Se la Chiesa del dialogo si ritira dalla battaglia
Ora, come ha spiegato questo quotidiano, emergono gli intellettuali che chiedono un doveroso dialogo con l’ideologia gender, fingendo di non vedere che essa è ormai ben altro dalla vecchia questione dei tempi degli “studi di genere”. Diocesi istituiscono tavoli di discussione in cui invitano anche l’onorevole Cirinnà, la firmataria del disegno di legge sulle unioni civili. Dirigenti di associazioni ecclesiali sostengono che nelle scuole è inutile e dannoso che i genitori scrivano lettere alla dirigenza o ritirino i figli per protesta contro l’ideologia gender che vi viene insegnata, mentre dovrebbero invece partecipare in forma di dialogo e tutto si stempererebbe nella normalità. Coloro che in questa fase sentono che c’è una battaglia culturale da combattere su questi temi, sentono anche di essere solo una parte, non si può dire quanto piccola o grande, della Chiesa e del mondo cattolico. Ma chiediamoci: perché sembra che la Chiesa non sia più capace di fare battaglie di idee?
Ammettiamo che la rivelazione di Dio non avvenga dall’esterno del mondo e della nostra storia, ma avvenga dall’interno della natura e della storia, tramite la nostra esperienza e abbia quindi un carattere esistenziale. Ammettiamo che i cattolici non siano in possesso di verità che Dio, aprendo il Cielo stellato, ha comunicato, ma che la Sua comunicazione avvenga dall’interno di quanto ci capita nella vicenda della nostra vita. Ammettiamo che Dio non ci abbia rivelato un “ordine” frutto della Sua sapiente creazione, una nostra natura come progetto da completare, il nostro fine come vocazione già inscritta nella nostra natura ed elevata fin dall’inizio al soprannaturale. Ammettiamo che Cristo non ci abbia dato risposte. In questo caso i cattolici sarebbero, insieme a tutti gli altri uomini, persone che cercano. La differenza sarebbe solo che essi sanno per fede che in questo loro cercare si rivela Dio e che l’unico suo comandamento sia stato proprio questo: di cercare, camminando insieme a tutti gli altri uomini.
Se supponiamo tutto questo, risulta evidente che il dialogo, da metodo diventa sostanza. E non solo il dialogo con gli altri uomini, ma il dialogo con le cose che accadono nel mondo, con le dinamiche dell’esistenza, con le ideologie. In questo caso la Chiesa non può più “dire” una verità ma solo dialogare. C’è chi dice che proprio dialogando la Chiesa può affermare meglio le sue verità, ma è solo una scusa che assume ancora il dialogo come metodo e non come sostanza. Nella situazione che ho brevemente descritto sopra, non c’è più il bene e il male, divisi in modo netto, almeno in certe occasioni. In tutte le situazioni di vita c’è del bene e del male e il dialogo tra gli uomini dovrebbe aiutarci a discernere, ma mai in modo definitivo. Anche il peccato risulta avvolto nella complessità dell’esistenza e difficilmente decifrabile.
Capita così che in un’unione omosessuale ci può essere del bene che va considerato e apprezzato, che in una convivenza ci possano essere degli aspetti positivi che vanno fatti emergere ed eventualmente sviluppati. Nessuna situazione di vita è però condannabile. Nessuna idea è da combattere. Le cosiddette azioni intrinsecamente cattive (gli intrinsece mala della morale cattolica) non esistono e diventa inutile dire a chi condivide questa teologia che l’adulterio, l’esercizio del sesso fori del matrimonio, l’omosessualità sono sempre atti sbagliati. Per lui di atti sempre sbagliati non ne esistono, perché ogni atto è dentro una narrazione, va quindi contestualizzato ed affrontato non dottrinalmente ma esistenzialmente.
In questo contesto teologico in cui il dialogo diventa sostanza è logico che i contenuti diventino accidente. Con queste premesse è logico che la pastorale (dialogica) assuma il primo posto e la dottrina l’ultimo: quando nelle parrocchie si parla di gender, in realtà, se ne discute. Oppure, come oggi si dice, ognuno porta la propria “narrazione”. Poiché la posizione teologica che ho sommariamente descritto sopra è molto diffusa nella Chiesa, anche italiana, e viene ormai quasi sistematicamente insegnata e condivisa negli ambiti pastorali, si comprende perché la Chiesa non sia in grado oggi di fare una battaglia di idee sul gender, e come essa cerchi invece il compromesso, o l’incontro, o il dialogo. La Chiesa non pensa oggi di avere una propria cultura, pensa di avere la cultura del dialogo.
Ecco spiegato anche perché coloro che invece si battono contro il gender lo fanno perché non condividono la teologia che ho richiamato sopra. Alla base non ci sono solo posizioni personali o la pressione di interessi vari, c’è una grande questione teologica che ci stiamo trascinando da molto e molto tempo. Chiedere al Papa, come hanno fatto i firmatari della “Richiesta Filiale”, di chiarire dottrinalmente i termini della questione omosessualità, della questione gender e affini, è come chiedergli implicitamente di chiarire decenni di teologie diverse dentro la Chiesa. Altrimenti che bisogno ci sarebbe di un simile chiarimento? Il Magistero ha già parlato, solo che le sue parole cadono su terreni teologici ormai molto diversi. Il punto è questo.
Ora, come ha spiegato questo quotidiano, emergono gli intellettuali che chiedono un doveroso dialogo con l’ideologia gender, fingendo di non vedere che essa è ormai ben altro dalla vecchia questione dei tempi degli “studi di genere”. Diocesi istituiscono tavoli di discussione in cui invitano anche l’onorevole Cirinnà, la firmataria del disegno di legge sulle unioni civili. Dirigenti di associazioni ecclesiali sostengono che nelle scuole è inutile e dannoso che i genitori scrivano lettere alla dirigenza o ritirino i figli per protesta contro l’ideologia gender che vi viene insegnata, mentre dovrebbero invece partecipare in forma di dialogo e tutto si stempererebbe nella normalità. Coloro che in questa fase sentono che c’è una battaglia culturale da combattere su questi temi, sentono anche di essere solo una parte, non si può dire quanto piccola o grande, della Chiesa e del mondo cattolico. Ma chiediamoci: perché sembra che la Chiesa non sia più capace di fare battaglie di idee?
