ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 20 agosto 2015

Angele Dei, qui custos es mei..

CREDERE ALL'ANGELO CUSTODE ?

Si può ancora credere nell’Angelo custode? È ancora possibile dopo il disincanto dell’età adulta che ripudia come favola tutto ciò che nell’infanzia è stato presentato e recepito come appartenente all’ordine soprannaturale della realtà?  




Si può ancora credere nell’Angelo custode?



È ancora possibile parlare agli uomini dell’Angelo custode?
È “ancora” possibile, vogliamo dire, dopo il disincanto dell’età adulta, che ripudia come “favola” e come “leggenda” tutto ciò che, nell’infanzia, è stato presentato e recepito come appartenente all’ordine soprannaturale della realtà?

Ed è “ancora” possibile farlo, dopo tutte le sdolcinatezze che la cultura New Age, precipitatasi su questo ghiotto boccone per sfruttarlo al massimo, ha ricamato intorno al ruolo svolto nella vita umana dalla presenza dell’Angelo Custode?
C’è, in un paese a pochi chilometri da qui, una edicola sacra, sulla quale è stata affrescata, a grandezza naturale, la classica iconografia dell’Angelo custode: una creatura splendente, alata, immensamente benevola, che prende per mano un bambino e lo accompagna con passo sicuro lungo i sentieri della vita, incontro al mistero finale di Dio.
Non è l’opera di un grande pittore, bensì di un onesto artigiano, pieno di devozione e di fervore; e tuttavia ci sono una tale naturalezza in quella scena, una tale spontaneità, una tale leggerezza, che, osservandola, si fa quasi fatica a credere che qualcuno, in base alla fredda ragione calcolante e strumentale, possa trovarla inverosimile o anche solo improbabile.
E dunque, chi ha ragione: il bambino, che accoglie con istintiva fiducia la nozione di una creatura immortale, invisibile, preposta alla nostra salvaguardia individuale, che ci assiste nei passi difficili e ci sorregge perché non mettiamo il piede in fallo; oppure l’adulto imbevuto di cultura “moderna”, razionalista e materialista, disposto a credere soltanto a ciò che vede o, meglio, soltanto a ciò che una Scienza eretta al rango di nuova religione è disposta a riconoscere come vero?
Chi si sbaglia, chi s’inganna delle due: la mente intuitiva del bambino, che non è irrazionale, ma che procede, in gran parte, per via intuitiva ed extra-razionale, oppure la mente raziocinante dell’adulto, imbottita di pregiudizi scientisti e meccanicisti?
Ai bambini della mia generazione era stato insegnato a credere fermamente nell’esistenza dell’Angelo custode; e a recitare con fede l’apposita preghiera a lui rivolta: «Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla Pietà celeste; amen».
È stata soltanto una pia frode, una bella e consolante fiaba, sul tipo di quella di Babbo Natale o di quella, un po’ più profana, della Befana, che viene nella notte dell’Epifania a portare i regali e i dolcetti ai bambini buoni, mentre lascia solo qualche pezzetto di carbone a quelli che sono stati cattivi?
Innanzitutto, gli angeli.
Essi sono degli esseri spirituali che adorano e servono Dio e che vengono mandati ad aiutare gli uomini e ad annunciare il Creatore: dall’etimologia greca della parola, “ánghelos”, “messaggero” (come tale era designato, ad esempio, Hermes, il messaggero degli dèi).
Per il cristianesimo, la credenza in essi è una verità di fede, attestata unanimemente sia dalla Scrittura, sia dalla Tradizione (paragrafo 328 del catechismo della Chiesa cattolica).
In particolare, la professione di fede del IV Concilio Lateranense, convocato nell’anno 1215 da papa Innocenzo III, afferma che Dio «fin dal principio del tempo, creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature, quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre; e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo».
A loro riguardo, basandosi sull’etimologia, Sant’Agostino scrive che «la parola angelo designa l’ufficio, non la natura (Angelus officii nomen est, non naturae).  Se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo (Quaeris nomen huius naturae, spiritus est, quaeris officium,  angelus est: ex eo quod est, spirtus est,  ex eo quod agit, angelus» (Agostino, «Enarratio in Psalmos», 103, 1, 15).
