Antonelli: ostia ai divorziati risposati se casti
Per l'ex ministro vaticano della Famiglia si può migliorare la prassi vigente che ora nega la comunione a chi è unito in seconde nozze. Di riammissioni ai sacramenti discuterà il Sinodo ad ottobre
Ostia ai divorziati risposati se casti. Intervenendo nel dibattito ecclesiale in vista del Sinodo di ottobre sulla famiglia, il cardinale Ennio Antonelli definisce “perfettibile” la prassi vigente che ora nega la comunione a chi è unito in seconde nozze. Nel libro «Crisi del matrimonio ed eucarestia» (Edizioni Ares, con prefazione del cardinale Elio Sgreccia), l’ex presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia ed ex arcivescovo di Firenze sostiene che la concessione dell'eucarestia ai divorziati risposati si può anche prendere in considerazione, ma solo in situazioni particolari e a una condizione specifica: «la perfetta continenza sessuale», o almeno l'impegno «a vivere come fratello e sorella». Soltanto in presenza di questo si può chiudere un occhio di fronte a qualche «ricaduta».
Antonelli, legato al movimento dei Focolarini, si è laureato in lettere classiche all'Università di Perugia, ha insegnato per alcuni anni Lettere e Storia dell'arte nel liceo classico e nell'istituto d'arte. Dal 1968 al 1983 è stato docente di Teologia dogmatica all'istituto teologico di Assisi e ha insegnato nelle scuole di formazione teologica in varie diocesi dell'Umbria. Come segretario generale della Cei è stato a lungo il braccio destro del leader dell’episcopato, Camillo Ruini. Nell’ultima parte del pontificato di Karol Wojtyla, si è dedicato soprattutto alla preparazione degli Orientamenti Pastorali decennali della Chiesa italiana, in sintonia con le indicazioni date da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica “Novo Millennio Ineunte”.
Secondo il cardinale Antonelli «le unioni illegittime dei divorziati risposati e dei conviventi sono fatti pubblici e manifesti. La Chiesa le disapprova come situazioni oggettive di peccato. Se le approvasse quasi fossero il bene che al momento è possibile per essi, devierebbe dalla legge della gradualità alla gradualità della legge, condannata da san Giovanni Paolo II». Inoltre «un deciso cambiamento pastorale è fortemente caldeggiato dai media; è largamente atteso dall'opinione pubblica e anche da molti cattolici, laici e chierici», ammette l'ex arcivescovo di Firenze ed ex presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, ricordando che «il cambiamento pastorale è ispirato dal desiderio di rendere la Chiesa più accogliente e attraente verso tante persone ferite dalla crisi del matrimonio, largamente diffusa nella società contemporanea».
E «poiché le unioni illegittime sono fatti pubblici e manifesti, la Chiesa non può neppure trincerarsi nel silenzio e nella tolleranza. È costretta a intervenire per disapprovare apertamente tali situazioni oggettive di peccato», sottolinea il porporato.
Tuttavia, riconosce Antonelli, «è possibile che i conviventi soggettivamente non siano pienamente responsabili, a motivo dei condizionamenti esistenziali e culturali, psichici e sociali». È possibile perfino «che siano in grazia di Dio e abbiano le disposizioni interiori necessarie per ricevere l'Eucaristia». Tutto questo però «non si può presumere; deve essere verificato con un attento discernimento secondo la legge della gradualità».
Insomma, «bisogna discernere se i conviventi sono davvero decisi a salire verso la vetta della montagna, che per essi è la perfetta continenza sessuale». E «solo se c'è questo impegno sincero di conversione, eventuali passi falsi, eventuali ricadute nei rapporti sessuali possono comportare una responsabilità attenuata». E “quando nella Chiesa sotto la guida dei pastori si legge e si interpreta correttamente la Sacra Scrittura, il Cristo risorto rivolge ancora la sua parola agli uomini, una parola viva, carica della forza dello Spirito Santo”. Insomma, “non insegna solo una dottrina, ma realizza un incontro e un evento di grazia: suscita la fede, rigenera chi ascolta e lo fa passare dalla morte alla vita, raduna il popolo di Dio e lo conduce per le sue vie”.
http://vaticaninsider.lastampa.it/news/dettaglio-articolo/articolo/sinodo-famiglia-42242/
La dittatura omosessista e i suoi alleati – di Patrizia Fermani
La devastante insipienza degli utili idioti
… chi si propone come acerrimo oppositore del matrimonio omosessuale con ammirevole candore propone il rispetto di tutti i diritti, cioè di entità inesistenti in un sistema giuridico degno di questo nome e quindi non corrotto dalla politica e dalla ideologia. Difende in modo commovente i “ diritti” ontologicamente inesistenti degli omosessuali e la arbitraria e giuridicamente ingiustificata regolamentazione delle convivenze omosessuali.
di Patrizia Fermani
.
La dittatura omosessista che ha assunto forma totalitaria, come ha scritto Massimo Viglione su queste pagine (clicca qui), ha i suoi potenti alleati esterni. Ma paradossalmente non sono né i conduttori televisivi né i giornali di regime né gli allegri frequentatori di allegre sagre estive, che fanno parte dell’apparato e se ne giovano direttamente.
