Il Papa parla, parla e straparla. E dice di porgere l’altra guancia. E cosa altro dovrebbe fare? È il suo mestiere. Anche lui ha un principale. Anche lui ha delle regole di ingaggio. Certo, magari lui tira un po’ la corda e si diverte a fare il grillino. Ma è un monarca assoluto e come tale ha la libertà di dire un po’ quello che gli pare. All’interno del suo seminato e del suo protettissimo Stato. Nel quale, infatti, non c’è l’ombra di profughi e clandestini, chè sennó le michelangiolesche guardie svizzere li prenderebbero ad alabardate nel sedere.
Il Papa parla dunque e, come tutti gli esseri umani (anche se lui è vicino di casa delle sacre gerarchie celesti) dice anche delle corbellerie. E quante! Perché questa ossessione per gli immigrati e questo dovere – nostro, non suo! – dell’accoglienza è francamente esagerato. Lui, dicevamo, fa il suo lavoro. Poi i suoi ascari, come tutti i sottopancia al di qua e al di là del Tevere, sono più papalini del Papa e finiscono per sbracare. Come questo Galantino, un alto papavero della Cei che potrebbe benissimo essere un dirigente della Fiom, per la delicatezza delle sue posizioni. Ma queste sono le storture di ogni Stato, di ogni apparato di potere, quale il Vaticano è. Il problema ancora una volta siamo noi. Che diamo loro retta. Che amplifichiamo le loro parole, che regaliamo titoli di giornali e telegiornali ai loro turbamenti. E non gli facciamo manco pagare le tasse. Nel vuoto siderale della politica e del governo italiano, aggrappiamo le nostre paure e appendiamo le nostre ansie agli unici punti di appiglio che troviamo. E così il Papa, sicuramente in modo involontario, riempie un vuoto politico. Con le sue sparate terzomondiste e le sue derive socialisteggianti. Ripeto: cosa altro potrebbe dire il Papa? Potrebbe suggerirci di respingere i migranti sparandogli pallettoni di sale come Zio Paperone? Certo che no. Lui pascola le anime e amministra un Paese. Che funziona alla perfezione. E, per inciso, non è il nostro. Non si cura della sicurezza delle città, dell’allarme sociale, dei posti di lavoro, delle priorità degli italiani. Non fa parte del suo contratto. Ma ascoltare quello che dice e inserirlo nell’agenda politica italiana non fa parte dei nostri doveri. È il vescovo di Roma, non il presidente della Repubblica. Men che meno si può ridurre a essere il competitor di Salvini. Abbiamo combattuto per secoli per avere uno stato laico e ora che lo abbiamo (teoricamente) non facciamoci fregare dai pensieri in libertà del Pontefice. Questa volta più che di incenso, puzzano di ipocrisia. Lasciamo cadere nel vuoto le sue parole. E quando lui ci ricorda che dobbiamo porgere l’altra guancia, noi dobbiamo ricordarci che di guance ne abbiamo solo due…


La chiesa abbandona la tiara per la minigonna

Non siamo sicuri che il problema siano le due parole nella preghiera degli alpini. Quel “Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana” che farebbe sospettare il glorioso corpo militare di fiancheggiare lo scontro di civiltà, e che è valso un discreto invito a modificare l’orazione durante una funzione a Passo San Baldo. 
Non ne siamo affatto sicuri, perché, visto anche il commento, sussiegoso, burocratico, del vescovo di Vittorio Veneto, mons. Corrado Pizziolo (“non abbiamo ufficialmente vietato la preghiera, e comunque anche il Padre Nostro è stato modificato”) viene un altro sospetto. Perfino più grave. Che alla Chiesa Contemporanea dia fastidio l’espressione della memoria. Specialmente quando cozza con le forme imposte dalla correttezza politica. Che ad essa stia antipatica la tradizione che non si lascia irretire nel gioco linguistico del progresso. In breve, che la Chiesa contemporanea abbia in antipatia quella cosa critica e divisiva che si chiama cultura.
Se è davvero così (e ci sono molti sospetti che sia così: le dichiarazioni di esponenti religiosi contro le forme tradizionali di devozione arrivano un giorno sì e l’altro pure) c’è da immaginare che gli alpini nel complesso e non solo la loro preghiera, possano stare davvero antipatici: sono un corpo militare innervato di misticismo dalle origini (il motto di un glorioso battaglione alpino è “Nostri i silenzi e le cime”); sono portatori di un’etica del sacrificio schiettamente antimoderna; sono i più assidui e fedeli custodi di una memoria abbarbicata a radici inattuali. 
Basti pensare a quello che è successo con il canto. L’epica della Grande Guerra (solo per fare un esempio in tema con la ricorrenza) non esisterebbe senza quella soundtrack meravigliosa, fatta di socialità calda anche nella desolazione e nel gelo, che sono i canti alpini. Cristallizzazione della memoria e della sofferenza, dalla Leggenda del Piave a Tapum, alPonte di Bassano. La vera narrazione collettiva, “dal basso” nella Grande Guerra non si trova nelle pur potenti rappresentazioni narrative di Hemingway o di Emilio Lussu, o nelle liriche di Ungaretti; ma innanzitutto nei canti degli alpini, fatti di ricordo e coralità, di tristezza e conforto. 
E degli alpini bisogna ricordare anche i raduni. Happening impressionanti di centinaia di migliaia di persone che riempiono le città del Nord Italia a giro (nel 2015 è toccato a Pordenone) di canti, di vino, di scherzi, di rievocazioni. Che non creano disordini né lasciano spazzatura.
E’ chiaro che chi custodisce la propria memoria civile, sociale, anche militare con tale ostinazione creativa possa non essere simpatico allo zeitgeist. La cosa che fa impressione è che una Chiesa che ha mollato la tiara e indossato la minigonna progressista stia dall’altra parte. Il vero dramma è tutto qui. Ed è molto più grave di una questioncella su due parole in una preghiera.

