ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 9 agosto 2015

Moniti a chi!?

HIROSHIMA, NAGASAKI E L'OLOCAUSTO DIMENTICATO DELLA CHIESA GIAPPONESE

Sul perché dopo aver incenerito Hiroshima gli americani vollero sganciare una seconda bomba atomica su Nagasaki, il 9 agosto 1945, per piegare il Giappone a una resa che era già inevitabile,  gli storici hanno fornito delle spiegazioni di carattere bellico. Fatto sta che in un colpo solo vennero cancellati oltre due terzi del cattolicesimo nipponico. Un cattolicesimo praticamente azzerato due volte nell’arco di tre secoli: l’altra volta fu con la persecuzione che culminò nella rivolta di Shimabara, di cui ha dato conto Rino Cammilleri nel suo stupendo romanzo storico Il Crocifisso del Samurai, e nel Quaderno del Timone La grande rivolta dei samurai cristiani.

Di seguito alcuni estratti dalla testimonianza di Akira Fukahori, sopravvissuto all’esplosione, rilasciata il 31 dicembre 2008 a Gravellona Toce, durante la Veglia di preghiera per la pace della diocesi di Novara.

L’orribile colonna di luce
Anche il 9 agosto 1945, come membro della “squadra informazioni” composta da alunni della scuola media, sono andato a lavorare nella fabbrica della Mitsubishi che costruiva siluri e mine per i sottomarini. Avevo quindici anni. Per sostituire i lavoratori chiamati al fronte come soldati, ci avevano fatto interrompere gli studi e obbligati a lavorare alle macchine, in aiuto ai pochi operai rimasti. 
Quella mattina mi fu affidato il compito di portare alla sede centrale dei pompieri la notizia di un possibile attacco aereo dell’esercito americano. La sede distava circa un chilometro e mezzo. Verso le 11 mi trovavo nella veranda, in attesa di una risposta. Alle ore 11:02, appena percepito il frastuono di un aereo sopra di noi, fui investito da una immensa colonna di luce che sembrava sprigionare lampi in tutte le direzioni, e venni violentemente sbattuto sul pavimento. (Si dice che sul luogo dell’epicentro, la velocità del vento provocato dalla esplosione fu di circa 500 metri al secondo!). Ripresa coscienza e aperti gli occhi, sopra di me erano ammassati i corpi di due o tre giovani. I due più sopra avevano il volto e la gola trafitti da una miriade di schegge di vetro. Uno di loro era ormai senza vita. Quasi per miracolo io rimasi solo leggermente ferito. 
La sede dei pompieri, dove mi trovavo, dista circa 2 chilometri e 800 metri dall’epicentro. L’edificio, in tralicci di ferro, pur deformato e devastato, era rimasto in piedi. All’interno dei locali rimasti c’era gran confusione, urla e panico. Vidi anche molti feriti. 
Poco dopo, da tutta la zona leggermente collinosa di Urakami, su cui era stata sganciata la bomba, vidi salire come un vortice di altissime fiamme impazzite apparire e scomparire tra una immensa colonna di fumo nero. 
Erano passati circa 10 minuti. Davanti ai me una donna dai capelli bruciati e scarmigliati correva disperata a piccoli passi. Un uomo sfigurato con le braccia a penzoloni e la pelle a brandelli camminava senza meta. Poi un’altra donna con in spalla un bambino coperto di sangue che gli spruzzava dal capo. Le mie gambe e tutto il corpo tremavano di fronte a quell’orrore. Era una visione infernale, con strade percorse da mostri e fantasmi orribili. (Si pensa che la temperatura al suolo sotto la colonna di fuoco emanata dalla bomba atomica abbia raggiunto i 3 o 4 mila gradi!) Fino a quel momento nessuno sapeva che si trattasse di una bomba atomica. La sede centrale dei pompieri annunciò che un nuovo tipo di bomba, simile a quella sganciata sopra Hiroshima 3 giorni prima, aveva dilaniato la città di Nagasaki causando molte vittime. Passato qualche tempo pensai di uscire da quell’inferno e ritornare a casa mia, distante poco più di dieci minuti. Ovunque guardassi i miei occhi scoprivano soltanto gruppi di corpi completamente carbonizzati. Giunto nella zona, tra i ruderi degli edifici distrutti non ho saputo riconoscere quale fosse la mia casa. 
Una donna quasi completamente nuda vagava tra le macerie. Le parti scoperte del corpo erano di colore rosso vivo, e dalle scottature colava sangue. Provai una tale paura che fuggii da quel luogo, e disperatamente corsi di nuovo alla sede dei pompieri che avevo appena lasciato. Una commissione composta di americani e inglesi, inviata in Giappone 3 o 4 mesi dopo per verificarne gli effetti dell’atomica del 9 agosto, pubblicò dei dati circa le vittime di quel giorno. I dati vennero poi ripetutamente corretti; ma solamente nel 1950 un comitato giapponese pubblicò delle cifre attendibili. Sono le seguenti, comunemente ritenute oggettive anche oggi. 