Ammettiamo che la rivelazione di Dio non avvenga dall’esterno del mondo e della nostra storia, ma avvenga dall’interno della natura e della storia, tramite la nostra esperienza e abbia quindi un carattere esistenziale. Ammettiamo che i cattolici non siano in possesso di verità che Dio, aprendo il Cielo stellato, ha comunicato, ma che la Sua comunicazione avvenga dall’interno di quanto ci capita nella vicenda della nostra vita. Ammettiamo che Dio non ci abbia rivelato un “ordine” frutto della Sua sapiente creazione, una nostra natura come progetto da completare, il nostro fine come vocazione già inscritta nella nostra natura ed elevata fin dall’inizio al soprannaturale. Ammettiamo che Cristo non ci abbia dato risposte. In questo caso i cattolici sarebbero, insieme a tutti gli altri uomini, persone che cercano. La differenza sarebbe solo che essi sanno per fede che in questo loro cercare si rivela Dio e che l’unico suo comandamento sia stato proprio questo: di cercare, camminando insieme a tutti gli altri uomini.
Se supponiamo tutto questo, risulta evidente che il dialogo, da metodo diventa sostanza. E non solo il dialogo con gli altri uomini, ma il dialogo con le cose che accadono nel mondo, con le dinamiche dell’esistenza, con le ideologie. In questo caso la Chiesa non può più “dire” una verità ma solo dialogare. C’è chi dice che proprio dialogando la Chiesa può affermare meglio le sue verità, ma è solo una scusa che assume ancora il dialogo come metodo e non come sostanza. Nella situazione che ho brevemente descritto sopra, non c’è più il bene e il male, divisi in modo netto, almeno in certe occasioni. In tutte le situazioni di vita c’è del bene e del male e il dialogo tra gli uomini dovrebbe aiutarci a discernere, ma mai in modo definitivo. Anche il peccato risulta avvolto nella complessità dell’esistenza e difficilmente decifrabile.
Capita così che in un’unione omosessuale ci può essere del bene che va considerato e apprezzato, che in una convivenza ci possano essere degli aspetti positivi che vanno fatti emergere ed eventualmente sviluppati. Nessuna situazione di vita è però condannabile. Nessuna idea è da combattere. Le cosiddette azioni intrinsecamente cattive (gli intrinsece mala della morale cattolica) non esistono e diventa inutile dire a chi condivide questa teologia che l’adulterio, l’esercizio del sesso fori del matrimonio, l’omosessualità sono sempre atti sbagliati. Per lui di atti sempre sbagliati non ne esistono, perché ogni atto è dentro una narrazione, va quindi contestualizzato ed affrontato non dottrinalmente ma esistenzialmente.
In questo contesto teologico in cui il dialogo diventa sostanza è logico che i contenuti diventino accidente. Con queste premesse è logico che la pastorale (dialogica) assuma il primo posto e la dottrina l’ultimo: quando nelle parrocchie si parla di gender, in realtà, se ne discute. Oppure, come oggi si dice, ognuno porta la propria “narrazione”. Poiché la posizione teologica che ho sommariamente descritto sopra è molto diffusa nella Chiesa, anche italiana, e viene ormai quasi sistematicamente insegnata e condivisa negli ambiti pastorali, si comprende perché la Chiesa non sia in grado oggi di fare una battaglia di idee sul gender, e come essa cerchi invece il compromesso, o l’incontro, o il dialogo. La Chiesa non pensa oggi di avere una propria cultura, pensa di avere la cultura del dialogo.
Ecco spiegato anche perché coloro che invece si battono contro il gender lo fanno perché non condividono la teologia che ho richiamato sopra. Alla base non ci sono solo posizioni personali o la pressione di interessi vari, c’è una grande questione teologica che ci stiamo trascinando da molto e molto tempo. Chiedere al Papa, come hanno fatto i firmatari della “Richiesta Filiale”, di chiarire dottrinalmente i termini della questione omosessualità, della questione gender e affini, è come chiedergli implicitamente di chiarire decenni di teologie diverse dentro la Chiesa. Altrimenti che bisogno ci sarebbe di un simile chiarimento? Il Magistero ha già parlato, solo che le sue parole cadono su terreni teologici ormai molto diversi. Il punto è questo.
Dal genere parlamentare al genere “cattolico”
Come si dà dignità ideale a pure scempiaggini. Le acrobazie a cui assistiamo, sulla stampa “ufficiale” cattolica, per contrabbandare l’armoniosa intesa chiesa-società sull’educazione unica, statale e indiscutibile, necessaria nella costruzione del mondo nuovo unificato e pacificato. L’istruttiva lettura dei due fronti distinti su cui è stato attaccato Don Giovanni Ferrara.
di Patrizia Fermani
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Ad una settimana dall’attacco sferrato mediaticamente contro Don Giovanni Ferrara, reo di avere ideato una scuola “parentale” per sottrarre i bambini al piano di indottrinamento totalitario, possiamo dire che la vicenda si inserisce in modo esemplare in tutto un quadro d’insieme: una politica al servizio dei poteri sovranazionali che mirano ad omologare ogni identità culturale in un unico arbitrario canone etico, una Chiesa che sembra avere rinunciato alla propria missione salvifica per adeguarsi alle direttive della prima.
In mezzo chi tenta di sfuggire ad una morsa che sembra non avere precedenti nella storia.
Come è noto l’idea della scuola parentale si è fatta strada fra molti genitori e no, man mano che sono venuti alla luce i documenti dell’OMS e la congerie di raccomandazioni, risoluzioni, delibere dei vari organismi sovranazionali volti tutti ad imporre gli ormai ben noti “canoni educativi “ in materia sessuale e di etica famigliare. Mentre cresce all’esterno la pressione del ricatto internazionale sul governo, e all’interno quella delle varie associazioni interessate alla realizzazione del piano eversivo, munite di un sorprendente quanto illegittimo potere contrattuale, partono proditoriamente e in sordina “sperimentazioni” educative ai danni dei bambini e adolescenti. Finché viene varata la legge sul femminicidio, che dando esecuzione agli accordi di Istanbul sulla violenza e le discriminazioni ai danni delle donne, parte dal presupposto che il fenomeno sia anche in Italia di entità tale da richiedere addirittura una riforma ad hoc del codice penale.