Si tratta di quanti dicono di appartenere, sempre con rispetto, ci mancherebbe, alla resistenza, ma stanno portando tutta l’acqua necessaria al mulino degli avversari veri o presunti. E basta riflettere sulle finalità e sui contenuti di questo inedito e sconcertante sistema dittatoriale, sui fattori che l’hanno portato a maturazione e ripercorrere le tappe di questa inusuale carriera, per rendersi conto che la strada imboccata dai volontari della resistenza va esattamente nella direzione voluta e probabilmente già tratteggiata dai generali “nemici”.
Alla conquista surreale di un potere altrettanto surreale, per il quale una regia accurata ha preparato negli anni il terreno di coltura, è corrisposto il cammino inverso di una intera società che ha perduto i propri riferimenti morali e la propria cultura, il senso della legge e quello dei limiti dello Stato.
Anzitutto la dittatura omosessista di cui oggi parliamo, rimarrebbe tuttora impensabile se non fosse funzionale agli scopi di quel potere totalitario sovranazionale che ha annullato la sovranità dei singoli stati in vista della costruzione del mondo nuovo dei molti, omologati sotto il controllo di pochi, quello che assicura allo stesso tempo la libertà sessuale e il controllo demografico. In questa prospettiva la famiglia che nasce come centro di autonomia e di libertà ed è fondata su un vincolo morale assunto coram populo, è entità scomoda, secondo la teoria elaborata da Engels, non a caso in vista della costruzione dello stato socialista perfetto. Di qui il paradosso apparente per cui gli stati nazionali hanno demolito con le loro leggi la famiglia che dello stato dovrebbe costituire la spina dorsale. Inoltre si è puntato con la rivoluzione sessuale alla separazione della sessualità dalla destinazione procreativa: la abolizione delle regole famigliari sul comportamento sessuale doveva dare un contributo determinante al controllo totalitario della popolazione. Per questo è evidente come la omosessualità entrava con tutti gli onori nelle finalità della rivoluzione sessuale e nel piano di destabilizzazione della società. I movimenti omosessualisti hanno trovato la congiuntura favorevole per inserirsi in un più vasto piano di destabilizzazione inaugurato con il famoso rapporto Kinsey: iniziava così quella che sarebbe stata una conquista di potere il cui primo obiettivo è stata la normalizzazione della omosessualità che sarebbe avvenuta senza troppe scosse.
Il fenomeno emancipato dalla sfera privata e imposto mediaticamente nella quotidianità doveva acquistare una visibilità crescente e venire così anche emendato eticamente. Il piano riesce e scopre così la prima falla nella tenuta morale della società. L’omosessualità esposta e imposta alla sensibilità collettiva non sarebbe dovuta sfuggire al giudizio di condanna proprio in ragione delle sue conseguenze di ordine sociale. Avrebbero dovuto entrare in gioco i principi dell’etica comune. Ma questo mediamente non è avvenuto.
Quando abbiamo smesso di sentire l’esibizione pubblica o la pubblicizzazione mediatica della omosessualità come un attentato alla corretta educazione, alla famiglia e alle strutture portanti della società, abbiamo semplicemente dimenticato i criteri guida della legge naturale, abbiamo dimenticato che le pratiche omosessuali sono contro natura come lo è camminare sulle mani, e che soprattutto vanno contro le esigenze di sopravvivenza della società. Che un fenomeno di tal fatta una volta generalizzato stravolgerebbe tutti gli equilibri del vivere comune e comprometterebbe la vita umana. Con insofferenza o con distrazione che fosse, si è finito per accettare passivamente l’imposizione della “normalità” omosessuale, mentre si è insinuata la pericolosissima idea secondo cui ciò che esiste contiene in sé anche la propria giustificazione. Così ha potuto essere propagandata con sempre maggiore audacia l’idea che vuole l’omosessualità non solo come una variante normale della sessualità, ma come quella capace di esaltare al meglio i miti della libertà e della autodeterminazione e riaffermare il mito dell’uomo che domina anche le leggi della natura e può contraddirle a piacimento.
Tuttavia sappiamo troppo bene che senza la legge naturale e senza il diritto naturale, le leggi dell’uomo faber possono creare mostri giuridici con la stessa disinvoltura con cui si producono esseri umani in laboratorio. Ci si è immessi in una china che oggi si apre su scenari inquietanti. Man mano che con la falsa tolleranza e con l’assuefazione si sono sbiadite le buone ragioni proprie capaci di contrastare la sempre più prepotente imposizione culturale, non è mancata la sottile tentazione di fare posto alle ragioni altrui, ed è cominciata anche quella sorta di sudditanza che accompagna il riconoscimento di un successo e di un potere, quando non si è più in grado di controllarlo. E più aumenta il potere che viene usato contro di noi, più può tornare meno defatigante riconoscere lo stato di sottomissione.