Morti 73.884
Feriti 74.909
Dispersi 1.929
Da quel giorno però altri 70.000 inermi cittadini sono morti prematuramente per gli effetti delle radiazioni atomiche subite. 
I fedeli registrati nella parrocchia di Urakami, situata nella zona molto vicina all’epicentro, erano circa 12.000. Di questi ben 8.500 morirono in quel giorno. (Per avere un’idea della gravità della cosa, ricordo che i fedeli cattolici della Diocesi di Nagasaki sono oggi ca. 66.000, di cui 1.100 sacerdoti).
L’incontro con la madre 
La bomba atomica aveva distrutto completamente la mia casa, la scuola che frequentavo e anche la fabbrica della Mitsubishi. Molti amici e parenti morirono o rimasero gravemente feriti, ma in quelle circostanze fu impossibile raccogliere notizie precise. Io sono figlio unico e mia madre era vedova. Da quando la salutai la mattina del 9 agosto non ho saputo più nulla di lei. Rimasto senza casa e senza alcuno cui riferirmi, rimasi presso i pompieri, che mi accolsero come orfano di guerra, dandomi un pasto al giorno e un posto per dormire. Stavo con loro sempre e lavoravo con loro, come potevo, al ripristino delle strade gravemente danneggiate e ovunque interrotte dal perdurare di vasti incendi. A me fu affidato l’incarico di distribuire le gallette di pane secco, un pasto molto modico, verso il mezzogiorno. Diversi giorni dopo, durante il mio solito servizio di distribuzione di quel misero cibo, nella zona della stazione centrale di Nagasaki, per caso ho scoperto il volto di mia mamma che guardava fuori da un rifugio antiaereo semidistrutto. Vi lascio immaginare la commozione e le lacrime che hanno scolpito nella mia memoria il calore dell’abbraccio di mia mamma miracolosamente ritrovata! 
Senza dire nulla ai pompieri rimasi con lei in quel rifugio. Tra gli “abitanti” vi trovai anche mia nonna. Giaceva immobile per terra in una situazione penosissima. La sua casa era nella zona più disastrata, quella accanto al luogo dell’epicentro, e lei era rimasta imprigionata sotto le travi della sua casa, distrutta dall’esplosione. Respirava a fatica. Il volto era sfigurato, la mascella spezzata e sanguinante, la carne dell’anca destra era dilaniata fino all’osso.
Paolo Nagai 
Il periodo della rinascita del quartiere e della chiesa di Urakami è caratterizzato dalla presenza e dalla attività del dottore Paolo Nagai, rappresentante e guida dei fedeli colpiti dalle radiazioni, chiamato anche il “santo dell’atomica”. Tutti lo ricordano come il personaggio centrale del cinema “Le campane di Nagasaki”. Paolo Nagai fu colpito dalle radiazioni mentre era al lavoro nell’Ospedale dell’università di medicina di Nagasaki. Sua moglie fu totalmente consumata dalla fiamma atomica nella sua casa, lasciando come unico segno della sua presenza la sua corona del Rosario. Paolo Nagai curò personalmente l’educazione dei suoi due figli. Dopo essersi prodigato ella cura degli ammalati e alla rinascita della comunità dei fedeli di Urakami, fu ridotto all’immobilità totale. Scelse quindi di vivere in una piccolissima stanza di poco più di 3 metri quadri, dedicandosi allo studio degli effetti delle radiazioni atomiche, anche sul suo corpo, e a mettere per iscritto quanto lui aveva intensamente vissuto. Di lui conservo anch’io un vivissimo ricordo che risale al maggio 1951. Sono molto conosciuti i suoi scritti “Lasciando questi miei figli”, “La corona del Rosario” “Le campane di Nagasaki”, base del film che ha avuto molta risonanza sia in Giappone che all’estero. Ricorrendo questo anno il centesimo anniversario dalla sua nascita, a Nagasaki sono programmate numerose manifestazioni in suo ricordo e per far conoscere alle nuove generazioni il suo profondo amore e desiderio di pace. Recentemente i suoi due figli, Makoto e Ayano, sono successivamente scomparsi a poca distanza di tempo. Un nipote ne custodisce le memorie, e continua a trasmettere ai gruppi di studenti, che ogni giorno visitano il piccolo mausoleo, il suo splendido messag¬gio tratto dal Vangelo: “Ama ogni uomo come te stesso”.  