La sproporzione tra la realtà delle cose e la cura adottata anche per l’Italia, la dice lunga sulla matrice ideologica della legge e soprattutto sulla sua funzione effettiva, che è quella di aprire la strada alla nuova rivoluzione culturale. Infatti, poiché evidentemente la sanzione penale aggravata non basta a frenare tali violenze, la legge si propone di lavorare sulla “cultura”, e, fra altre amenità, oltre a misure di prevenzione e rieducazione speciale (compreso il braccialetto da mettere al violento di turno), la legge prevede all’art.5c.2, anche un piano di massima di prevenzione generale in via educativa di cui vengono tracciate le linee guida. Gli viene dato il nome di “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”. Se si tratta di formare le coscienze contro la violenza sessuale, la educazione a fini preventivi, guarda caso, si allarga proprio ad abbracciare il tema del genere. Ed è evidente che per questa via, mentre si punta proprio alla valorizzazione del concetto di genere e alla decostruzione dei modelli etici naturali e famigliari, è stato trovato un modo obliquo per dare al tutto una consacrazione giuridica.
Intanto, dato per nulla trascurabile, a vegliare sulla nuova etica di stato, all’art.7 bis compare anche l’occhio vigile della invisibile polizia internazionale di cui ci siamo dotati, nell’ignoranza generale e nel silenzio mediatico, con il trattato di Velsen. E su questo varrà la pena di tornare con un articolo a parte.
Il “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, elaborato definitivamente nel dettaglio, il sette maggio scorso è stato presentato alla Camera per l’approvazione. Con esso l’indottrinamento alla ideologia del genere e a tutte le sue appendici diventa obbligatorio, anche se ben mescolato o in forma defilata rispetto alla sbandierata lotta contro la violenza sulle donne e annessa discriminazione. Ma il fatto a dir poco desolante è che questo piano, inserito formalmente all’interno di una legge che punisce comportamenti antisociali, attraverso il gioco del rinvio diventa parte integrante dei provvedimenti sulla scuola, e il suo contenuto è promosso a materia di insegnamento curricolare. Infatti dopo le direttive Fornero che gli hanno aperto la strada e dopo la legge Carrozza, la “buona scuola” di Renzi lo fa proprio. La cronaca dice che tre giorni dopo la manifestazione romana indetta proprio contro l’introduzione di questo indottrinamento aberrante nei programmi scolastici, viene approvata la riforma renziana che con un rinvio dell’art.16 recepisce il Piano e le idee che ne costituiscono l’intelaiatura. Un caso di democrazia diretta praticata da sempre dai governi comunisti, ma qui avvalorata dal concorso di una opposizione che si è automunita di guinzaglio e museruola, per non correre il rischio di abbaiare al momento sbagliato. Così, con Monti, Letta e Renzi, la garrotta sul collo della libertà di educazione viene chiusa definitivamente.
Dunque la legge sulla scuola ha come pezzo forte il Piano di indottrinamento alla decostruzione dei modelli etici naturali e di quelli famigliari in particolare, e ruota attorno alla idea del genere che già compare nel titolo, anche se dopo il riferimento d’obbligo alla violenza sessuale. E si capisce. Infatti il manufatto e il suo specifico fine decostruttivo è tutto giocato dietro la grande foglia di fico della violenza sulle donne e della violenza sessuale. Questa è l’unica che consente di parlare di sesso; infatti, poiché risulta un po’ difficoltoso per una donna violentare un maschio sobrio, se si cita il sesso non c’è modo di equivocare, e tutti capiscono che la vittima è provvista di genitali femminili. Altra foglia di fico è la supposta disuguaglianza giuridica e sociale tra maschi e femmine che farebbe sorridere anche se non ci fosse l’articolo 3 della costituzione a fugare ogni dubbio, insieme allo Statuto dei lavoratori e al semplice buon senso. E’ evidente che gli Standard come quello uscito dalla conferenza di Istanbul , elaborati in sede di accordi internazionali per promuovere l’emancipazione delle donne, sono rivolti ai paesi in cui le donne vengono trasportate insieme alle capre nel carretto dell’Ape. Ma alle signore che soggiornano in parlamento torna utile informare la gente ignorante, che anche in Italia le donne viaggiano nei treni in scompartimenti separati e non hanno accesso alle alte cariche dello stato. Tutt’al più fanno il Presidente della Camera e qualche volta anche della Confindustria. Poi magari capita pure che vadano ad abortire nella Ussl di competenza senza che il padre del “prodotto del concepimento” possa interloquire. Ma le parole valgono più dei fatti e ora l’importante è che il “genere” entri con tutti gli onori nel sistema italiano, ci si abitui fin da piccoli a capire che l’omosessualità è una buona scelta esistenziale e la famiglia è un antico ricettacolo di idee e rapporti minacciosi per la libertà individuale e soprattutto uno strumento di intollerabile oppressione per la donna (quella provvista di genitali femminili), vittima prestabilita.
Il buon Don Giovanni Ferrara, nel silenzio ultrasonico della chiesa ufficialmente cattolica, ha pensato di aiutare i genitori che essendosi accorti della avanzata di un nemico poderoso penetrato come una enorme metastasi in tutte le casematte della “cultura”, cercano disperatamente un modo per sottrarre ad esso i propri bambini.
Ma dalla vicenda mediatica che ne è seguita, come dicevamo all’inizio, si colgono facilmente molti spunti significativi. Infatti bisogna notare anzitutto come il fronte dei detrattori si sia diviso tra chi ha attaccato sul merito difendendo i programmi scolastici ministeriali e chi, senza neppure sfiorare l’argomento, si sia lanciato in una intemerata contro il modo troppo cattolico di interpretare il ministero sacerdotale, ovvero proprio quell’essere un prete cattolico senza sbavature, del parroco di Sant’Ignazio.
