probabilmente avendo invece molta fame, a trasformarlo in un succulento stufato. 

Lo sguardo allibito, ma garbato, del Papa che si richiama a San Francesco davanti a un artefatto che agli italiani meno giovani avrà ricordato Don Camillo e Peppone e ai più giovani gli stereotipi sul cattocomunismo, ha segnalato una misericordia e una comprensione che i critici darte e i curatori dei Musei Vaticani difficilmente avranno, per l’oggetto. Ma un politico come Morales, incastrato fra il populismo che lo ha trionfalmente eletto e il 78 per cento della popolazione che ancora si proclama parte della Chiesa di Roma, altro non avrebbe potuto fare, per sposare gli estremi culturali e umani della propria nazione.
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Il sincretismo religioso e la mescolanza di sacro e profano sono ovunque il segno più profondo della spiritualità nel Centro e nel Sud America, fra teologie della Liberazione, vescovi d’assalto come l’Helder Camara di Recife, preti guerriglieri e prodotti dei collegi dei Gesuiti come Fidel Castro.

Nei loro viaggi e visite nelle cattedrali neocoloniali dell’America ispanica, i Papi, come Giovanni Paolo II a Cuba, fingono di non sapere quali culti esoterici e fedi popolari si nascondano dietro Madonne e Santi apparentamente ortodossi. La crocifissione del Cristo a quella falce e martello che aveva proclamato nella propria dottrina ufficiale non soltanto l’ateismo ma la persecuzione contro la religione, non è in fondo più empia dei culti per i serpenti, le divinità e gli dei del mare nascosti dietro i simboli del cattolicesimo a galla tra Santeria e Catechismo. Non soltanto la religione non è più l’oppio dei popoli per il neo marxismo andino alla Morales. Può essere addirittura stimolante, come una manciata di foglie di coca.


CROCE SENZA DELIZIA - CON LA SCUSA DI “AFFIDARE” ALLA VERGINE DI COPACABANA TUTTE LE “ONOREFICENZE” RICEVUTE, BERGOGLIO LASCIA IN BOLIVIA IL CROCIFISSO INTAGLIATO SU FALCE E MARTELLO REGALATOGLI DA EVO MORALES

Prima di decollare per il Paraguay, Francesco ha incontrato i detenuti nel penitenziario Palmasola, più di 5 mila reclusi in autogestione, una delle carceri più pericolose dell’America Latina: “Davanti a voi c’è un uomo perdonato, che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati”…

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Il canto all’aeroporto dei bimbi Guaranì, composizioni settecentesche di padre Domenico Zipoli, l’oboe di Morricone dal film Mission. Francesco arriva in Para-guay accolto dalle note delle redducctiones dei confratelli gesuiti che nel 1767 pagarono con l’espulsione la difesa degli indios.

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E lascia la Bolivia con una mossa geniale: prima di congedarsi, nella cappella della residenza del vescovo di Santa Cruz, ha affidato alla Vergine di Copacabana, patrona del Paese, le «onorificenze» che gli erano state date dal presidente Morales, compreso il medaglione che riproduceva il crocifisso intagliato in una falce e martello. Che ci pensi la Madonna, con buona pace delle polemiche.

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Prima di decollare per Asunción, Francesco ha incontrato i detenuti nel penitenziario Palmasola, più di 5 mila reclusi in autogestione, una delle carceri più pericolose dell’America Latina: «Davanti a voi c’è un uomo perdonato, che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati». Il Papa arriva in Pa-raguay all’indomani del mea culpa per i «molti e gravi peccati commessi contro i po-poli originari dell’America Latina in nome di Dio». Richiesta di perdono con un’aggiunta significativa. Il Papa gesuita invita a ricorda-re le «migliaia di sacerdoti, suore, vescovi» che «si opposero alla logica della spada con la forza della Croce».

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