6 agosto 1945. Quando i “liberatori” aprirono le porte dell’inferno  

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Settant’anni fa la più grande democrazia, la patria della libertà e della ricerca della felicità, rese noto al mondo di possedere l’arma “totale”, l’arma di una potenza distruttiva senza pari. E lo fece con la tipica esuberanza americana, dando una dimostrazione inequivocabile: radendo al suolo la città giapponese di Hiroshima. Lo spettacolo ebbe un grande successo, tant’è che si replicò tre giorni dopo. Non si poteva replicare a Hiroshima, che semplicemente non c’era più, era rasa al suolo, polverizzata, fusa. Si replicò a Nagasaki, e fu un altro successo di critica e di pubblico.
Difficilmente potevano applaudire gli abitanti delle città bombardate, sterminati da una potenza infernale scatenata con un cinismo senza pari dal presidente Harry Truman, che dopo il “risultato eccellente” della missione su Hiroshima comunicò al mondo che gli Stati Uniti possedevano la bomba atomica, l’avevano usata, avevano intenzione di usarne altre e di produrne altre. “Abbiamo ora raggiunto una gigantesca forza di distruzione”. Giusto.
Nulla è troppo per diffondere nel mondo la democrazia e la ricerca della felicità. E poi, mentre per massacrare la Germania e l’Italia, pardon, per “liberarle”, fu necessario un grande dispendio di energie, flotte intere di bombardieri, migliaia di tonnellate di bombe, per massacrare il Giappone e per affermare il proprio diabolico prestigio bastarono due bombe, due bombardieri e i pochi altri aerei di accompagnamento e ricognizione.
L’America ne aveva fatta di strada. Dal massacro dei pellirossa, per il quale servirono decenni di “guerre indiane”, ai dispendiosi e impegnativi bombardamenti a tappeto sulle città inermi (con il generoso appoggio del Regno Unito) si era così passati al massacro immediato, istantaneo. Già, perché quello che accade in una manciata di decimi di secondo in una esplosione nucleare è talmente infernale da distruggere ogni forma di vita per chilometri e chilometri.
Tutto questo è Storia, ma si sa che la Storia poi la riscrivono i vincitori e le tolgono le eventuali sgradevoli asperità. Oggi il mondo cosiddetto civile si è sciacquato la bocca con bellissimi progetti di pace universale, di “mai più”, eccetera.
Nessuno ha sentito il bisogno, pur in quest’epoca in cui chiedere perdono è diventato di gran moda, di chiedere perdono per questo crimine contro l’umanità. La Storia la scrivono i vincitori. Il comandante del bombardiere che sganciò il primo pezzo di inferno, il colonnello Paul Warfield Jr. Tibbets, di anni 30, fu decorato. Non aveva corso il minimo rischio, la contraerea giapponese non aveva sparato un colpo. Ma fu giustamente decorato, perché era toccato a lui l’onore di aprire una nuova era per l’umanità. E non facciamo tanto i pignoli, suvvia. Qualcuno deve pur sacrificarsi per il progresso. Se poi si sacrificano gli altri, è meglio ancora.
Però al colonnello Tibbets qualcosa si ruppe dentro. E quando morì, alla bella età di 92 anni, fu seppellito, su sua precisa volontà, in una tomba anonima. Non esiste una lapide che lo ricordi. Come se nella vecchiaia fosse maturato in lui il desiderio di cancellarsi dalla Storia.
Qualcosa si ruppe dentro anche al maggiore Claude Robert Eatherly, di anni 27, l’ufficiale a cui toccò la scelta dell’obiettivo, tra le quattro città giapponesi candidate al bell’esprimento. Scelse Hiroshima, su cui quel giorno il cielo era limpido, libero da nuvole, e permetteva quindi un puntamento preciso. Pochi anni dopo la fine della guerra finì in manicomio.
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Il mandante, l’uomo a cui spettava la decisione finale, e che la prese con incredibile cinismo, il presidente Harry Truman, non si pose mai problemi. Lui operava per il bene, la giustizia, la libertà e… la ricerca della felicità.
Oggi ci scandalizziamo perché gli Stati Uniti sono diventati i difensori delle peggiori perversioni, perché il loro presidente ha fatto della diffusione della sodomia uno degli impegni politici più importanti?
Guardiamo la realtà. Che c’è di strano? Un uomo intelligente come Curzio Malaparte – di cui però è obbligatorio parlar male – aveva già detto che la guerra l’avevano vinta i pederasti.
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La Storia la scrivono i vincitori e si esaltano così tanto che poi vogliono scrivere anche la morale, la giustizia, la libertà. Come la vedono loro, è ovvio. Ma sono i più forti e quindi hanno ragione.
Guerra, morte e sterminio. E trionfo delle perversioni. È tutto spaventosamente logico, perché non si può andare a braccetto col diavolo e poi illudersi di poter scegliere la strada. E il diavolo è padre di menzogna, ti fa vedere il bene dove è il male, e viceversa.
Molti gerarchi nazisti furono processati a Norimberga, e meritarono ampiamente il cappio che si ritrovarono al collo. Peccato che alcune sedie nel settore degli imputati fossero vuote. Coloro che avrebbero dovuto occuparle si erano accomodati ai banchi dell’accusa; un compito così gravoso, al quale si erano auto-dichiarati idonei, che non lasciò loro il tempo per pentirsi. Avevano troppo da fare, volevano garantire al mondo un futuro radioso.
6 agosto 1945 – 6 agosto 2015. Settant’anni da quando i “liberatori” aprirono le porte dell’inferno. Non le hanno mai più chiuse e siamo tutti più felici…