A difendere l’alto contenuto educativo del Piano renziano, e il suo valore antidiscriminatorio, è intervenuta sul Corriere la signora di genere parlamentare a nome Laura Puppato, che ha sentito il dovere morale di attaccare l’iniziativa della scuola parentale poiché avrebbe l’audacia di sottrarre alla macina del programma renziano qualche piccola preda. Come vi permettete di cercare di sfuggire alle chele di Bilderberg? Anzitutto, dice beffarda la Puppato, la teoria del gender non esiste. Per vero già la compagna Fedeli ci aveva informati di questa inesistenza per inutilità sopravvenuta o per altra causa. Cosa comprensibile. Ora che il genere è categoria consacrata dalle leggi della Repubblica, possiamo toglierlo di mezzo come entità autonoma di contenuto speculativo: perché dare il destro agli zotici di dire che si tratta di roba da dementi? Ora che il genere femminile ha ottenuto, con la legge sul femminicidio, lo stesso trattamento privilegiato riservato alle foche artiche rispetto ad altre specie animali, il problema è la violenza sessuale e la discriminazione di genere, in generale. La prima si esercita sulle donne come abbiamo visto, la seconda dipende dal soggetto implicato e quindi abbraccia anche le prime, perché nel più sta il meno. A ben pensare, poiché chi può discriminare a rigore di logica è solo il legislatore ordinario (il quivis de populo si limita a scegliere il collaboratore domestico che gli pare, finché gli sarà ancora consentito dalla legge) al quale l’articolo 3 della Costituzione vieta di fare leggi discriminatorie, un ingenuo potrebbe chiedersi con chi ce l’abbiano tutti questi santi custodi della antidiscriminazione. Invece, si capisce benissimo: vorrebbero che l’articolo 3 fosse esteso formalmente ai 56 generi codificati dalla nuova immaginifica rivoluzione culturale. L’importante è che a forza di ripetere sempre la stessa scempiaggine ci si convinca di dire una cosa intelligente e di grande peso democratico. Questo tipo di convinzione del resto non manca ora di irrobustire la coscienza civile di politici, ecclesiastici e intellettuali di riferimento.
Difatti la Puppato alla fine dello stesso articolo riassume il proprio pensiero con una frase lapidaria che mette tutto a posto e merita di essere riprodotta letteralmente : “Con la scusa della c.d. ideologia gender si attacca lo sviluppo di una cultura che mira alla doverosa parità e al rispetto tra i generi umani”.
Aiutata in questo sforzo di grande respiro speculativo dall’ assonanza con i generi alimentari che sicuramente possono ricomprendere una grande varietà di prodotti, la signora di genere parlamentare ci assicura dunque che esistono anche molti generi umani, tanti quanti una fantasia sana e illuminata può produrre. E di questa consapevolezza deve essere arricchito l’orizzonte spirituale di ogni bambino o adolescente. Grazie alla Puppato sappiamo senza ombra di dubbio cosa verrà insegnato nella buona scuola di Renzi, dell’Onu e dell’Eu, e perché bisogna fermare iniziative eversive come quelle della scuola parentale. In ogni caso dobbiamo però rimanere sereni perché il genere e la relativa teoria non esistono, anche se dobbiamo essere educati tutti alla parità e al rispetto tra i generi umani…
Molto interessante è il secondo tipo di interventi contro l’iniziativa di Don Giovanni, cioè di quelli che non si preoccupano di attaccare nel merito la scuola parentale per difendere la bontà della buona scuola renziana in fatto di criteri educativi, ma colgono l’occasione per scagliarsi sul modo di interpretare il ruolo del prete cattolico da parte di Don Giovanni. Forse perché anche questa può essere una questione di genere, e il genere cattolico ora democraticamente imposto è quello del cattolicesimo liberato da dogmi di fede, dottrina, liturgia e morale cattolica e sufficientemente liquido da potersi adattare alle richieste della società in evoluzione e in dissoluzione, e soprattutto alla politica dominante di volta in volta, anarcoide, marxista, terzomondista, mondialista ecc.
Significativa soprattutto la lettera di certo Schiavon, cognome tra i più diffusi nel Veneto, che estende la critica “religiosa” cui sottopone Don Giovanni, tanto per non badare a spese, ai 26 anni di pontificato di Wojtyla, gli 8 di Ratzinger, e perfino ai 26 del vescovo emerito Mattiazzo, ora in partenza per la Missione in Africa. L’unico orizzonte luminoso che ora finalmente si schiude sulla chiesa è, sempre secondo lo Schiavon, quello in cui campeggiano Bergoglio e Cipolla. Tutti questi anni di sofferenza devono avere tanto provato il fervente cattolico padovano da fargli cadere ogni freno inibitore persino nei confronti dell’ormai indifeso vescovo uscente. Delle due l’una: o il problema di Don Giovanni è solo quello religioso liturgico e per questo è stato messo in sì autorevole compagnia, e della scuola non ci si interessa proprio, oppure la scuola parentale non si accorda con l’intesa sulla scuola tra chiesa e politica, una intesa imposta dalla nuova dottrina neo cattolica o dagli accordi di non belligeranza stretti sul tavolo “orizzontale” (parole sue) da Galantino, oppure le due cose vanno insieme, e di tutto ciò è ben edotto l’accorto Schiavon, che di affari ecclesiastici deve pur essere esperto. Tanto esperto da poter lanciare a Don Giovanni quello che si chiama volgarmente un “avvertimento”.
Dunque a qualcuno, che pure si professa cattolico, interessa solo attaccare l’ortodossia cattolica così invisa al neo cattolicesimo al rimorchio della politica, e di certo non condivide la preoccupazione di Don Giovanni circa il pervertimento morale dei piccoli (proprio ora che la condivisione è stata inserita tra le virtù cardinali al posto della fortezza caduta già da tempo in disgrazia). Del resto, che questa condivisione manchi anche nei superiori di più alto grado gerarchico lo si era sospettato già di fronte al grande silenzio romano sulle iniziative “in difesa dei figli”.
Anzi, a convalidare addirittura l’ipotesi di una benigna accoglienza della scuola renziana da parte della chiesa neo cattolica , compare su Avvenire un interessante articolo di Chiara Giaccardi, sociologa della Università cattolica, che, dando ragione a chi come la Puppato insinua che il gender è invenzione dell’avversario cattolico, con il linguaggio criptico adatto ad un certo tipo di temi e ad un certo tipo di trattatisti, ci informa finalmente come di genere possiamo parlare cristianamente, anzi, come del genere anche la Chiesa debba farsi maestra. Lo dice attraverso tutto un percorso argomentativo, generosamente illustrato e pazientemente sviscerato da Roberto Marchesini in un recente articolo. E poiché di solito chi interviene in una diatriba lo fa proponendo la propria terza via che egli assicura essere sempre la migliore, così pure la nostra sociologa indica quale sia la versione cristiana del gender: non equivale al sesso, ci mancherebbe. Ma neppure me lo scelgo io a seconda di come mi sveglio la mattina, perché anche questo è proprio un po’ troppo. No. Il genere viene dalla relazione (che si tratti dell’eterno ritorno del famoso “incontro” ciellino?). Dobbiamo pensare allora che tutto dipenda dalla fortuna o meno di fare gli incontri giusti? Non si tratterà per caso della famosa capacità costitutiva della relazione che si ottiene dal suo instaurarsi di fatto? Certo una tale idea ci mette al riparo dagli stereotipi, dalle etichette date dalla società e da una famiglia retriva, però questo valore rimesso al caso, alla ruota della fortuna, pare un po’ nichilista, a meno che non si scomodi la Provvidenza e i suoi imperscrutabili disegni, anche senza arrivare alla predestinazione, che qualche questione sulla libertà, cristiana e no, la riaprirebbe. Mah! La fluidità del genere fluidifica anche le idee in armonia con la fluidificazione del cattolicesimo aggiornato.