Dunque alla propaganda quotidiana e alla esibizione di modelli contro natura non sono state opposte reazioni significative. E non ribellarsi alle aberrazioni e al sopruso, al disprezzo per le esigenze educative rovesciate impunemente nel loro contrario, ha messo a nudo la perdita dei criteri di giudizio della realtà e l’avere dimenticato la differenza tra ciò che è bene e ciò che può essere solo male. Alla perdita di questa chiara percezione concorreva, come dicevamo sopra, l’idea distorta secondo cui ogni realtà umana va comunque accettata. Anche questi sono i frutti perversi di una democrazia degenerata.
Insomma, la dittatura omosessista imposta dall’alto ha trovato il terreno favorevole di una profonda crisi morale e culturale alla quale non è stata estranea la crisi incipiente del cattolicesimo.
A questo punto la prima parte della strategia messa in campo dai movimenti omosessualisti e dai suoi potenti sponsor di qua e di là dell’Atlantico, aveva centrato il bersaglio, ma era soltanto quello che serviva per sgomberare il campo alla tappa decisiva, quella della consacrazione giuridica. Infatti una volta normalizzata mediaticamente, l’omosessualità doveva acquistare quella forza impositiva che solo la legge può assicurare. Il potere andava consolidato sul piano forte e solido delle istituzioni, doveva ottenere l’investitura legislativa necessaria per porre una fortissima ipoteca a lungo termine anche sulle generazioni future, radicarsi fino a rendere impraticabile una controrivoluzione. Non è un caso dunque che su scala planetaria si sia affacciata ad un certo punto improvvisamente la questione delle “nozze omosessuali”, o dei suoi succedanei, questione che fino a qualche anno fa non sarebbe uscita dallo spazio del ridicolo o del grottesco. Ma i movimenti omosessualisti e i loro potenti protettori conoscono la forza delle leggi nel deserto del pensiero e della morale.
La mossa decisiva era appunto quella di mettere mano alle leggi secondo i riti del sistema democratico, perché dalla Berlino del 33 abbiamo imparato che la dittatura totalitaria la si può instaurare con le carte in regola della democrazia formale. Ci si giova del fatto che essendo stata dismessa l’idea di un ethos che precede il diritto, l’etica è quella partorita dalle leggi che risolvono in sé anche il problema annoso della giustizia. Quando una legge è varata, brilla di luce propria e appare subito anche buona alla coscienza comune.
Ma in realtà il diritto naturale deve precedere il diritto positivo e questo deve attingere a quei criteri pregiuridici che mettono la legge al riparo dall’arbitrio del potere e della politica, specie quando si ha a che fare con i fatti cruciali della esistenza dell’uomo, la nascita, il matrimonio e la morte. Sono i criteri della legge naturale fissata da Dio e diffusa dalla sapienza cristiana.
Il diritto oggettivo è uno strumento buono o cattivo a seconda dell’uso che se ne fa e delle finalità per cui viene impiegato, come buoni o cattivi sono i diritti che esso crea in capo agli individui o alle categorie di individui. Così l’esigenza della giustizia del diritto (e dei diritti), è soddisfatta solo se esso è preordinato al bene comune e non all’arbitrio di uno o di tanti. Solo un fine superiore di servizio al bene della società tutta, dà al diritto la sua vera consistenza e a nulla serve chiamare diritto quello che in realtà non lo è perché contraddice quella funzione, come a nulla serve chiamare diritto soggettivo quello che è mero arbitrio protetto da una legge arbitraria. Non per nulla anche il leggendario e famigerato “ius primae noctis” poteva presentarsi appunto come diritto. Ecco dunque che il totalitarismo sovranazionale, dovendo annientare ogni spazio di libertà oggettiva in nome delle libertà soggettive, e dovendo fare del diritto uno strumento del proprio potere, ne falsifica la funzione e crea falsi diritti, attraverso la produzione di proclami roboanti, mentre eleva nominalmente a questo rango pretese individuali incapaci di armonizzarsi col bene collettivo, o addirittura in conflitto con esso. Ma su un generalizzato decadimento del senso del diritto e nello avanzare dello Stato etico totalitario che distorce il diritto a propria immagine e somiglianza, ecco che diventa plausibile anche la richiesta di tutela giuridica alle relazioni omosessuali, quella capace di elevare a valore riconosciuto anche la scelta omosessuale. Infatti è all’interno di una relazione che l’omosessualità può imporsi come valore autonomo. La legge assicura ad ogni cittadino la stessa protezione indipendentemente dalle sue caratteristiche o inclinazioni personali che sono indifferenti per l’interesse collettivo fino a quando non si traducano in comportamenti antisociali. Ciononostante sappiamo che lo Scalfarotto attraverso una astuta quanto spericolata operazione di chirurgia legislativa sta tentando di elevare l’omosessualità a bene protetto dalla legge penale, e questo è il senso di un disegno di legge che se approvato segnerà lo stravolgimento micidiale di un intero sistema. Ma in una manovra a tenaglia destinata a stritolare definitivamente certi cardini della società e dello stato di diritto, la promozione della omosessualità a bene sociale protetto può avvenire anche sull’altro versante della tutela giuridica delle relazioni omosessuali. A relazioni cioè che contraddicendo la legge naturale, non presentano alcun rilievo di utilità sociale, mortificano il significato dei legami famigliari e di coniugio e preparano la disarticolazione sociale di intere generazioni.