di Paolo Deotto

6 agosto 1945: la bomba su Hiroshima e il miracolo della Madonna di Fatima

Hubert Schiffer
Il 6 agosto, giorno in cui la Chiesa commemora la Trasfigurazione di Nostro Signore sul Monte Tabor,  è una data importante nella storia del mondo, perché è anche il fatidico giorno in cui la prima bomba atomica fu sganciata su Hiroshima, in Giappone. Era un lunedì del 1945 quando, alle 8.15 del mattino, un  bombardiere americano B-29, Enola Gay, lasciò cadere la bomba “Little Boy” da un’altezza di detonazione predeterminata di circa 1.900 metri sopra la città.
Esplose con un lampo accecante, creando una gigantesca palla di fuoco che vaporizzò praticamente tutto e tutti entro un raggio di circa un chilometro e mezzo del punto di impatto. Si stima che circa 80.000 persone vennero uccise direttamente dall’esplosione ed entro la fine dell’anno la cifra era divenuta notevolmente più elevata a causa degli effetti delle radiazioni. Oltre due terzi degli edifici della città furono completamente distrutti.
Ma in mezzo a questa terribile carneficina, accadde qualcosa di straordinario: c’era una piccola comunità di Padri Gesuiti che viveva in un presbiterio vicino alla chiesa parrocchiale, situata a meno di un miglio di distanza dal punto di detonazione, quindi ben dentro il raggio della devastazione generale. E tutti gli otto membri di questa comunità scamparono, praticamente indenni, dagli effetti della bomba. Il loro presbiterio rimase in piedi, mentre gli edifici intorno, quasi a perdita d’occhio,  furono appiattiti.
P. Hubert Schiffer, un gesuita tedesco, era uno di questi sopravvissuti, aveva 30 anni al momento dell’esplosione e  ne ha vissuti 63 anni in buona salute. Negli anni successivi  viaggiò per parlare della sua esperienza e questa è la sua testimonianza registrata nel 1976, quando tutti e otto i gesuiti erano ancora in vita.
Il 6 agosto 1945, dopo aver detto messa, si era appena seduto a fare colazione, quando ci fu un lampo di luce. Ad Hiroshima vi erano strutture militari, per cui dedusse che dovesse essere avvenuta un qualche tipo di esplosione al porto, ma quasi subito si rese conto della straordinarietà dell’evento. Raccontò: “Una  esplosione terrificante riempì l’aria con uno spaventoso scoppio. Una forza invisibile mi sollevò dalla sedia, mi scagliò attraverso l’aria, mi scosse, mi ridusse malconcio e mi fece girare in tondo …” Si alzò da terra e si guardò intorno, ma non vide più nulla in qualsiasi direzione si volgesse. Tutto era stato devastato.
Ebbe qualche acciacco abbastanza lieve, niente di serio e, in effetti, dopo gli esami eseguiti dai medici militari americani gli scienziati hanno dimostrato che né lui né i suoi compagni avevano subito effetti negativi dai danni delle radiazioni o della bomba. Insieme ai suoi compagni gesuiti padre Schiffer ha creduto “che siamo sopravvissuti perché stavamo vivendo il messaggio di Fatima. In quella casa abbiamo vissuto e pregato il Rosario tutti i giorni”.
Vi è in realtà un precedente biblico per quello che è successo agli otto gesuiti nel libro di Daniele. Infatti nel capitolo 3 si legge dei tre giovani che sono stati gettati nella fornace di fuoco agli ordini di Nabucodonosor, ma che sopravvissero al loro calvario anche dopo essere stati circondati dalle fiamme, accompagnati da un angelo che sembrava “un figlio degli dei “.
