Sandro Magister è il principe dei vaticanisti e il suo principato è con ogni probabilità mondiale. Non mi perdo una puntata dei suoi articoli e dei dibattiti che suscita nel suo blog Settimo cielo. Nell’ultimo di questi dibattiti, dopo un interessante ping-pong di esperti e citazioni che spaziano da san Bonaventura ai teoremi di Kurt Gödel, ecco spuntare un signore, Giovanni Napolitano, cui di certo Magister ha dato spazio per amor di imparzialità. Tuttavia, con tutto il rispetto, dopo aver letto l’intervento del signore in questione il lettore resta con l’impressione che, dal dibattito accademico si sia finiti al tavolino del bar all’aperto.
Il succo dell’intervento è infatti il seguente: e basta con ‘sti dibattiti! mò te lo spiego io che cosa vuole Gesù, in due parole. Infatti, l’intervento è breve e caratterizzato da una patina, neanche troppo velata, di progressismo irenista. Il lettore interventista, con un intervento tranchant e teso a chiudere con tutti gli interventi, in poche parole riesce a bacchettare non solo il Magister, reo di dare spazio a polemiche senza fine e, perciò, non cristiane, ma anche la stessa Chiesa, rea, quest’ultima, di complicare all’inverosimile il vero messaggio di Gesù e di osare, perciò, non accogliere oves et boves come aveva fatto Lui. Questa Chiesa istituzionale, conclude, deve smetterla di remare contro l’opera benemerita di svecchiamento portata avanti da papi come «Giovanni» e Francesco. Ora, Francesco sappiamo chi sia, ma di Giovanni ce ne sono stati recentemente tre: è quasi sicuro che il lettore si riferisce al XXIII, il “Papa buono” (passato alla storia con tale appellativo solo per la sua bonomia, ndr).
Non meriterebbe perdere tempo per commentare l’intervento di cui si è detto se esso non fosse realmente paradigmatico del pensiero corrente del cattolico medio contemporaneo. Alzi la mano chi non ne ha sentiti di uguali (sì, perché sembrano realmente fatti con lo stampino) provenire da persone assidue alla messa e al sacramento (solo uno), persone quasi sempre impegnate in attività pastorali (cioè, danno una mano gratis al parroco, il quale si guarda bene dal contraddirli sennò se ne vanno altrove). Premetto, per chi non avesse mai frequentato il blog di Magister, che l’oggetto del dibattito era la vexata quaestio della comunione o meno ai divorziati risposati, tema così epico da tenere banco da un paio d’anni anche se riguarda le sofferenze (strano, ma vero) di quattro gatti occidentali (mentre i cristiani del resto del pianeta hanno solo il problema del genocidio).
Ed eccoci all’analisi (niente affatto erudita, non ce n’è bisogno, ndr) dell’intervento finale nella puntata del 12 agosto 2015 del blog magisteriano. Così esordisce: «Questo intercalare perpetuo di argomentazioni e discettazioni più o meno coerenti e convincenti sembra riprodurre le polemiche sperimentate e osteggiate apertamente da Gesù durante la sua predicazione. Egli non si schierò né con gli scribi, né con i farisei. Non si attardò a riformare la prassi di vita o la “dottrina” del “popolo eletto” ma si preoccupò di annunciare il tempo della salvezza». Questa interpretazione del Vangelo sarebbe da spallucce se non avesse il tono perentorio. Gesù «non si attardò a riformare prassi di vita o la “dottrina”»? Ma l’ha letto il Vangelo o lo ascolta distrattamente alla lettura domenicale? Insomma, lungi dal perfezionare nel dettaglio («…vi fu detto, ma io vi dico…») la “dottrina”, Gesù sarebbe venuto solo a dire: gente, guardate che tale giorno a tale ora morirò ammazzato per farvi un piacere. «Egli non si schierò né con gli scribi, né con i farisei»? Però i sadducei li mandò a quel paese, e spiegando loro dov’era che sbagliavano. Infatti, i farisei furono contenti. Gli scribi, poi, non erano una corrente religiosa a parte, ma facevano parte del farisaismo.
Ma qui il lettore non ha colpa: sono i parroci che non spiegano più un bel niente e riempiono di aria fritta la loro concione domenicale. San Paolo era fariseo e se ne vantava. Gesù polemizzava coi farisei proprio perché, tra le varie scuole, erano quelli più vicini alla verità. Coi sadducei, infatti, non perse molto tempo. Ma con loro sì, proprio perché, pur essendo nella posizione dottrinalmente migliore, si ostinavano a non riconoscerlo come Messia e, dunque, non ne accettavano le correzioni. Negli Atti degli Apostoli (bisognerebbe informare il cattolico medio che fanno parte integrante del Nuovo Testamento) si vede bene come il cristianesimo pescasse a piene mani proprio tra i farisei, e che furono questi convertiti (i c.d. giudeo-cristiani) a provocare le prime divergenze interne alla Chiesa.
Ma andiamo avanti. Ecco il plot: «In questa fase della storia quando la famiglia umana rischia di compromettere definitivamente la permanenza nella casa comune affidatale dal Creatore, la Chiesa avrebbe ben altro da fare che impegnare l’alto clero e i più esimi luminari di teologia per stabilire chi, quando e come si può avvicinare alla mensa del Signore. Egli stesso non disdegnò la presenza di Giuda all’ultima cena». Insomma, la Chiesa farebbe bene a occuparsi di ecologia che non attardarsi a dire chi può fare la comunione e chi no. Sì, perché Gesù diede la comunione pure a Giuda. Questo è vero, tuttavia una lettura non tanto più profonda, ma solo più estesa (basta leggere quel che c’è scritto subito dopo) mostra che, dopo aver fatto quella comunione (sacrilega), «Satana entrò in lui». Ecco perché la Chiesa ha sempre badato più alle disposizioni di chi si comunica che all’”ambiente”.
Se poi si fa la fatica (immane, ne convengo) di leggersi nel Vangelo i versetti riguardanti la preparazione dell’Ultima Cena e quel che successe subito dopo la comunione di Giuda si scopre che: a) Gesù è costretto a dare indicazioni profetiche ai due discepoli che manda a preparare il Cenacolo («…vi verrà incontro un uomo che porta una brocca…»), quando avrebbe potuto parlar chiaro, proprio per non far sapere a Giuda l’esatto indirizzo della “sala”; Giuda sarebbe andato a riferirlo al Sinedrio e Gesù sarebbe stato preso prima di poter istituire l’Eucarestia; b) solo dopo –dopo!- che Giuda fu uscito dal Cenacolo («Ed era notte») Gesù pronunciò il suo famoso “discorso sacerdotale”, aprendo del tutto il suo cuore agli apostoli e dichiarando platealmente la sua identità col Padre. L’intervenuto sul blog di Magister, imperterrito, però sentenzia: «Non rientrano in questa visione salvifica i tentativi ricorrenti di tanti pastori come papa Giovanni e papa Francesco per riportare una Chiesa anchilosata da riti e costumi “secolari” nella amorevolezza di una casa paterna governata dalla giustizia, dall’Amore e dalla misericordia?». Si potrebbe utilmente chiedere che cosa l’intervenuto intenda per «giustizia», ma sarebbe tempo sprecato: il tono complessivo dell’intervento è infatti da sonetto di Gioacchino Belli: «Io so’ io, e voi nun sete un c…». È più utile semmai chiedere a Magister –al quale ribadisco personale stima e amicizia, e non lo dico per celia- di selezionare le lettere che pubblica. A meno che non si tratti di una mossa astuta, tesa ad allargare il dibattito anche a me.
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