L’intervento del resto segue a ruota uno scambio di vedute e amorosi sensi grosso modo su un tema limitrofo, quello delle relazioni omosessuali, avvenuto sulle pagine di Avvenire tra Dellai e il direttore (per leggerlo, CLICCA QUI). Dove tutto è passibile di dialogo, condivisione, confronto, tutto è possibile, democraticamente parlando, perché tutto deve tendere ineluttabilmente verso la pace universale. E la nuova pace universale passa per il principio secondo cui ciò che accade è anche giustificato e quindi non c’è neppure motivo di adottare criteri di giudizio. Difatti la nuova chiesa bergogliana non può rifiutare nulla e soprattutto non ha nulla a che fare con la insopportabile immutabilità dei principi cristiani e della legge naturale: a questi è stata sostituita una volta per tutte la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con il corredo dei desideri dei generi umani, con il diritto alla felicità. Una forma di delega senza obbligo di rendiconto che permetterà alla macchina organizzativa vaticana di dedicarsi finalmente solo e soltanto al travaso di generi umani e religiosi dai vari mondi al mondo ex cristiano, per contribuire alla costruzione del mondo nuovo unificato e pacificato.
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Ad una settimana dall’attacco sferrato mediaticamente contro Don Giovanni Ferrara, reo di avere ideato una scuola “parentale” per sottrarre i bambini al piano di indottrinamento totalitario, possiamo dire che la vicenda si inserisce in modo esemplare in tutto un quadro d’insieme: una politica al servizio dei poteri sovranazionali che mirano ad omologare ogni identità culturale in un unico arbitrario canone etico, una Chiesa che sembra avere rinunciato alla propria missione salvifica per adeguarsi alle direttive della prima.
In mezzo chi tenta di sfuggire ad una morsa che sembra non avere precedenti nella storia.
Come è noto l’idea della scuola parentale si è fatta strada fra molti genitori e no, man mano che sono venuti alla luce i documenti dell’OMS e la congerie di raccomandazioni, risoluzioni, delibere dei vari organismi sovranazionali volti tutti ad imporre gli ormai ben noti “canoni educativi “ in materia sessuale e di etica famigliare. Mentre cresce all’esterno la pressione del ricatto internazionale sul governo, e all’interno quella delle varie associazioni interessate alla realizzazione del piano eversivo, munite di un sorprendente quanto illegittimo potere contrattuale, partono proditoriamente e in sordina “sperimentazioni” educative ai danni dei bambini e adolescenti. Finché viene varata la legge sul femminicidio, che dando esecuzione agli accordi di Istanbul sulla violenza e le discriminazioni ai danni delle donne, parte dal presupposto che il fenomeno sia anche in Italia di entità tale da richiedere addirittura una riforma ad hoc del codice penale.
La sproporzione tra la realtà delle cose e la cura adottata anche per l’Italia, la dice lunga sulla matrice ideologica della legge e soprattutto sulla sua funzione effettiva, che è quella di aprire la strada alla nuova rivoluzione culturale. Infatti, poiché evidentemente la sanzione penale aggravata non basta a frenare tali violenze, la legge si propone di lavorare sulla “cultura”, e, fra altre amenità, oltre a misure di prevenzione e rieducazione speciale (compreso il braccialetto da mettere al violento di turno), la legge prevede all’art.5c.2, anche un piano di massima di prevenzione generale in via educativa di cui vengono tracciate le linee guida. Gli viene dato il nome di “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”. Se si tratta di formare le coscienze contro la violenza sessuale, la educazione a fini preventivi, guarda caso, si allarga proprio ad abbracciare il tema del genere. Ed è evidente che per questa via, mentre si punta proprio alla valorizzazione del concetto di genere e alla decostruzione dei modelli etici naturali e famigliari, è stato trovato un modo obliquo per dare al tutto una consacrazione giuridica.
Intanto, dato per nulla trascurabile, a vegliare sulla nuova etica di stato, all’art.7 bis compare anche l’occhio vigile della invisibile polizia internazionale di cui ci siamo dotati, nell’ignoranza generale e nel silenzio mediatico, con il trattato di Velsen. E su questo varrà la pena di tornare con un articolo a parte.
Il “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, elaborato definitivamente nel dettaglio, il sette maggio scorso è stato presentato alla Camera per l’approvazione. Con esso l’indottrinamento alla ideologia del genere e a tutte le sue appendici diventa obbligatorio, anche se ben mescolato o in forma defilata rispetto alla sbandierata lotta contro la violenza sulle donne e annessa discriminazione. Ma il fatto a dir poco desolante è che questo piano, inserito formalmente all’interno di una legge che punisce comportamenti antisociali, attraverso il gioco del rinvio diventa parte integrante dei provvedimenti sulla scuola, e il suo contenuto è promosso a materia di insegnamento curricolare. Infatti dopo le direttive Fornero che gli hanno aperto la strada e dopo la legge Carrozza, la “buona scuola” di Renzi lo fa proprio. La cronaca dice che tre giorni dopo la manifestazione romana indetta proprio contro l’introduzione di questo indottrinamento aberrante nei programmi scolastici, viene approvata la riforma renziana che con un rinvio dell’art.16 recepisce il Piano e le idee che ne costituiscono l’intelaiatura. Un caso di democrazia diretta praticata da sempre dai governi comunisti, ma qui avvalorata dal concorso di una opposizione che si è automunita di guinzaglio e museruola, per non correre il rischio di abbaiare al momento sbagliato. Così, con Monti, Letta e Renzi, la garrotta sul collo della libertà di educazione viene chiusa definitivamente.