Sono creature puramente spirituali, dotate di intelligenza e volontà (tanto è vero che Lucifero e i suoi seguaci, per un atto di ribellione della volontà, si ribellarono a Dio stesso); la loro natura è personale e immortale e supera in perfezione quella di tutte le altre creature esistenti.
Tralasciando la loro presenza nei passi della Scrittura, che è frequentissima e svolge sovente compiti di estrema importanza, come l’annuncio a Maria, veniamo a quella particolare categoria rappresentata dagli Angeli custodi.
Secondo la Chiesa cattolica, la loro presenza è costante al fianco di ogni singolo essere umano, dato che l’amore di Dio per quest’ultimo è di tipo personale; dall’infanzia (cfr. Matteo, 18, 10) alla morte (Luca, 16, 22), gli Angeli custodi vegliano incessantemente e prodigano a ogni individuo la loro protezione e la loro intercessione.
San Basilio da Cesarea («Adversus Eumonium», 3, 1) dichiara che «ogni fedele  ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore,  per condurlo alla vita»; esiste, pertanto, già nella dimensione della vita terrena, una beata comunanza fra angeli e uomini uniti in Dio, comunanza che è suggellata dalla fede.
Fin qui, la Scrittura e la Tradizione.
Ma l’uomo moderno, può ancora credere in queste cose; può ancora credervi in perfetta buona fede, senza, cioè, mentire o ingannare se stesso?
Dipende da cosa s’intende per “uomo moderno”: se si intende colui che vive nell’epoca storica contemporanea o se s’intende colui che abbia assorbito e introiettato, consapevolmente o anche inconsapevolmente, ogni aspetto del paradigma culturale proprio della modernità, con il suo riduzionismo, il suo meccanicismo, il suo materialismo e il suo esasperato e tirannico razionalismo di matrice scientista.
In questo secondo caso, la risposta è certamente negativa; nel primo, invece, la risposta può anche essere affermativa - ovviamente, a determinate condizioni.
È inutile nasconderselo: una simile credenza non ha solo a che fare con l’appartenenza alla religione cristiana in se stessa, ma proprio con l’idea generale che ciascuno di noi si è formata, attraverso le tappe del proprio itinerario spirituale, circa il significato ed il valore della vita umana e, più in generale, circa il significato ed il valore dell’esistente, di cui l’uomo è parte.
In una visione spirituale, olistica, fondata sulla speranza come virtù teologale, ossia sulla eroica capacità di credere contro ogni apparenza, non in dispregio della ragione o dell’agire pratico, ma in virtù di un principio ad essi superiore (perché la ragione non arriva a comprendere tutto, e l’agire pratico è comunque limitato), ebbene in una tale visione non c’è nulla che impedisca di credere alla presenza costante, al nostro fianco, di un essere spirituale che svolge la funzione specifica di accompagnarci e di guidarci verso il Bene.
Bisogna inoltre aggiungere che esistono fortissimi indizi, anche da un punto di vista “laico” e “razionale”, in favore di una tale credenza; esiste, infatti, una ricchissima casistica relativa alla provvidenziale comparsa, in situazioni di particolare difficoltà o pericolo, di creature dall’aspetto umano, venute non si sa da dove e scomparse non si sa come, senza il cui intervento gli individui soccorsi sarebbero certamente periti; di alcuni di tali casi ci siamo anzi già occupati in diverse occasioni (cfr., ad esempio, l’articolo «Chi era quell’uomo giunto a salvarla, non si sa da dove, mentre stava per annegare?», apparso sul sito di Edicolaweb e, poi, sul sito di Arianna Editrice, in data 24/01/2011).
Infatti, se le Scritture e la Tradizione possono bastare a soddisfare le esigenze spirituali del credente, evidentemente non bastano per coloro i quali, pur non aderendo ad alcuna confessione religiosa, riconoscono tuttavia in se stessi la presenza di una domanda ulteriore, di un altro “perché”, afferente alla dimensione dell’infinito e dell’assoluto; di una tensione verso la trascendenza, accompagnata dal senso del mistero e dal corrispettivo senso del limite.
Non diciamo che, per queste persone, la casistica cui sopra facevamo cenno, e sulla quale è reperibile, sia in biblioteca che sulla rete informatica, una assai ricca bibliografia, costituisca una risposta del tutto esauriente: il mistero rimane, le prove “scientifiche”, se così vogliamo chiamarle, non sono incontrovertibili e  non reggerebbero, probabilmente, alla critica demolitrice (e largamente faziosa e preconcetta) dei signori del C.I.C.A.P.; rappresenta, tuttavia, un elemento significativo, nel senso che, quanto meno, sgombra il terreno da una impossibilitò di tipo logico, in quanto dimostra che cose simili POSSONO ACCADERE.