E qui va detto subito che il disvalore sociale, la dissennatezza, la arbitrarietà e infondatezza giuridica di una qualunque tutela delle relazioni omosessuali, non sopporta graduazioni di sorta. Non esiste cioè, né può esistere, un matrimonio omosessuale che non è bene ammettere e una unione che sotto altro nome può e anzi deve essere tutelata. Non vi sono differenze qualitative che giustificano una legalizzazione e sconsigliano l’altra. Per il semplice motivo, e dovrebbe essere di lapalissiana evidenza, che la relazione omosessuale è un fenomeno contro natura qualunque sia l’etichetta con cui viene catalogata. Che quando esce dalla sfera della vita privata per pretendere un riconoscimento pubblico e addirittura una tutela ad hoc, viene fatta violenza ad una società che nel suo complesso viene piegata all’arbitrio e alla prepotenza di chi non può vantare alcun titolo per un trattamento privilegiato che sarebbe negato a pretese particolari anche del tutto innocue.
Che si arrivi direttamente alla scimmiottatura del matrimonio e della famiglia, e se ne ufficializzi la parodia adottando la ragione sociale, o si ottenga lo stesso risultato senza l’apposita etichetta, le cose non cambiano minimamente perché la sostanza è la stessa e non sta nella ampiezza delle prerogative concesse ai beneficiari, sia l’adozione di indifesi fanciulli, o il “semplice” potere di disporre dell’espianto di organi a dispetto dei prossimi congiunti del defunto. La differenza tra l’introduzione del matrimonio omosessuale o la regolamentazione delle convivenze omosessuali sotto altro nome è nulla sul piano della legittimità giuridica, e a fare la differenza tra l’uno e l’altro come si diceva non è certo la sfera più o meno ampia dei poteri che vi si connettono. Del tutto ininfluente sulla sostanza delle cose è proprio la possibilità o meno di adozione, che già può essere concessa anche a singoli in determinati casi e che i giudici non hanno perso l’occasione di concedere al soggetto omosessuale quando si sono verificate le condizioni previste dalla legge. Senza contare che in ogni caso, come è stato ripetuto fino allo sfinimento, la corte costituzionale che è ormai un punto di riferimento della ideologia omosessualista, potrà estendere tranquillamente la possibilità di adozione alle coppie di omosessuali qualunque sia il nome col quale è contrassegnato il riconoscimento giuridico del loro rapporto. Insomma non ci sono ragioni per sostenere che una certa sostanza cambi a seconda delle conseguenze previste o meno. Non c’è alcuna differenza sostanziale tra quello che venga chiamato matrimonio, unione, convivenza, o secondo l’ultima esilarante trovata, “formazione sociale” benedetta dalla Costituzione, se alla base c’è comunque la convivenza more uxorio tra persone dello stesso sesso, permanente, stabile o transeunte che sia. In ogni caso c’è una sessualità distorta che crea relazioni anomale e il cui modello, in qualunque forma essa sia ufficializzata e propagandata e soprattutto legalizzata, reca un irrimediabile definitivo vulnus alla tenuta di una società che andrebbe invece riassemblata dopo tanti dissennati interventi distruttivi. Perché la consacrazione di esempi alternativi di compagini “famigliari” devasteranno la formazione morale dei bambini che avranno a che fare ogni giorno con quei modelli, al pari delle simmetriche edificanti lezioni scolastiche, sicchè gli stessi bambini avranno incamerato in modo forse irreversibile le immagini truffaldine delle coppie normalizzate dallo Stato.
Il diritto per essere tale deve essere deputato a soddisfare la esigenza del bene comune come il diritto soggettivo per essere tale non può ridursi al soddisfacimento di una qualche pulsione, di desideri o fini non oggettivamente meritevoli di tutela e perciò stesso arbitrari. Nel tentativo, anche questo del tutto truffaldino, di creare diritti individuali inesistenti e di dare protezione giuridica a relazioni irrilevanti per l’ordinamento, si è fatto ricorso come causa giustificatrice al legame affettivo. Un elemento che non soddisfa per nulla la più elementare esigenza di certezza del diritto, nè mette al riparo dall’arbitrio del giudice nel momento in cui è chiamato ad applicare le norme. In questo senso il legame affettivo che dovrebbe fondare una particolare tutela giuridica non differisce dall’odio di classe che nei processi politici sovietici giustificavano la condanna del malcapitato. Siamo sempre nell’abuso del diritto in un senso o nell’altro. L’abuso legalizzato e praticato costantemente dai sistemi totalitari.