 
http://ilgiornaleoff.ilgiornale.it/2015/08/20/preghiera-alpina-quando-un-vescovo-vuol-fare-fuori-la-memoria/
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Una “vaticanata” all’Assunta


La Sala Stampa della Santa Sede, anziché diffondere la voce del Romano Pontefice, si sta occupando dell’immagine mediatica della persona privata di papa Francesco, facendo un pessimo servizio.
Dal canale Youtube ufficiale del Centro Televisivo Vaticano (CTV), leggiamo la descrizione del filmato dell’Angelus dell’Assunta di Francesco:
Da 61 anni nessun Papa si era più affacciato alla finestra più celebre del mondo, il giorno dell’Assunta. Lo fa Papa Francesco e le sue sono le parole di un figlio verso la Madre amata e un inno alla «piena di grazia» che, come narra il Vangelo della solennità dell’Assunzione, è Colei che ha creduto alla promessa di Dio diventando Madre di ogni uomo.
Come potete ascoltare, il telecronista ripete, parola per parola, la descrizione del filmato.
Confessiamo di intuire – attraverso queste parole – una bella ciliegina sulla torta, alquanto perversa; un inno all’ipocrisia, alla menzogna più becera, un marketing degno di uno staff a servizio del Demonio.
Una “vaticanata” vera e propria!
Alla CTV si sono dimenticati che da 61 anni i Pontefici si erano SPOSTATI ALLA FINESTRA DI CASTEL GANDOLFO – celebrando una Messa pontificale in onore della Regina del Cielo e della terra -, non erano alle Bermuda a prendere il sole, né al lussuoso residence di Santa Marta a meditare come passare la giornata.
Qui il Vaticano fa apparire il gesto di Papa Francesco come un gesto NUOVO: questo è marketing, un “inno mediatico” che sfocia nel culto della personalità.
Vi è un messaggio, più o meno velato, che vuole far pensare che papa Francesco, a differenze dei suoi venerati predecessori, non va in vacanza e non si riposa, dando importanza all’Assunta?
Alla CTV dovrebbe sapere meglio di noi (avendo i filmati e le registrazioni audio) tutti i predecessori di papa Francesco – tre dei quali elevati agli altari dallo stesso papa regnante (ammesso che questi riti abbiamo ancora significato) – si recavano a Castel Gandolfo non in vacanza, ma per incontrare il popolo dell’unica parrocchia cittadina e celebrare, come dicevano poc’anzi, la Santa Messa Solenne dell’Assunta, concludendo con la recita dell’Angelus assieme al popolo.
È forse credibile che S. Giovanni Paolo II – il papa “tutto di Maria” – il 15 agosto di ogni anno, a Castel Gandolfo, passasse il tempo a nuotare in piscina, senza occuparsi della solennità di Assunzione in Cielo del B. V. Maria? Il Papa mariano per eccellenza “non ardiva parole di Figlio verso la Madre amata” da Castel Gandolfo?
Siamo seri, per favore!
Un servizio più vergognoso e becero, la CTV non poteva farlo. Ma ormai non c’è più limite alla mancanza di buon senso.
https://bergoglionate.wordpress.com/2015/08/20/una-vaticanata-allassunta/