È possibile andare anche oltre e affermare, in modo positivo e incontrovertibile, la realtà dell’Angelo custode, anche per chi non accetti, puramente e semplicemente, l’insegnamento di una data tradizione religiosa?
La questione è di natura tale che non ammette un sì o no aprioristici e, sopratutto, “oggettivi”, perché può trovare risposta solo nella dimensione intima della consapevolezza individuale, rispetto alla quale non contano solo i “fatti”, ma anche l’idea che noi abbiamo di essi e, più ancora, la prospettiva nella quale ci poniamo allorché ci confrontiamo con la cosiddetta realtà “esterna” (mentre per la coscienza risvegliata è chiaro che non esistono un “dentro” e un “fuori” rispetto alla coscienza, ma che noi e il Tutto siamo una cosa sola).
E allora mettiamola così: per la coscienza desta e consapevole, libera dai ricatti del razionalismo scientista e della cultura moderna che si autodefinisce “realista” e “progressista”, non c’è nulla, assolutamente nulla, che ripugni all’idea di una presenza spirituale, benevola e spirituale, accanto a ciascun essere umano, avente lo scopo di proteggerlo e guidarlo verso il Bene.
Ciò detto, resta da vedere se siamo ancora disposti a credere nel Bene; se siamo, cioè, disposti a riconoscere, nel caos e nel labirinto del soggettivismo e del relativismo moderni, che, al di sopra delle confuse e contraddittorie immagini di bene, inseguendo le quali consumiamo gran parte della nostra vita, vi è il Bene in se stesso, faro luminoso che ci guida nel buio della notte; e se siamo abbastanza umili e abbastanza forti da pensare che Qualcosa o Qualcuno guidi i nostri passi in quella direzione.
Se si toglie questo, tutto il resto cade; se lo si ammette, si resta liberi di pensare che questo Qualcosa o questo Qualcuno si serva di presenze invisibili, amorevoli e sollecite della nostra sicurezza spirituale - e, talvolta, anche fisica -, alle quali, nel nostro balbettante linguaggio umano, diamo il nome di Angeli custodi.
Quando parliamo di realtà soprannaturali, il nostro linguaggio è sempre inadeguato e ancor più lo è il nostro modo di ragionare, basato sulle associazioni per immagini: perché non c’è niente, nella realtà soprannaturale, che trovi riscontro nelle immagini che ci sono familiari. Quel che vogliamo dire è che noi non potremmo mai vedere un Angelo nella sua vera forma, perché ne resteremmo abbagliati; ed è per questo che essi, se vogliono presentarsi a noi, devono assumere una forma umana, cioè una forma che noi possiamo riconoscere.
Da ciò, tuttavia, deriva anche la triste eventualità che noi non li sappiamo riconoscere, perché, ingenuamente, siamo portati a pensare che, se esistono e se si manifestano all’uomo, gli Angeli devono avere le ali sulla schiena e l’aureola sul capo, così come le rappresentano simbolicamente i pittori, gli scultori e i poeti.
Un pericolo ancora più grande, però, e lo abbiamo già detto, è quello rappresentato dall’orgoglio della nostra razionalità chiusa in se stessa e refrattaria al trascendente; quello che ci fa escludere la possibilità, già in via teorica, della loro esistenza e della loro manifestazione.
Infatti, noi vediamo solo ciò che siamo disposti a vedere e crediamo solo a ciò in cui siamo disposti a credere: se vediamo qualcosa che non rientra nei nostri schemi mentali e che, anzi, il nostro universo concettuale ritiene impossibile, semplicemente ci rifiutiamo di prendere atto di quanto abbiamo visto, e di trarne le debite conclusioni.
Ecco perché la castrazione della metafisica, operata dal pensiero moderno a partire da Kant, con la speciosa argomentazione che non si può credere a ciò che non si può dimostrare razionalmente, ci ha causato un danno e un impoverimento di portata incalcolabili: potremmo paragonarlo alla chiusura dei nostri sensi alla percezione della realtà.
Non vi è cieco più inguaribile di colui che, ostinatamente, si rifiuta di aprire gli occhi.
Eppure ce n’è, di mondo da scoprire e da ammirare, al di là degli occhi chiusi del cieco volontario...
di