Dopo questo primo bombardamento il Governo giapponese rifiutò di arrendersi senza condizioni e così tre giorni dopo, il 9 agosto, una seconda bomba atomica fu sganciata sulla città di Nagasaki. Nagasaki però fu un obiettivo secondario, perché il bersaglio primario era la città di Kokura, ma la nuvolosità nel cielo di quel giorno la salvò dalla devastazione.
L’ironia suprema è che Nagasaki era la città in cui stavano concentrati i due terzi dei cattolici del Giappone e così, dopo secoli di persecuzione, sul finire della guerra subirono anche questo terribile  colpo .
Ma vi è uno strano parallelismo fra quanto accaduto a Hiroshima e il convento francescano fondato da San Massimiliano Kolbe a Nagasaki prima della guerra, perché anche lui fu protetto dalla bomba che cadde proprio lì. San Massimiliano, che era noto per la sua devozione alla Santa Vergine, aveva deciso di andare contro i consigli che gli erano stati dati per l’edificazione del convento e volle costruirlo in una determinata posizione. Quando la bomba fu sganciata il convento fu  protetto dalla forza della bomba da un monte che era nelle vicinanze. Quindi sia a Hiroshima che a Nagasaki possiamo vedere la mano protettiva di Maria all’opera.
Le apparizioni di Fatima, in Portogallo, hanno avuto luogo nel 1917, quando da maggio a ottobre tre bambini, Francesco e Giacinta Marto e la loro cugina Lucia dos Santos, hanno visto la Beata Vergine sei volte, e le apparizioni si conclusero con il “miracolo del sole”, il 13 ottobre, quando 70.000 persone videro  nel cielo il sole girare e cambiare colore prima di piombare verso terra in maniera terrificante. Molti dei presenti pensarono che fosse la fine del mondo, però il sole riassunse il suo posto nel cielo fra grandi grida di sollievo.
L’essenza del Messaggio di Fatima riguarda la conversione dal peccato e un ritorno a Dio e richiede la riparazione per i propri peccati e per le colpe degli altri, così come l’offerta delle proprie sofferenze quotidiane e delle prove della vita. C’era anche un punto preciso sulla preghiera e l’Eucaristia e in particolare la recita del Rosario, così come la devozione dei Primi Cinque Sabati che implica la Confessione, la Santa Comunione e il Rosario meditato, per cinque mesi consecutivi, con l’intenzione di riparare alle offese arrecate al S. Cuore di Maria.
E’ interessante riflettere, quindi, sul tema della “trasfigurazione” che lega questi diversi eventi. Il Volto di Cristo brillò come il sole sul monte Tabor, mentre a Fatima la Madonna ha procurato il grande miracolo del sole per convincere la folla, che si era radunata lì, che il messaggio che stava dando all’umanità era autentico.
Si consideri, inoltre, che la povera gente di Hiroshima e Nagasaki ha sofferto come uomini diventati dei”soli” per la bomba che è esplosa in mezzo a loro provocando terribili devastazioni. Ma a Hiroshima gli otto gesuiti, che vivevano il messaggio di Fatima e, in particolare, recitavano il Rosario tutti i giorni, sono stati in qualche modo “trasfigurati”, protetti da una potenza divina dai terribili effetti della bomba.
Sicuramente c’è un insegnamento qui per tutti noi, che viviamo il messaggio di Fatima in un mondo che si fa sempre più pericoloso e che è ancora minacciato dalla guerra nucleare, per noi tale necessità  è così profonda come lo era per don Schiffer e i suoi compagni.