Dunque la legge sulla scuola ha come pezzo forte il Piano di indottrinamento alla decostruzione dei modelli etici naturali e di quelli famigliari in particolare, e ruota attorno alla idea del genere che già compare nel titolo, anche se dopo il riferimento d’obbligo alla violenza sessuale. E si capisce. Infatti il manufatto e il suo specifico fine decostruttivo è tutto giocato dietro la grande foglia di fico della violenza sulle donne e della violenza sessuale. Questa è l’unica che consente di parlare di sesso; infatti, poiché risulta un po’ difficoltoso per una donna violentare un maschio sobrio, se si cita il sesso non c’è modo di equivocare, e tutti capiscono che la vittima è provvista di genitali femminili. Altra foglia di fico è la supposta disuguaglianza giuridica e sociale tra maschi e femmine che farebbe sorridere anche se non ci fosse l’articolo 3 della costituzione a fugare ogni dubbio, insieme allo Statuto dei lavoratori e al semplice buon senso. E’ evidente che gli Standard come quello uscito dalla conferenza di Istanbul , elaborati in sede di accordi internazionali per promuovere l’emancipazione delle donne, sono rivolti ai paesi in cui le donne vengono trasportate insieme alle capre nel carretto dell’Ape. Ma alle signore che soggiornano in parlamento torna utile informare la gente ignorante, che anche in Italia le donne viaggiano nei treni in scompartimenti separati e non hanno accesso alle alte cariche dello stato. Tutt’al più fanno il Presidente della Camera e qualche volta anche della Confindustria. Poi magari capita pure che vadano ad abortire nella Ussl di competenza senza che il padre del “prodotto del concepimento” possa interloquire. Ma le parole valgono più dei fatti e ora l’importante è che il “genere” entri con tutti gli onori nel sistema italiano, ci si abitui fin da piccoli a capire che l’omosessualità è una buona scelta esistenziale e la famiglia è un antico ricettacolo di idee e rapporti minacciosi per la libertà individuale e soprattutto uno strumento di intollerabile oppressione per la donna (quella provvista di genitali femminili), vittima prestabilita.
Il buon Don Giovanni Ferrara, nel silenzio ultrasonico della chiesa ufficialmente cattolica, ha pensato di aiutare i genitori che essendosi accorti della avanzata di un nemico poderoso penetrato come una enorme metastasi in tutte le casematte della “cultura”, cercano disperatamente un modo per sottrarre ad esso i propri bambini.
Ma dalla vicenda mediatica che ne è seguita, come dicevamo all’inizio, si colgono facilmente molti spunti significativi. Infatti bisogna notare anzitutto come il fronte dei detrattori si sia diviso tra chi ha attaccato sul merito difendendo i programmi scolastici ministeriali e chi, senza neppure sfiorare l’argomento, si sia lanciato in una intemerata contro il modo troppo cattolico di interpretare il ministero sacerdotale, ovvero proprio quell’essere un prete cattolico senza sbavature, del parroco di Sant’Ignazio.
A difendere l’alto contenuto educativo del Piano renziano, e il suo valore antidiscriminatorio, è intervenuta sul Corriere la signora di genere parlamentare a nome Laura Puppato, che ha sentito il dovere morale di attaccare l’iniziativa della scuola parentale poiché avrebbe l’audacia di sottrarre alla macina del programma renziano qualche piccola preda. Come vi permettete di cercare di sfuggire alle chele di Bilderberg? Anzitutto, dice beffarda la Puppato, la teoria del gender non esiste. Per vero già la compagna Fedeli ci aveva informati di questa inesistenza per inutilità sopravvenuta o per altra causa. Cosa comprensibile. Ora che il genere è categoria consacrata dalle leggi della Repubblica, possiamo toglierlo di mezzo come entità autonoma di contenuto speculativo: perché dare il destro agli zotici di dire che si tratta di roba da dementi? Ora che il genere femminile ha ottenuto, con la legge sul femminicidio, lo stesso trattamento privilegiato riservato alle foche artiche rispetto ad altre specie animali, il problema è la violenza sessuale e la discriminazione di genere, in generale. La prima si esercita sulle donne come abbiamo visto, la seconda dipende dal soggetto implicato e quindi abbraccia anche le prime, perché nel più sta il meno. A ben pensare, poiché chi può discriminare a rigore di logica è solo il legislatore ordinario (il quivis de populo si limita a scegliere il collaboratore domestico che gli pare, finché gli sarà ancora consentito dalla legge) al quale l’articolo 3 della Costituzione vieta di fare leggi discriminatorie, un ingenuo potrebbe chiedersi con chi ce l’abbiano tutti questi santi custodi della antidiscriminazione. Invece, si capisce benissimo: vorrebbero che l’articolo 3 fosse esteso formalmente ai 56 generi codificati dalla nuova immaginifica rivoluzione culturale. L’importante è che a forza di ripetere sempre la stessa scempiaggine ci si convinca di dire una cosa intelligente e di grande peso democratico. Questo tipo di convinzione del resto non manca ora di irrobustire la coscienza civile di politici, ecclesiastici e intellettuali di riferimento.
Difatti la Puppato alla fine dello stesso articolo riassume il proprio pensiero con una frase lapidaria che mette tutto a posto e merita di essere riprodotta letteralmente : “Con la scusa della c.d. ideologia gender si attacca lo sviluppo di una cultura che mira alla doverosa parità e al rispetto tra i generi umani”.
Aiutata in questo sforzo di grande respiro speculativo dall’ assonanza con i generi alimentari che sicuramente possono ricomprendere una grande varietà di prodotti, la signora di genere parlamentare ci assicura dunque che esistono anche molti generi umani, tanti quanti una fantasia sana e illuminata può produrre. E di questa consapevolezza deve essere arricchito l’orizzonte spirituale di ogni bambino o adolescente. Grazie alla Puppato sappiamo senza ombra di dubbio cosa verrà insegnato nella buona scuola di Renzi, dell’Onu e dell’Eu, e perché bisogna fermare iniziative eversive come quelle della scuola parentale. In ogni caso dobbiamo però rimanere sereni perché il genere e la relativa teoria non esistono, anche se dobbiamo essere educati tutti alla parità e al rispetto tra i generi umani…
Molto interessante è il secondo tipo di interventi contro l’iniziativa di Don Giovanni, cioè di quelli che non si preoccupano di attaccare nel merito la scuola parentale per difendere la bontà della buona scuola renziana in fatto di criteri educativi, ma colgono l’occasione per scagliarsi sul modo di interpretare il ruolo del prete cattolico da parte di Don Giovanni. Forse perché anche questa può essere una questione di genere, e il genere cattolico ora democraticamente imposto è quello del cattolicesimo liberato da dogmi di fede, dottrina, liturgia e morale cattolica e sufficientemente liquido da potersi adattare alle richieste della società in evoluzione e in dissoluzione, e soprattutto alla politica dominante di volta in volta, anarcoide, marxista, terzomondista, mondialista ecc.