Francesco Lamendola

CHI ERA QUELL'UOMO ?

   
 Chi era quell’uomo giunto a salvarla non si sa da dove mentre stava per annegare? Uno dei pilastri della moderna concezione scientifica è che se un fenomeno non è misurabile e riproducibile possibilmente in laboratorio non ha rilevanza per il sapere


Chi era quell’uomo giunto a salvarla, non si sa da dove, mentre stava per annegare?


di  Francesco Lamendola



Nella gelida notte invernale, con un freddo quale non si era mai registrato da secoli - trenta gradi sotto zero! -, i due ragazzi stavano percorrendo l’autostrada deserta, allorché il motore si spense ed essi rimasero fermi nella distesa di neve, nel gelo dell’abitacolo.
I loro piedi iniziavano già ad intorpidirsi; certo, avrebbero potuto uscire e mettersi a cercare aiuto, ma non c’era nessuno in giro, a quell’ora e con quelle temperature proibitive; e, del resto, il freddo li avrebbe uccisi in pochi minuti.
Essi non lo sapevano, ma la madre di uno di loro, preoccupata per quel viaggio temerario e per non aver ricevuto alcuna telefonata di rassicurazione, si era rivolta a Dio, raccomandandoli, con una preghiera, alla Sua speciale protezione; e proprio in quel momento - come seppero più tardi, confrontando gli orari - avvenne il fatto che decise della loro salvezza.
Un uomo, imbacuccato nei pesanti abiti invernali, ma perfettamente calmo e tranquillo, si avvicinò alla loro auto e batté sul finestrino, per sapere se avessero bisogno di aiuto. Era il conducente di un carro attrezzi: e, alla loro risposta affermativa, con un cenno del capo, ma senza spendere nemmeno una parola (come poi, con stupore, avrebbero ricordato), li prese a rimorchio e li condusse fino alla città più vicina, su loro richiesta, lasciandoli proprio davanti alla porta dell’abitazione di un loro amico, rimasto alzato ad attenderli.
Non appena furono entrati al calduccio, si resero conto di non aver pagato il loro provvidenziale soccorritore, di non aver firmato alcuna ricevuta, insomma che il loro salvataggio si era svolto in maniera decisamente anomala; e fecero l’atto di voler uscire per parlare con l’uomo. Ma il loro amico osservò, stupito, che non c’era nessuno, lì fuori: al che essi, aprendo la porta, si resero contro che le cose stavano proprio così.
Non c’era nessuna luce nei dintorni, nessun segno di movimento; corsero fino all’angolo della strada, ma non videro, né udirono alcun veicolo che si stesse allontanando. Di più: guardando a terra, nella neve che ricopriva la via, si accorsero che non c’erano tracce di pneumatici, tranne quelle della loro auto. Era come se il provvidenziale carro attrezzi si fosse letteralmente volatilizzato; e, con esso, anche il suo misterioso guidatore.
Questo episodio, capitato a suo figlio, è stato descritto da una giornalista americana, Joan Wester Anderson, in un libro che raccoglie parecchi altri casi del genere, che le sono stati raccontati da persone di ogni parte degli Stati Uniti e che ha avuto, in quel Paese, un grande successo di pubblico: vi si riportano fatti, nomi, date, circostanze precise.
Ora, uno dei pilastri della moderna concezione scientifica è che, se un fenomeno non è misurabile e non è riproducibile, possibilmente in laboratorio o, comunque, in condizioni controllate, non ha rilevanza per il sapere: o lo si nega, puramente e semplicemente, parlando volta a volta di truffa, di allucinazione, di illusione sensoriale; oppure lo si mette fra parentesi e si procede come se nulla fosse, ignorandolo, ed ignorando pure le sue implicazioni.
Evidentemente, un fatto come quello che abbiamo brevemente descritto non può essere né misurato, né, tanto meno, riprodotto in laboratorio: del resto, l’assenza di tracce sulla neve sembra parlare chiaro: quel famoso carro attrezzi non esiste, non è mai esistito. Sta di fatto, però, che le conseguenze del suo tempestivo intervento ci sono state, eccome: due giovani vite sono state salvate da una morte pressoché certa. E dunque?
E dunque, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale, anche se si è partigiani ad oltranza di questo modello scientifico, di riconoscere che esiste una distinzione fra ciò che non si è in grado di spiegare e ciò che non può esistere: perché, se si abolisce una tale distinzione, si cade nel dogmatismo di ammettere come reale e come possibile solo ciò che può essere osservato e descritto in termini di razionalità oggettiva.
In genere, gli scientisti e tutti coloro i quali sono imbevuti di pregiudizi materialistici danno per scontato, mentre scontato non è, che quanto non può essere osservato e descritto secondo le categorie della logica, deve essere necessariamente o un abbaglio, o una mistificazione, e, comunque, qualcosa di impossibile “a priori”; per loro, infatti, la realtà è esclusivamente materiale, e ciò che non è materiale non ha diritto di cittadinanza nel loro quadro concettuale, anzi, nel concetto di realtà, quale essi la intendono.
Non li sfiora nemmeno l’idea che la logica razionale sia solo una forma di conoscenza; e che possano darsi delle forme di conoscenza le quali, pur non seguendo tale schema, non sono da considerarsi affatto di natura inferiore, ma, semmai, di natura “altra” e, sotto molti punti di vista, perfino superiore.
Ecco qui una madre che non vede il figlio da mesi, impegnato in un viaggio in terre lontane; non c’è, comunque, una particolar ragione per pensare che, proprio oggi, egli sia in una particolare situazione di pericolo: pure, ad un tratto, la donna impallidisce e si accascia sulla sedia, ammutolendo. Riavutasi, mormora al marito: «Nostro figlio è morto», per poi piombare in uno stato di cupa depressione. Lui ne ride, le dice che ben presto riceveranno notizie del giovane e che non c’è alcun motivo di stare in ansia.
Invece, una settimana dopo, arriva la tragica notizia che il loro figlio è morto improvvisamente: e, confrontando le date, si scopre che il decesso ha avuto luogo nel giorno e nell’ora precisa in cui la madre aveva avuto la sua tragica premonizione.
Ebbene, fatti del genere sono assai più frequenti di quel che non si creda: sono legione; né si deve pensare che si tratti di pure leggende metropolitane, ma, al contrario, di fatti supportati da una inoppugnabile documentazione. E allora, come li spiegano i nostri solerti scientisti, con il loro rigido materialismo e il loro razionalismo a tutta prova?
Ma torniamo alla casistica relativa ai salvataggi in extremis, accomunati da due circostanze ben precise: primo, il fatto che solo i diretti interessati hanno visto il proprio soccorritore; secondo, che egli è comparso quando essi, o una persona a loro cara, hanno rivolto una preghiera a Dio, per ricevere aiuto in presenza di un serio pericolo.
Ecco uno dei tanti casi raccolti dalla già citata Joan Wester Anderson nel suo libro «Là, dove camminano gli angeli. Storie vere di incontri celesti» (titolo originale: «Where Angels Walk: True Stories of Heavenly Visitors», 1992; traduzione italiana di Alessandra De Vizzi , Milano, Sonzogno, 1995, pp. 49-51):

