ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 29 agosto 2015

Lampada che arde e risplende

L’antichità conosceva il valore del matrimonio. Pur ammettendo de iure il ripudio e tollerando de facto certe intemperanze comportamentali, il diritto romano sanciva e tutelava l’inviolabilità dei patti liberamente contratti, compreso quello coniugale. Nell’antico popolo eletto la santità del matrimonio, protetta da una legislazione molto severa, era fondata sull’originaria volontà del Creatore: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua sposa e i due saranno una carne sola» (Gen 2, 24). Nel nuovo Israele, fin dalle origini, l’unione legittima di un uomo e di una donna, santificata dal Verbo incarnato mediante il sacramento da Lui istituito, è stata elevata ad immagine dell’unione di Cristo con la Chiesa. La continuità tra la legge naturale e quella rivelata è in questo caso quanto mai evidente; ogni persona ragionevole può agevolmente riconoscerla, né può ragionevolmente metterla in discussione.
 
Rispetto a quanto, fino a neanche mezzo secolo fa, era sentire comune e dottrina giuridica certa, la situazione attuale risulta semplicemente sconvolgente. Un abisso di decadenza ci separa dai nostri genitori o – per chi è più giovane – dai nostri nonni: in pochissimi decenni è avvenuto un cambiamento talmente profondo e radicale che non se ne ha nemmeno coscienza. L’uomo moderno ha perso la memoria, non solo del remoto passato, ma anche di quello recente. Il cumulo di macerie affettive in cui tanti si dibattono cercando invano una via d’uscita è risultato, fra l’altro, anche di decisioni collettive che, in nome della democrazia, sarebbe stato impensabile non assecondare: non possiamo – si ripeteva negli ambienti cattolici – imporre agli altri la nostra visione… Anche in questo caso, purtroppo, una volta apertasi una crepa nella diga, l’enorme pressione dell’acqua l’ha travolta, lasciando dietro di sé devastazione e rovine.

Fa riflettere il fatto che l’ultimo e più grande profeta, il Precursore del Messia, abbia pagato con la vita la sua fedeltà alla verità divina proprio in questo campo. Un piccolo tiranno, oscuro nipote di un tiranno più noto per l’eccidio di infanti che mirava a eliminare il neonato discendente di Davide, si era condannato da sé a subire la tirannia della cognata, illegittimamente sottratta al fratello. Lo scandalo – all’epoca molto grave – non aveva lasciato indifferente il predicatore del Giordano, che chiamava vigorosamente alla conversione quanti volevano andare incontro con la coscienza in pace all’imminente manifestazione del Giudice universale. Forse – come si può arguire dall’ansiosa  domanda rivoltagli dal carcere – non gli era stato rivelato che quest’ultimo, in una prima fase, avrebbe concesso ai convertiti una nuova vita nella grazia perché tutti i popoli del mondo, prima del compimento della storia umana, fossero raggiunti grazie a loro dall’annuncio del Regno di Dio. Ma la distanza cronologica cambia poco, o meglio non cambia nulla.

Ogni cristiano – afferma sant’Efrem Siro – deve vivere come se la venuta gloriosa di Cristo dovesse avvenire nel suo tempo, dato che non ne conosce il momento e, quindi, potrebbe essere domani. Non solo, ma sul piano individuale l’incontro finale con il Giudice potrebbe compiersi in qualsiasi momento, anche tra qualche secondo. Nessuno può dunque permettersi il lusso di rimandare la propria conversione, visto che non sa fino a quando ne avrà il tempo. I Santi meditavano spesso sulla morte e sul giudizio; senza questa meditazione non sarebbero diventati tali. È vero che il credente deve giungere ad amare Dio per se stesso piuttosto che per timore di perderlo; ma per farsi scuotere onde cambiare vita questo timore è uno stimolo molto efficace. Se qualcuno predica che la misericordia di Dio perdona anche chi non è pentito, sta ingannando gli altri e tradendo la propria missione.