Significativa soprattutto la lettera di certo Schiavon, cognome tra i più diffusi nel Veneto, che estende la critica “religiosa” cui sottopone Don Giovanni, tanto per non badare a spese, ai 26 anni di pontificato di Wojtyla, gli 8 di Ratzinger, e perfino ai 26 del vescovo emerito Mattiazzo, ora in partenza per la Missione in Africa. L’unico orizzonte luminoso che ora finalmente si schiude sulla chiesa è, sempre secondo lo Schiavon, quello in cui campeggiano Bergoglio e Cipolla. Tutti questi anni di sofferenza devono avere tanto provato il fervente cattolico padovano da fargli cadere ogni freno inibitore persino nei confronti dell’ormai indifeso vescovo uscente. Delle due l’una: o il problema di Don Giovanni è solo quello religioso liturgico e per questo è stato messo in sì autorevole compagnia, e della scuola non ci si interessa proprio, oppure la scuola parentale non si accorda con l’intesa sulla scuola tra chiesa e politica, una intesa imposta dalla nuova dottrina neo cattolica o dagli accordi di non belligeranza stretti sul tavolo “orizzontale” (parole sue) da Galantino, oppure le due cose vanno insieme, e di tutto ciò è ben edotto l’accorto Schiavon, che di affari ecclesiastici deve pur essere esperto. Tanto esperto da poter lanciare a Don Giovanni quello che si chiama volgarmente un “avvertimento”.
Dunque a qualcuno, che pure si professa cattolico, interessa solo attaccare l’ortodossia cattolica così invisa al neo cattolicesimo al rimorchio della politica, e di certo non condivide la preoccupazione di Don Giovanni circa il pervertimento morale dei piccoli (proprio ora che la condivisione è stata inserita tra le virtù cardinali al posto della fortezza caduta già da tempo in disgrazia). Del resto, che questa condivisione manchi anche nei superiori di più alto grado gerarchico lo si era sospettato già di fronte al grande silenzio romano sulle iniziative “in difesa dei figli”.
Anzi, a convalidare addirittura l’ipotesi di una benigna accoglienza della scuola renziana da parte della chiesa neo cattolica , compare su Avvenire un interessante articolo di Chiara Giaccardi, sociologa della Università cattolica, che, dando ragione a chi come la Puppato insinua che il gender è invenzione dell’avversario cattolico, con il linguaggio criptico adatto ad un certo tipo di temi e ad un certo tipo di trattatisti, ci informa finalmente come di genere possiamo parlare cristianamente, anzi, come del genere anche la Chiesa debba farsi maestra. Lo dice attraverso tutto un percorso argomentativo, generosamente illustrato e pazientemente sviscerato da Roberto Marchesini in un recente articolo. E poiché di solito chi interviene in una diatriba lo fa proponendo la propria terza via che egli assicura essere sempre la migliore, così pure la nostra sociologa indica quale sia la versione cristiana del gender: non equivale al sesso, ci mancherebbe. Ma neppure me lo scelgo io a seconda di come mi sveglio la mattina, perché anche questo è proprio un po’ troppo. No. Il genere viene dalla relazione (che si tratti dell’eterno ritorno del famoso “incontro” ciellino?). Dobbiamo pensare allora che tutto dipenda dalla fortuna o meno di fare gli incontri giusti? Non si tratterà per caso della famosa capacità costitutiva della relazione che si ottiene dal suo instaurarsi di fatto? Certo una tale idea ci mette al riparo dagli stereotipi, dalle etichette date dalla società e da una famiglia retriva, però questo valore rimesso al caso, alla ruota della fortuna, pare un po’ nichilista, a meno che non si scomodi la Provvidenza e i suoi imperscrutabili disegni, anche senza arrivare alla predestinazione, che qualche questione sulla libertà, cristiana e no, la riaprirebbe. Mah! La fluidità del genere fluidifica anche le idee in armonia con la fluidificazione del cattolicesimo aggiornato.
L’intervento del resto segue a ruota uno scambio di vedute e amorosi sensi grosso modo su un tema limitrofo, quello delle relazioni omosessuali, avvenuto sulle pagine di Avvenire tra Dellai e il direttore (per leggerlo, CLICCA QUI). Dove tutto è passibile di dialogo, condivisione, confronto, tutto è possibile, democraticamente parlando, perché tutto deve tendere ineluttabilmente verso la pace universale. E la nuova pace universale passa per il principio secondo cui ciò che accade è anche giustificato e quindi non c’è neppure motivo di adottare criteri di giudizio. Difatti la nuova chiesa bergogliana non può rifiutare nulla e soprattutto non ha nulla a che fare con la insopportabile immutabilità dei principi cristiani e della legge naturale: a questi è stata sostituita una volta per tutte la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con il corredo dei desideri dei generi umani, con il diritto alla felicità. Una forma di delega senza obbligo di rendiconto che permetterà alla macchina organizzativa vaticana di dedicarsi finalmente solo e soltanto al travaso di generi umani e religiosi dai vari mondi al mondo ex cristiano, per contribuire alla costruzione del mondo nuovo unificato e pacificato.
http://www.riscossacristiana.it/dal-genere-parlamentare-al-genere-cattolico-di-patrizia-fermani/
Gender as simbolic glue: un documento per rilanciare l’offensiva
(di Lupo Glori) La mobilitazione internazionale contro ilgender inizia a dare i suoi frutti e sembra preoccupare, non poco, i suoi promotori, al punto da spingerli a redigere un’approfondita ed allarmata analisi della situazione, per individuare le falle della propria strategia e passare al contrattacco.
In un interessante articolo, pubblicato sul sito dell’organizzazione non governativa con sede a Bruxelles, “European Dignity Watch”, dal titoloGender Activists Alarmed: New Report on the Anti-Gender Mobilizations in Europe, la nota sociologa e saggista tedesca Gabriele Kuby ha infatti, reso noto la pubblicazione, con il sostegno finanziario del Parlamento europeo, di un corposo dossier di 146 pagine, intitolatoGender as simbolic glue. The position and role of conservative and far right parties in the anti-gender mobilization in Europe.
Il report, pubblicato dalla “Foundation for European Progressive Studies” (FEPS) e dal “Friedrich-Ebert-Stiftung” (FES), passa in rassegna la mobilitazione internazionale contro l’agenda gender europea, dedicando un capitolo ciascuno alle attività di contrasto messe in atto in Francia, Germania, Ungheria, Polonia e Slovacchia.