Testo tradotto dall’articolo The priests who survived the atomic bomb del sito CatholichErald.co.uk
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I 70 anni del terrorismo mondiale

Oggi si celebra il settantesimo compleanno del lancio della prima bomba atomica su Hiroshima, che ha ufficialmente decretato la fine della Seconda Guerra Mondiale. Eppure i 15 kilotoni di “Little Boy” tutto furono meno che i liberatori dalla guerra, bensì un “bombardamento terroristico”, per avvertire l’Unione Sovietica della supremazia militare sul globo terracqueo. Oggi, senza atomi radioattivi, l’esportazione della democrazia continua sulla falsa riga di quel copione scritto 70 anni fa, con nuovi protagonisti, imponendo con lo strumento del terrore l’ingiusta legge della potenza.
DI  - 6 AGOSTO 2015
Quei lunghi istanti, eppure solo 1,35 millisecondi di fissione dell’uranio, hanno costituito lo spartiacque della storia contemporanea. Un atto che, a livello strategico-militare non aveva alcuna valenza, vista l’ormai velleitaria e disperata resistenza nipponica; uno stratagemma lungimirante, che puntava piuttosto a mostrare all’ormai già rivale Unione Sovietica chi dovesse imporre la propria supremazia militare sull’altro. Un terrorismo, psicologico e armato, che ha costituito una sorta di auto-investitura a guida del mondo. Non si può certo contestare la riuscita di tale intento, che ha consacrato gli Stati Uniti come prima superpotenza mondiale, ma che cela tante torbide vicende, di cui ancora oggi si pagano le conseguenze. Un numero di vittime accertate compreso tra i 100 000 e i 200 000 individui, soprattutto tra i civili, ignari del fatto che quel 6 agosto 1945 avevano appena iniziato una giornata che non avrebbero mai portato a conclusione.
Impressionanti sono state anche i fardelli ambientali e biologici occorsi in seguito allo sgancio di “Little Boy” e “Fat Man” (così furono battezzati i due ordigni prodotti a Los Alamos), che hanno prodotto danni biologici sugli individui nati fino a diversi anni dopo l’evento, estendendo la probabilità di neoplasie o malformazioni legate all’esposizione alle radiazioni per diverse generazioni. Certamente oggi ci auguriamo che da tale grave crimine il mondo abbia compreso quanto crudele e temibile possa rivelarsi il genio umano, tant’è che i vari Fermi, Oppenheimer, Segrè, Wigner, Compton, – alcuni dei padri del progetto Manhattan – sono rimasti impressionati dalla eccezionale potenza distruttiva di tale arma. Difatti, è doveroso ribadire come il genio scientifico debba sempre essere impiegato per perseguire obiettivi costruttivi e vantaggiosi per la società.
Pur spaventati dal più grave crimine di guerra della storia dell’umanità, i governanti non pare abbiano compreso a pieno la significatività dell’atto, per cui si osservano isolati fenomeni di proliferazione nucleare, di cui Israele, India e Pakistan costituiscono gli esempi più eclatanti, essendo tre dei quattro Paesi attualmente in possesso di armi atomiche e non parte del Trattato di Non Proliferazione Nucleare del 1970. In particolare lo stato sionista mediorientale rappresenta oggi la maggiore minaccia nucleare mondiale, con il suo programma atomico militare mai interrotto, le sue centrali create in collusione con le democrazie occidentali e gli effetti delle scorie che provocano l’esponenziale aumento dell’incidenza di tumori nella regione palestinese dell’Hebron. Gli Stati Uniti, pur non portando avanti operazioni militari che prevedono l’utilizzo di armi atomiche, procedono a seminare terrore in varie regioni del Medio Oriente, dell’Europa Orientale e del Maghreb, sotto il consunto vessillo della diffusione della libertà e della democrazia. L’età matura raggiunta da tale occorrenza non ne segna un declino ideologico, bensì si nota come il pugno di ferro goda di ottima salute e di una intramontabile freschezza e oggi, pur spesso senza atomi radioattivi, l’esportazione della democrazia continua sulla falsa riga di quel copione scritto 70 anni fa, con nuovi protagonisti, imponendo con lo strumento del terrore l’ingiusta legge della potenza.