Eppure gran parte di questa matassa di distorsioni, di travisamenti, di mistificazioni di idee e di principi, è stata fatta propria ed è diventata il cavallo di battaglia di quegli eroici resistenti difensori della famiglia e armati invariabilmente dei requisiti democratici e cristiani che ancora una volta sono invocati per fare la differenza. Non c’è convegno, incontro, proclama, dichiarazione di universale eticità in cui i resistenti con tragicomica solerzia non si affrettino a dire di opporsi ai nomi che fanno orrore, come quello di matrimonio applicato agli omosessuali, ma di riconoscere con tutti i riguardi del caso diritti e diritto, prerogative e tutele, e riconoscimenti a chi per essere dedito a particolari esercizi sessuali e per avere intrecciato grazie a questa attitudine relazioni di qualità, merita tutto il rispetto del caso, quello che come è noto deve essere elargito senza avarizia a tutto e a tutti, con la dialogante e convergente chiaroveggenza di chi legge nella politica il modo migliore per trovare la verità. Infatti sono fermamente convinti, da uomini di mondo, che la verità sta sempre a metà strada, che è meglio un uovo oggi che una gallina domani specie se costa meno fatica, convinti per di più che chi è o appare più forte deve comunque avere delle buone ragioni dalla propria parte. Da questa solida filosofia deriva il paradosso di cui parlavamo all’inizio, per cui chi si propone come acerrimo oppositore del matrimonio omosessuale con ammirevole candore propone il rispetto di tutti i diritti, cioè di entità inesistenti in un sistema giuridico degno di questo nome e quindi non corrotto dalla politica e dalla ideologia. Difende in modo commovente i “ diritti” ontologicamente inesistenti degli omosessuali i e la arbitraria giuridicamente ingiustificata regolamentazione delle convivenze omosessuali. È insomma intento a sottrarre ai giovani a forza un modello di vita buono per tutti, un senso della vita che vada oltre i confini dell’io e dell’esistente. Del tutto incuranti del fatto che è proprio la dittatura omosessista e pederastica quella intenta ad imporre ai nostri figli e nipoti il traviamento precoce di Stato, e che idee demenziali da essa ispirate, guidano le leggi in gestazione sulla scuola, “la buona scuola” del boy scout delle Cascine, quella in cui è perfino difficile indovinare il confine tra le intenzioni diaboliche e la più rozza dabbenaggine.
… chi si propone come acerrimo oppositore del matrimonio omosessuale con ammirevole candore propone il rispetto di tutti i diritti, cioè di entità inesistenti in un sistema giuridico degno di questo nome e quindi non corrotto dalla politica e dalla ideologia. Difende in modo commovente i “ diritti” ontologicamente inesistenti degli omosessuali e la arbitraria e giuridicamente ingiustificata regolamentazione delle convivenze omosessuali.
di Patrizia Fermani
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La dittatura omosessista che ha assunto forma totalitaria, come ha scritto Massimo Viglione su queste pagine (clicca qui), ha i suoi potenti alleati esterni. Ma paradossalmente non sono né i conduttori televisivi né i giornali di regime né gli allegri frequentatori di allegre sagre estive, che fanno parte dell’apparato e se ne giovano direttamente.
Si tratta di quanti dicono di appartenere, sempre con rispetto, ci mancherebbe, alla resistenza, ma stanno portando tutta l’acqua necessaria al mulino degli avversari veri o presunti. E basta riflettere sulle finalità e sui contenuti di questo inedito e sconcertante sistema dittatoriale, sui fattori che l’hanno portato a maturazione e ripercorrere le tappe di questa inusuale carriera, per rendersi conto che la strada imboccata dai volontari della resistenza va esattamente nella direzione voluta e probabilmente già tratteggiata dai generali “nemici”.
Alla conquista surreale di un potere altrettanto surreale, per il quale una regia accurata ha preparato negli anni il terreno di coltura, è corrisposto il cammino inverso di una intera società che ha perduto i propri riferimenti morali e la propria cultura, il senso della legge e quello dei limiti dello Stato.
Anzitutto la dittatura omosessista di cui oggi parliamo, rimarrebbe tuttora impensabile se non fosse funzionale agli scopi di quel potere totalitario sovranazionale che ha annullato la sovranità dei singoli stati in vista della costruzione del mondo nuovo dei molti, omologati sotto il controllo di pochi, quello che assicura allo stesso tempo la libertà sessuale e il controllo demografico. In questa prospettiva la famiglia che nasce come centro di autonomia e di libertà ed è fondata su un vincolo morale assunto coram populo, è entità scomoda, secondo la teoria elaborata da Engels, non a caso in vista della costruzione dello stato socialista perfetto. Di qui il paradosso apparente per cui gli stati nazionali hanno demolito con le loro leggi la famiglia che dello stato dovrebbe costituire la spina dorsale. Inoltre si è puntato con la rivoluzione sessuale alla separazione della sessualità dalla destinazione procreativa: la abolizione delle regole famigliari sul comportamento sessuale doveva dare un contributo determinante al controllo totalitario della popolazione. Per questo è evidente come la omosessualità entrava con tutti gli onori nelle finalità della rivoluzione sessuale e nel piano di destabilizzazione della società. I movimenti omosessualisti hanno trovato la congiuntura favorevole per inserirsi in un più vasto piano di destabilizzazione inaugurato con il famoso rapporto Kinsey: iniziava così quella che sarebbe stata una conquista di potere il cui primo obiettivo è stata la normalizzazione della omosessualità che sarebbe avvenuta senza troppe scosse.