Gli autori del documento esprimono la loro viva preoccupazione per l’inaspettata e crescente opposizione alle politiche del gender, scrivendo: «Movimenti anti-genere vogliono affermare che la parità di genere è un “ideologia”, e introdurre i termini ingannevoli di “ideologia di genere” o “teoria del genere”, che distorcono i risultati della parità di genere… Questo fenomeno ha conseguenze negative per la legislazione in materia di parità di genere. In tale prospettiva, il rapporto “Gender as simbolic glue” si propone di offrire raccomandazioni politiche per il fronte progressista affinché possa resistere contro l’attivismo politico fondamentalista».
Nel suo articolo di denuncia, la Kuby mette in evidenza come il principale soggetto promotore di tale iniziativa, il “Friedrich-Ebert-Stiftung” (FES) sia un think tank del “Partito socialdemocratico” (SPD), attualmente al governo in Germania, in coalizione con il “Partito Democratico cristiano” della cancelliera Angela Merkel, le cui posizioni in materia di gender e sessualità riproduttiva sono espresse molto chiaramente attraverso pubblicazioni e conferenze. La “FES” promuove infatti esplicitamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso, i diritti riproduttivi, la biotecnologia, la diversità sessuale, la parità di genere e l’educazione sessuale, attaccando individui, organizzazioni, partiti, e associazioni che operano a favore della vita e della famiglia.
Il documento si propone un’analisi critica della mobilitazione che sta avvenendo in Europa contro le politiche di genere, attraverso cinque differenti casi di studio. Lo scopo finale del dossier è quello di dare vita a un efficace programma di contro attacco nei confronti degli oppositori delgender.
Il report si apre con un lungo e dettagliato elenco cronologico, dal 2006 all’aprile 2015, nel quale vengono menzionate, uno ad uno, le azioni di contrasto all’ideologia gender poste in atto nei cinque paesi presi in esame. Nel 2008, ad esempio, la Germania si “permette” di organizzare una “Marcia per la Vita” che si propone di lottare contro l’aborto e di proteggere i bambini non ancora nati.
L’anno successivo, nel 2009, è la volta dell’Ungheria, “colpevole” di aver pubblicato un manifesto intitolato Dalla rivoluzione sessuale alla rivoluzione del gender ad opera del teologo Ferenc Tomka. Gli autori esprimono inoltre la loro preoccupazione per la crescente resistenza alla politica di genere, espressa da movimenti di piazza organizzati come la “Manif pour tous” in Francia o “Demo für alle” in Germania. Nell’elenco delle attività di opposizione il documento cita inoltre i referendum popolari tenutisi in diversi paesi europei riguardo le legislazioni contro la famiglia, così come le dichiarazioni “anti-gender” delle Conferenze episcopali cattoliche.
Per ognuno dei cinque paesi analizzati lo studio, dopo una breve premessa generale, dedica quindici differenti paragrafi tematici: il primo consiste in un’analisi delle parole chiavi, riguardanti le tematiche del gender, attraverso il motore di ricerca Google, al fine di ottenere una “fotografia” generica sull’argomento; il secondo e il terzo paragrafo sono dedicati rispettivamente, ad una panoramica dei partiti politici e ai loro programmi e discorsi pubblici; il quarto indaga le cause e gli attori principali in campo; il quinto analizza il ruolo dell’Unione Europea nei confronti del paese in questione; dal sesto al nono paragrafo vengono esaminate le politiche nazionali e locali in materia, il ruolo del governo, la legge Costituzionale e le conseguenze concrete di tali politiche; il decimo paragrafo affronta il tema del linguaggio utilizzato; l’undicesimo esamina la mobilitazione elettorale sul tema del gender; il dodicesimo paragrafo osserva pregi e difetti delle contro strategie LGBT messe in atto; il tredicesimo paragrafo costituisce un’analisi critica del ruolo dei partiti politici di sinistra; nel penultimo paragrafo il documento suggerisce una serie di raccomandazioni specifiche per passare al contrattacco; infine, nell’ultimo paragrafo, vengono ipotizzate previsioni e possibili scenari riguardo il futuro.
Gli autori individuano quindi una serie di punti deboli, comuni a tutti i paesi esaminati, riguardo l’attuale strategia pro gender, in particolare: «la difficoltà di costruire una risposta ideologica ai conservatori; la mancanza di una campagna pubblica contro il discorso anti-gender; l’incapacità di articolare un programma progressista sulla base dell’esperienza della gente comune». Il report si chiude, infine, con un minaccioso elenco, in ordine alfabetico, di ventitre persone, evidentemente da “tenere d’occhio”, in quanto impegnate in prima linea contro le politiche di gender, nei cinque paesi presi in analisi.
Come nota Gabriele Kuby, vale la pena sottolineare il fatto che, «ad eccezione di Andrea Petö che ha scritto l’Epilogo, gli autori del rapporto sono tutte giovani donne che appartengono alla generazione “millenium” nata intorno al 1980. Molti di loro sono in procinto di ottenere un dottorato di ricerca, e perciò la loro formazione accademica si è svolta nel corso degli ultimi dieci anni. Ovvero esattamente il periodo durante il quale “studi di genere” sono stati istituiti come materie di insegnamento accademico nelle università. (Nei paesi di lingua tedesca ci sono più di 200 professori specialisti in “gender” o “studi queer”, quasi tutte donne)».
Scrive sempre la sociologa tedesca, «queste giovani donne conoscono solo una “scienza”, che è quella subordinata al fine di effettuare un cambiamento politico nella società ̶ e gli accademici sono visti come uno strumento politico finalizzato a servire la causa femminista e gli interessi LGBT. Questa cosiddetta “scienza” ha completamente reciso l’impegno accademico per la ricerca della verità ̶ che è ̶ o era ̶ la forza motrice della cultura europea».
La pubblicazione di tale report, se da un lato svela le crepe e le fragilità di una ideologia costruita sulle menzogne e la mistificazione, dall’altro dimostra la tenacia e la capacità organizzativa dell’offensiva gender. L’intenzione principale dei redattori è infatti quella di identificare carenze tattiche degli avversari per rilanciare la propria traballante strategia. Il gender non è infatti solamente un’elucubrazione teorica, ma prassi e azione politica scientificamente pianificata. Tuttavia, nella dura guerra culturale in atto i difensori dell’ordine naturale hanno alleato unico e formidabile, la verità: scientifica, naturale e morale. (Lupo Glori)
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