«Jean Hannan Onracek di Omaha […] nel 1958 […] si era recata con la sorella Pat e due amiche in una località termale sui monti Ozark a trascorrere un divertente fine settimana al sole. Poiché era l’unica a saper nuotare, il sabato mattina decise di avventurarsi in acqua. Le sue compagne preferirono invece restare sulle rive del lago ad abbronzarsi.”C’erano altre persone in quella zona”, ricorda Jean, “ma nel punto della spiaggia in cui ci trovavamo noi non c’era nessuno, neanche il bagnino. Per quanto ne sapevo, ero l’unica a nuotare in quel lago.
Con il sole caldo e l’acqua così rinfrescante, il tempo passò più velocemente di quanto si aspettasse Jean. A un certo punto la donna, giunta al largo senza accorgersene - e in un punto in cui l’acqua era particolarmente profonda -, restò improvvisamente senza fiato. Sconvolta, si rese conto di non avere abbastanza energia per tornare a riva.
Gridò e fece alcuni cenni disperati con la mano.  Riusciva appena a scorgere le sagome sulla spiaggia, ma purtroppo nessuno stava guardando nella sua direzione. La sua paura aumentava sempre più, e Jean si rese conto che sarebbe potuta annegare. “Mio Dio, aiutami, aiutami”, pregò a voce alta.
Improvvisamente scorse qualcosa alla sua sinistra: una barca! Sembrava una vecchia canoa abbandonata: se fosse riuscita a salirci sopra, , magari avrebbe potuto remare fino a riva… Con le ultime forze rimaste Jean si avvicinò all’imbarcazione, ma quando la vie da vicino si sentì assalire dalla disperazione.  Si trattava infatti di una vecchia barchetta, priva di remi e apparentemente  ancorata sul fondo del lago.  Jean poté almeno fermarsi a prendere fiato, ma si trattava di un sollievo momentaneo.
Quanto avrebbe potuto resistere prima che Pat e le altre si accorgessero della sua assenza? E se non si fossero allarmate, convinte magari che lei fosse risalita a riva in un altro punto della spiaggia? Che cosa sarebbe accaduto  quando i raggi del sole avessero incominciato a bruciarle la pelle, quando la sete fosse diventata insopportabile e le braccia si fossero stancate, impedendole di restare ancora aggrappata? E se la vecchia barca , così malconcia, fosse andata in mille pezzi?  Jean si mise a piangere. “Aiuto”, gridò ancora. “Per favore, aiutatemi!”.
A un tratto sentì un rumore alla sua destra, si girò e vide  un uomo poco più vecchio di lei che nuotava disinvolto fra le onde, andando a fermarsi davanti a lei. “Salve”, la salutò tranquillo, come se passare da quelle parti fosse la cosa più naturale del mondo. “C’è qualcosa che non va?”.
“Io… non ho più fiato”, rispose Jean, sentendosi subito meglio. “Da dove arrivi? Non ho visto nuotare nessuno… e stavo cercando aiuto!”.
Il giovane si strinse nelle spalle con aria indifferente. “Sono un ispettore della sicurezza, e uno dei miei compiti consiste nel salvare la vita di chi sta in acqua. Credi di riuscire a nuotare fino a riva?”.
“Oh no.” Jean scrollò la testa. “Sono esausta”.
“Avanti, puoi farcela!”. Il giovane ispettore sorrise, fiducioso. “Nuoterò davanti a te  finché non raggiungerai la spiaggia, e se ci sarà qualche problema potrò sorreggerti.”
“In tal caso…” Il ragazzo sembrava così fiducioso che Jean pensò di potercela fare, soprattutto perché lui avrebbe potuto soccorrerla in qualunque momento.
Jean fece ricorso a tutta l’energia rimasta e percorse  il tratto di lago che la separava dalla salvezza. L’ispettore non parlò molto, ma mantenne la parola data e nuotò accanto a lei, tenendola sempre d’occhio. Con un ultimo sforzo disperato Jean si gettò trionfante sulla riva sabbiosa. Pat e le amiche, ancora comodamente stese sui loro asciugamani, la osservarono arrancare fra le onde. “Che cosa ti è successo?” gridò Pat. “Sei stata via così a lungo!”
“Ho rischiato di annegare”, annaspò Jean, trascinandosi verso di loro.  “Se non fosse stato per quel bagnino…”
“Quale bagnino” Pat guardò in lontananza.
“L’ispettore della sicurezza che ha nuotato fin qui con me.” Jean si girò per indicarlo alla sorella.
Ma non c’era alcun ragazzo, e nessuno stava nuotando nel lago o camminando sulla spiaggia.  E re amiche di Jean l’avevano vista arrivare da sola.
Jean non rivide mai più il suo salvatore, e più tardi scoprì che in quella cittadina non c’era un bagnino, e nemmeno un “ispettore della sicurezza”. Forse si trattava di una guardia di diverso genere…»

