Finanze vaticane. Chi accelera e chi frena
Il cardinale australiano George Pell è l'uomo chiave del nuovo corso. Ma la contraerea della vecchia curia non gli dà tregua. Le titubanze di papa Francesco
ROMA, 24 luglio 2015 – "È come paragonare la guardia svizzera pontificia con le forze armate di una grande potenza", ha detto qualche settimana fa il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, a proposito dello IOR, Istituto per le Opere di Religione, la mitica similbanca vaticana.
I suoi 4,2 miliardi di euro di attivo – ha spiegato paziente – sono appena un millesimo dell'attivo di tutte le banche italiane, e sono ben lontani anche da quel tetto di 9 miliardi sotto il quale la Banca d'Italia classifica come "piccola" una banca..
Ma per piccino che sia, allo IOR papa Francesco tiene moltissimo. Vuole che sia un esempio di virtù per tutte le amministrazioni della Chiesa. Pulito, al risparmio, quasi penitenziale.
Il maggio scorso l'attuale board dello IOR, con a capo il francese Jean-Baptiste de Franssu, voleva dotarsi di una SICAV, una società d'investimento a capitale variabile, con sede nel Lussemburgo, per mettere a frutto i denari di cui dispone. Tra i cardinali del consiglio di vigilanza, di cui anche Parolin fa parte, qualcuno sollevò obiezioni e la decisione finì sul tavolo del papa. Il quale l'ha bocciata. Perché a Francesco non piace l'idea di una "investment bank" con la Chiesa di mezzo.
Jorge Mario Bergoglio ha ancora la memoria fresca dei disastri di certe diocesi della sua Argentina, al cui soccorso egli dovette chiamare proprio lo IOR. E istintivamente diffida delle avventure finanziarie di tanti ordini religiosi, anche le più nobilmente motivate.
L'ultima in Brasile, dove i missionari oblati di Maria Immacolata hanno investito 7 milioni di dollari in un fondo che destinerà parte dei profitti alla costruzione di scuole e ambulatori in aree depresse. L'esito lo si vedrà. Perché anche i frati minori francescani, teoricamente l'emblema di una "Chiesa povera per i poveri", hanno fatto negli anni scorsi investimenti analoghi, anzi, molto più grossi, mobiliari e immobiliari, al fine di soccorrere bambini di strada e malati di AIDS. E sonno finiti sull'orlo della bancarotta, con le dimissioni del frate economo e la sostituzione del superiore generale, José Rodríguez Carballo, pur stimato e premiato da papa Francesco, che l'ha chiamato vicino a sé in curia come segretario della congregazione per i religiosi.
In Italia l'8 per mille della tassazione generale, devoluto alla Chiesa sulla base delle firme dei contribuenti per un ammontare annuo di circa un miliardo di euro, è gestito a livello centrale sotto il doppio controllo dello Chiesa e dello Stato.
Un terzo del miliardo va alla remunerazione dei sacerdoti, il cui compenso è fermo da anni tra un minimo di 900 e un massimo di 1300 euro lordi al mese, a seconda dell'età e delle mansioni. Più di un quarto va alle opere di carità, come di recente per i terremotati del Nepal: 3 milioni di euro a fronte dei miserevoli 22 milioni elargiti dal resto del mondo. Un'altra somma ancora va ai tribunali ecclesiastici regionali, per consentire la quasi gratuità dei processi di nullità matrimoniale. E così via.
Ma tutto questo avviene a livello centrale. Nelle singole diocesi la sana amministrazione è un'incognita. Nella diocesi di Terni, ad esempio, per coprire la metà dei 25 milioni di ammanco lasciati dal suo penultimo vescovo, l'attuale presidente del pontificio consiglio per la famiglia Vincenzo Paglia, ha dovuto svenarsi lo IOR.
In Vaticano, l'ambito amministrativo e finanziario è l'unico nel quale la tanto conclamata riforma della curia ha fatto dei passi avanti, con l'energico cardinale George Pell in posizione preminente, chiamato dall'Australia da papa Francesco per ricoprire il ruolo di prefetto della neonata segreteria per l'economia.
Ma prima ancora che Pell atterrasse a Roma la contraerea della vecchia curia aveva già aperto il fuoco. E non gli ha più dato tregua. Anche rivangando contro di lui vecchie indimostrate accuse d'aver "coperto" degli abusi sessuali compiuti nella sua diocesi.
Il suo progetto di concentrare in un unico Vatican Asset Management non solo il controllo ma anche la titolarità di tutti i beni finanziari e immobiliari dei vari istituti curiali ha incontrato una generale ripulsa ed è presto naufragato.
È caduta anche l'idea più circoscritta di separare nello IOR le attività di servizio da quelle di investimento. Lo stesso Francesco, titubante, ha tirato il freno.
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Questa nota è uscita su "L'Espresso" n. 30 del 2015, in edicola dal 24 luglio, nella pagina d'opinione dal titolo "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.
Ecco l'indice di tutte le precedenti note:
> "L'Espresso" al settimo cielo
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A proposito degli attacchi al cardinale Pell, prefetto della segreteria per l'economia, va notato che essi non provengono solo dall'apparato della vecchia curia, ma anche da circoli arrembanti di più recente formazione, che attorniano papa Francesco e si fanno forti di lui:
> Ma sopra Pell c'è uno "zar" più potente di lui
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Il bilancio consolidato della Santa Sede relativo al 2014, con un deficit di 25 milioni 621 mila euro, e quello del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, con un avanzo di 63 milioni 519 mila euro, sono stati presentati dal cardinale Pell lo scorso 14 luglio al consiglio per l'economia.
I dati essenziali sono riassunti in questo comunicato, diramato il 16 luglio in italiano e in inglese:
> Bilanci consuntivi…
di Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351100
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