Il fenomeno emancipato dalla sfera privata e imposto mediaticamente nella quotidianità doveva acquistare una visibilità crescente e venire così anche emendato eticamente. Il piano riesce e scopre così la prima falla nella tenuta morale della società. L’omosessualità esposta e imposta alla sensibilità collettiva non sarebbe dovuta sfuggire al giudizio di condanna proprio in ragione delle sue conseguenze di ordine sociale. Avrebbero dovuto entrare in gioco i principi dell’etica comune. Ma questo mediamente non è avvenuto.
Quando abbiamo smesso di sentire l’esibizione pubblica o la pubblicizzazione mediatica della omosessualità come un attentato alla corretta educazione, alla famiglia e alle strutture portanti della società, abbiamo semplicemente dimenticato i criteri guida della legge naturale, abbiamo dimenticato che le pratiche omosessuali sono contro natura come lo è camminare sulle mani, e che soprattutto vanno contro le esigenze di sopravvivenza della società. Che un fenomeno di tal fatta una volta generalizzato stravolgerebbe tutti gli equilibri del vivere comune e comprometterebbe la vita umana. Con insofferenza o con distrazione che fosse, si è finito per accettare passivamente l’imposizione della “normalità” omosessuale, mentre si è insinuata la pericolosissima idea secondo cui ciò che esiste contiene in sé anche la propria giustificazione. Così ha potuto essere propagandata con sempre maggiore audacia l’idea che vuole l’omosessualità non solo come una variante normale della sessualità, ma come quella capace di esaltare al meglio i miti della libertà e della autodeterminazione e riaffermare il mito dell’uomo che domina anche le leggi della natura e può contraddirle a piacimento.
Tuttavia sappiamo troppo bene che senza la legge naturale e senza il diritto naturale, le leggi dell’uomo faber possono creare mostri giuridici con la stessa disinvoltura con cui si producono esseri umani in laboratorio. Ci si è immessi in una china che oggi si apre su scenari inquietanti. Man mano che con la falsa tolleranza e con l’assuefazione si sono sbiadite le buone ragioni proprie capaci di contrastare la sempre più prepotente imposizione culturale, non è mancata la sottile tentazione di fare posto alle ragioni altrui, ed è cominciata anche quella sorta di sudditanza che accompagna il riconoscimento di un successo e di un potere, quando non si è più in grado di controllarlo. E più aumenta il potere che viene usato contro di noi, più può tornare meno defatigante riconoscere lo stato di sottomissione.
Dunque alla propaganda quotidiana e alla esibizione di modelli contro natura non sono state opposte reazioni significative. E non ribellarsi alle aberrazioni e al sopruso, al disprezzo per le esigenze educative rovesciate impunemente nel loro contrario, ha messo a nudo la perdita dei criteri di giudizio della realtà e l’avere dimenticato la differenza tra ciò che è bene e ciò che può essere solo male. Alla perdita di questa chiara percezione concorreva, come dicevamo sopra, l’idea distorta secondo cui ogni realtà umana va comunque accettata. Anche questi sono i frutti perversi di una democrazia degenerata.
Insomma, la dittatura omosessista imposta dall’alto ha trovato il terreno favorevole di una profonda crisi morale e culturale alla quale non è stata estranea la crisi incipiente del cattolicesimo.
A questo punto la prima parte della strategia messa in campo dai movimenti omosessualisti e dai suoi potenti sponsor di qua e di là dell’Atlantico, aveva centrato il bersaglio, ma era soltanto quello che serviva per sgomberare il campo alla tappa decisiva, quella della consacrazione giuridica. Infatti una volta normalizzata mediaticamente, l’omosessualità doveva acquistare quella forza impositiva che solo la legge può assicurare. Il potere andava consolidato sul piano forte e solido delle istituzioni, doveva ottenere l’investitura legislativa necessaria per porre una fortissima ipoteca a lungo termine anche sulle generazioni future, radicarsi fino a rendere impraticabile una controrivoluzione. Non è un caso dunque che su scala planetaria si sia affacciata ad un certo punto improvvisamente la questione delle “nozze omosessuali”, o dei suoi succedanei, questione che fino a qualche anno fa non sarebbe uscita dallo spazio del ridicolo o del grottesco. Ma i movimenti omosessualisti e i loro potenti protettori conoscono la forza delle leggi nel deserto del pensiero e della morale.
La mossa decisiva era appunto quella di mettere mano alle leggi secondo i riti del sistema democratico, perché dalla Berlino del 33 abbiamo imparato che la dittatura totalitaria la si può instaurare con le carte in regola della democrazia formale. Ci si giova del fatto che essendo stata dismessa l’idea di un ethos che precede il diritto, l’etica è quella partorita dalle leggi che risolvono in sé anche il problema annoso della giustizia. Quando una legge è varata, brilla di luce propria e appare subito anche buona alla coscienza comune.