Che dire, dunque, di un racconto come questo, e di tantissimi altri del medesimo tenore, quando siano confermati non solo da testimonianze autorevoli di persone assolutamente degne di fede, ma anche, in più occasioni, da riscontri oggettivi?
Gli increduli per partito preso osserveranno che, se non vi sono altri testimoni all’infuori dei protagonisti di tali esperienze, viene a cadere il criterio fondamentale dell’oggettività: si scivolerebbe pertanto, a sentir loro, nel “mare magnum” dell’autosuggestione, del sogno, della trance, dell’allucinazione o di chissà quali altri disturbi psichici.
Nel caso dei ragazzi rimasti isolati sull’autostrada, gli ipercritici diranno che non giunse alcun carro attrezzi, ma che il motore della loro auto era ripartito spontaneamente, come prova il fatto che, sulla neve, essi poi videro solo le tracce del proprio veicolo. Nel caso della ragazza che faceva il bagno e che stava per annegare, essi sosterranno che nessun bagnino misterioso venne a soccorrerla; ma che, semplicemente, ella ritrovò in sé la forza di nuotare fino alla riva, come del resto lei stessa riconosce, dato che non dice di essere stata sospinta o sorretta fisicamente, ma solo incoraggiata ed accompagnata dal suo soccorritore.
Per il resto, le eccezionali condizioni atmosferiche nel primo caso, con quella micidiale temperatura sotto lo zero, ed il sole accecante nel secondo, con gli inevitabili effetti di un probabile colpo di calore, possono spiegare la “visione” dei soccorritori, venuti proprio al momento giusto per salvare quelle persone che, ormai, si consideravano perdute.
Certo, questo tipo di interpretazione non fa una grinza, sul piano logico.
Resta tuttavia un piccolo problema da sciogliere, di cui esse non tengono minimamente conto: e cioè la ferma convinzione di quelle persone di aver vissuto una esperienza reale; di aver avuto a che fare con un soccorso esterno determinato dalla preghiera, o da quella dei propri cari; di non essere riuscite a salvarsi per mezzo di risorse umane, ma solo ed esclusivamente con l’aiuto di qualcuno che è apparso proprio quando esse erano giunte alla conclusione, in perfetta lucidità e consapevolezza, che, umanamente, per loro era finita, e nulla avrebbe più potuto salvarle da una morte assolutamente certa.
Del resto, i nostri nonni e i nostri avi hanno sempre creduto in cose del genere, come provano le migliaia di quadretti con la sigla P. G. R., ossia “Per grazia ricevuta”, appesi nei santuari di tutto il mondo, spesso accompagnati da un ingenuo dipinto, raffigurante la scena della loro miracolosa salvazione. Ma noi, moderni sapientoni, siamo abituati a scrollare le spalle davanti a quei secoli pervasi da una fede che non è più la nostra; e, convinti di saperla molto più lunga, liquidiamo tutti quegli episodi come delle pure e semplici coincidenze fortuite.
E tuttavia, ci permettiamo una scomoda domanda: è mai possibile che si debba credere di più a delle deduzioni fatte a tavolino, freddamente, che non ai dati della coscienza che ha vissuto in prima persona quelle esperienze?
Possibile che si debba ritenere come irrilevante, o, in ogni modo, come una forma di sapere di secondo o terzo livello,  inaffidabile e inattendibile, quella derivante da una esperienza realmente vissuta, solo perché in contrasto con ciò che crediamo, o piuttosto che crediamo di sapere, circa il mondo fisico e le leggi che infallibilmente lo governano?