Caro san Giovanni Battista, come ci è ancora necessaria la tua parola, che un giorno tuonò nel deserto di Giudea! E pensare che non riuscirono a farti tacere nemmeno in carcere, se è vero che il tuo carnefice ti ascoltava volentieri, pur non decidendosi mai ad accogliere gli ammonimenti che il Signore stesso gli rivolgeva per mezzo tuo! Questa è vera misericordia: rivolgere a tutti il salutare appello alla conversione, specie a chi più ne ha bisogno, come l’ardente Elia all’empio Acab, anch’egli succube di quella strega di Gezabele, o l’incatenato Paolo al giovane Nerone, al quale si era appellato per sfuggire al complotto giudaico. Se il promettente pupillo di Seneca, prima di abbandonarsi al vizio e alla crudeltà con cui Satana finì col dominarlo, avesse dato ascolto all’Apostolo delle genti, probabilmente l’Impero Romano sarebbe diventato cristiano molto prima; se Adolph Hitler si fosse piegato al cardinal Faulhaber (arcivescovo di Monaco che ordinò poi sacerdote Joseph Ratzinger), la massoneria americana non avrebbe avuto un pretesto per invadere il Vecchio Continente…

Profeti, profeti, ci vogliono profeti! Non come quelli che facevano furore al tempo della mia giovinezza, quando profezia era sinonimo di rivoluzione (politica, sociale, economica, sessuale…): quelli che avevano invitato le prostitute in seminari e noviziati e sottomesso i candidati al giudizio insindacabile di psicologi rigorosamente atei, i quali avevano cacciato via le vocazioni autentiche e raccomandato quelle fasulle; non quei falsi maestri grazie ai quali il fumo di Satana è penetrato nel tempio di Dio – anche perché nessuno li ha fermati… Ci vogliono veri profeti che facciano ancora risuonare la voce divina in ogni ambiente, a cominciare da quelli del potere, ponendo gli uomini di fronte alla loro coscienza nella prospettiva del giudizio. Questo ha fatto san Giovanni Battista; questo ha fatto Gesù stesso, e la Chiesa primitiva nel Suo nome.

Aspettiamo che Dio mandi un profeta a parlare con franchezza a chi siede in Parlamento e sta per votare leggi totalmente contrarie non solo alla verità rivelata, ma innanzitutto alla ragione. Non può certamente essere qualcuno che, pur essendo magari incaricato di promuovere la cosiddetta “nuova evangelizzazione”, giustifichi le comunioni sacrileghe dei libertini divorziati con l’esigenza di contestualizzarle. Anche le anime dei politici, se richiamate a penitenza, possono convertirsi ed evitare così l’Inferno; perché escluderle d’ufficio dalla salvezza eterna? Per mantenere qualche miserabile privilegio che costituirà un ulteriore capo d’accusa? Non è molto conveniente né sensato, almeno per chi crede al giudizio. Se poi un prelato non ci crede, rinunci alla prebenda e smetta di ingannare il prossimo; i suoi potenti amici gli troveranno un altro impiego – ma non dentro il sacro recinto, per favore.

Chiediamo al Signore profeti che, ribadendo con fermezza la verità della famiglia e del matrimonio, preservino la nostra società dal baratro in cui sta precipitando, aiutino tanti uomini e donne ad evitare scelte catastrofiche che provocano immani sofferenze (con il rischio della dannazione eterna) e ne rassicurino, d’altra parte, tanti altri che hanno compiuto scelte eroiche per tornare sulla via della salvezza mediante la rinuncia alla loro situazione irregolare. Questi ultimi si chiedono adesso se i Pastori della Chiesa non si stiano incamminando in una direzione che farà apparire assurdi e vani i dolorosi sacrifici che hanno accettato di consumare per tornare in grazia di Dio. Tranquilli: quei sedicenti Pastori, se non insegnano e applicano la sana dottrina, di fatto sono già decaduti dal loro ufficio; il problema è che molti non lo sanno.
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