Ma in realtà il diritto naturale deve precedere il diritto positivo e questo deve attingere a quei criteri pregiuridici che mettono la legge al riparo dall’arbitrio del potere e della politica, specie quando si ha a che fare con i fatti cruciali della esistenza dell’uomo, la nascita, il matrimonio e la morte. Sono i criteri della legge naturale fissata da Dio e diffusa dalla sapienza cristiana.
Il diritto oggettivo è uno strumento buono o cattivo a seconda dell’uso che se ne fa e delle finalità per cui viene impiegato, come buoni o cattivi sono i diritti che esso crea in capo agli individui o alle categorie di individui. Così l’esigenza della giustizia del diritto (e dei diritti), è soddisfatta solo se esso è preordinato al bene comune e non all’arbitrio di uno o di tanti. Solo un fine superiore di servizio al bene della società tutta, dà al diritto la sua vera consistenza e a nulla serve chiamare diritto quello che in realtà non lo è perché contraddice quella funzione, come a nulla serve chiamare diritto soggettivo quello che è mero arbitrio protetto da una legge arbitraria. Non per nulla anche il leggendario e famigerato “ius primae noctis” poteva presentarsi appunto come diritto. Ecco dunque che il totalitarismo sovranazionale, dovendo annientare ogni spazio di libertà oggettiva in nome delle libertà soggettive, e dovendo fare del diritto uno strumento del proprio potere, ne falsifica la funzione e crea falsi diritti, attraverso la produzione di proclami roboanti, mentre eleva nominalmente a questo rango pretese individuali incapaci di armonizzarsi col bene collettivo, o addirittura in conflitto con esso. Ma su un generalizzato decadimento del senso del diritto e nello avanzare dello Stato etico totalitario che distorce il diritto a propria immagine e somiglianza, ecco che diventa plausibile anche la richiesta di tutela giuridica alle relazioni omosessuali, quella capace di elevare a valore riconosciuto anche la scelta omosessuale. Infatti è all’interno di una relazione che l’omosessualità può imporsi come valore autonomo. La legge assicura ad ogni cittadino la stessa protezione indipendentemente dalle sue caratteristiche o inclinazioni personali che sono indifferenti per l’interesse collettivo fino a quando non si traducano in comportamenti antisociali. Ciononostante sappiamo che lo Scalfarotto attraverso una astuta quanto spericolata operazione di chirurgia legislativa sta tentando di elevare l’omosessualità a bene protetto dalla legge penale, e questo è il senso di un disegno di legge che se approvato segnerà lo stravolgimento micidiale di un intero sistema. Ma in una manovra a tenaglia destinata a stritolare definitivamente certi cardini della società e dello stato di diritto, la promozione della omosessualità a bene sociale protetto può avvenire anche sull’altro versante della tutela giuridica delle relazioni omosessuali. A relazioni cioè che contraddicendo la legge naturale, non presentano alcun rilievo di utilità sociale, mortificano il significato dei legami famigliari e di coniugio e preparano la disarticolazione sociale di intere generazioni.
E qui va detto subito che il disvalore sociale, la dissennatezza, la arbitrarietà e infondatezza giuridica di una qualunque tutela delle relazioni omosessuali, non sopporta graduazioni di sorta. Non esiste cioè, né può esistere, un matrimonio omosessuale che non è bene ammettere e una unione che sotto altro nome può e anzi deve essere tutelata. Non vi sono differenze qualitative che giustificano una legalizzazione e sconsigliano l’altra. Per il semplice motivo, e dovrebbe essere di lapalissiana evidenza, che la relazione omosessuale è un fenomeno contro natura qualunque sia l’etichetta con cui viene catalogata. Che quando esce dalla sfera della vita privata per pretendere un riconoscimento pubblico e addirittura una tutela ad hoc, viene fatta violenza ad una società che nel suo complesso viene piegata all’arbitrio e alla prepotenza di chi non può vantare alcun titolo per un trattamento privilegiato che sarebbe negato a pretese particolari anche del tutto innocue.