Francesco Lamendola

1 commento:

  1. Io direi piuttosto: è saggio non crederci ? la mia risposta è NO, non è saggio ma stolto. L'aiuto dell'Angelo Custode, per chi lo ama e sa conquistarsi la sua vicinanza, è fondamentale e consolatorio, oltre che essere di grandissimo aiuto.
    Ricordo soltanto de casi:
    1) Santa Gemma Galgani, la grande santa lucchese, che conquistò la santità tra i fornelli, a servizio da una famiglia benestante di Lucca, era molto confidenziale con il suo angelo custode. tanto che di lei si suol dire "ANGELI E FORNELLI". Morì molto giovane, purtroppo, consumata dalle malattie, ma nella sua breve vita seppe dare esempio di grandi virtù cristiane, oltre che dell'esistenza degli angeli.
    2) ho letto che Padre Pio, ad un suo penitente che veniva da Milano e che gli disse che era molto stanco per il lungo viaggio in auto, così rispose "non ti preoccupare, fai guidare il tuo angelo custode, e tu riposasti"; e a San Pio da Pietralcina non si può certo dare del bugiardo.
    Pertanto tutti gli altri pareri in proposito, anche se provenienti da "cristiani adulti" alla Ravasi o alla Enzo Bianchi, non mi interessano minimamente..
    Pace e bene

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