Che si arrivi direttamente alla scimmiottatura del matrimonio e della famiglia, e se ne ufficializzi la parodia adottando la ragione sociale, o si ottenga lo stesso risultato senza l’apposita etichetta, le cose non cambiano minimamente perché la sostanza è la stessa e non sta nella ampiezza delle prerogative concesse ai beneficiari, sia l’adozione di indifesi fanciulli, o il “semplice” potere di disporre dell’espianto di organi a dispetto dei prossimi congiunti del defunto. La differenza tra l’introduzione del matrimonio omosessuale o la regolamentazione delle convivenze omosessuali sotto altro nome è nulla sul piano della legittimità giuridica, e a fare la differenza tra l’uno e l’altro come si diceva non è certo la sfera più o meno ampia dei poteri che vi si connettono. Del tutto ininfluente sulla sostanza delle cose è proprio la possibilità o meno di adozione, che già può essere concessa anche a singoli in determinati casi e che i giudici non hanno perso l’occasione di concedere al soggetto omosessuale quando si sono verificate le condizioni previste dalla legge. Senza contare che in ogni caso, come è stato ripetuto fino allo sfinimento, la corte costituzionale che è ormai un punto di riferimento della ideologia omosessualista, potrà estendere tranquillamente la possibilità di adozione alle coppie di omosessuali qualunque sia il nome col quale è contrassegnato il riconoscimento giuridico del loro rapporto. Insomma non ci sono ragioni per sostenere che una certa sostanza cambi a seconda delle conseguenze previste o meno. Non c’è alcuna differenza sostanziale tra quello che venga chiamato matrimonio, unione, convivenza, o secondo l’ultima esilarante trovata, “formazione sociale” benedetta dalla Costituzione, se alla base c’è comunque la convivenza more uxorio tra persone dello stesso sesso, permanente, stabile o transeunte che sia. In ogni caso c’è una sessualità distorta che crea relazioni anomale e il cui modello, in qualunque forma essa sia ufficializzata e propagandata e soprattutto legalizzata, reca un irrimediabile definitivo vulnus alla tenuta di una società che andrebbe invece riassemblata dopo tanti dissennati interventi distruttivi. Perché la consacrazione di esempi alternativi di compagini “famigliari” devasteranno la formazione morale dei bambini che avranno a che fare ogni giorno con quei modelli, al pari delle simmetriche edificanti lezioni scolastiche, sicchè gli stessi bambini avranno incamerato in modo forse irreversibile le immagini truffaldine delle coppie normalizzate dallo Stato.
Il diritto per essere tale deve essere deputato a soddisfare la esigenza del bene comune come il diritto soggettivo per essere tale non può ridursi al soddisfacimento di una qualche pulsione, di desideri o fini non oggettivamente meritevoli di tutela e perciò stesso arbitrari. Nel tentativo, anche questo del tutto truffaldino, di creare diritti individuali inesistenti e di dare protezione giuridica a relazioni irrilevanti per l’ordinamento, si è fatto ricorso come causa giustificatrice al legame affettivo. Un elemento che non soddisfa per nulla la più elementare esigenza di certezza del diritto, nè mette al riparo dall’arbitrio del giudice nel momento in cui è chiamato ad applicare le norme. In questo senso il legame affettivo che dovrebbe fondare una particolare tutela giuridica non differisce dall’odio di classe che nei processi politici sovietici giustificavano la condanna del malcapitato. Siamo sempre nell’abuso del diritto in un senso o nell’altro. L’abuso legalizzato e praticato costantemente dai sistemi totalitari.
Eppure gran parte di questa matassa di distorsioni, di travisamenti, di mistificazioni di idee e di principi, è stata fatta propria ed è diventata il cavallo di battaglia di quegli eroici resistenti difensori della famiglia e armati invariabilmente dei requisiti democratici e cristiani che ancora una volta sono invocati per fare la differenza. Non c’è convegno, incontro, proclama, dichiarazione di universale eticità in cui i resistenti con tragicomica solerzia non si affrettino a dire di opporsi ai nomi che fanno orrore, come quello di matrimonio applicato agli omosessuali, ma di riconoscere con tutti i riguardi del caso diritti e diritto, prerogative e tutele, e riconoscimenti a chi per essere dedito a particolari esercizi sessuali e per avere intrecciato grazie a questa attitudine relazioni di qualità, merita tutto il rispetto del caso, quello che come è noto deve essere elargito senza avarizia a tutto e a tutti, con la dialogante e convergente chiaroveggenza di chi legge nella politica il modo migliore per trovare la verità. Infatti sono fermamente convinti, da uomini di mondo, che la verità sta sempre a metà strada, che è meglio un uovo oggi che una gallina domani specie se costa meno fatica, convinti per di più che chi è o appare più forte deve comunque avere delle buone ragioni dalla propria parte. Da questa solida filosofia deriva il paradosso di cui parlavamo all’inizio, per cui chi si propone come acerrimo oppositore del matrimonio omosessuale con ammirevole candore propone il rispetto di tutti i diritti, cioè di entità inesistenti in un sistema giuridico degno di questo nome e quindi non corrotto dalla politica e dalla ideologia. Difende in modo commovente i “ diritti” ontologicamente inesistenti degli omosessuali i e la arbitraria giuridicamente ingiustificata regolamentazione delle convivenze omosessuali. È insomma intento a sottrarre ai giovani a forza un modello di vita buono per tutti, un senso della vita che vada oltre i confini dell’io e dell’esistente. Del tutto incuranti del fatto che è proprio la dittatura omosessista e pederastica quella intenta ad imporre ai nostri figli e nipoti il traviamento precoce di Stato, e che idee demenziali da essa ispirate, guidano le leggi in gestazione sulla scuola, “la buona scuola” del boy scout delle Cascine, quella in cui è perfino difficile indovinare il confine tra le intenzioni diaboliche e la più rozza dabbenaggine.
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