E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi … (Apoc. 7, 17) - Nagasaki, 9 agosto 1945 - 2015

9 agosto 1945: le "democratiche" bombe americane colpivano Nagasaki, la città, guarda caso, con la più numerosa comunità cattolica del Giappone .... 

Et Dieu essuiera toutes les larmes de leurs yeux (Nagasaki – 9 août 1945)

par Henri Adam de Villiers


Ruines de la cathédrale de Nagasaki en 1945

Ils se sont écriés en voyant la place de son embrasement : Quelle ville, disaient-ils, a jamais égalé cette grande ville ? Ils se sont couvert la tête de poussière, jetant des cris accompagnés de larmes et de sanglots, et disant : Hélas ! hélas ! cette grande ville, qui a enrichi de son opulence tous ceux qui avaient des vaisseaux en mer, se trouve ruinée en un moment ! Apocalypse 18, 18-19.

Photo : ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami de Nagasaki en 1945.

Le 9 août 1945, le B-29 Bockscar piloté par Charles Sweeney, parti de Tinian dans les îles Mariannes du Nord, largua la bombe atomique Fat Man sur la ville de Nagasaki. La bombe explosa à 580 m d’altitude, à la verticale du quartier majoritairement catholique d’Urakami, quasiment à la verticale de la cathédrale. Ce fut la seconde explosion nucléaire au Japon, trois jours après celle d’Hiroshima.
75 000 des 240 000 habitants de Nagasaki furent tués sur le coup, et au moins autant décédèrent des suites de leurs maladies ou de leurs blessures.
Nagasaki est liée dès son origine à l’arrivée de la foi chrétienne au Japon. Ce lieu fut concédé aux Portugais en 1571 par le daimyo Ōmura Sumitada comme port de commerce, avant de le leur être retiré et confié aux missionnaires de la Compagnie de Jésus en 1580. A la suite d’une révolution politique, les missionnaires sont chassés et le christianisme interdit en 1587. Malgré d’ignobles persécutions, les chrétiens de Nagasaki conservent leur foi et la pratiquent en secret, jusqu’au retour des missionnaires au XIXème siècle. Ainsi, le village d’Urakami, proche de Nagasaki (plus tard englobé dans la ville) est alors composé uniquement de crypto-chrétiens lorsqu’il est découvert en 1865 par le RP Bernard Petitjean, des Missions étrangères de Paris.

Nagasaki : juin 1949 – messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale en l'honneur des 400 ans de l'arrivée de saint François-Xavier au Japon
Parce que l’Agneau qui est au milieu du trône, sera leur pasteur, et il les conduira aux sources vives des eaux, et Dieu essuiera toutes les larmes de leurs yeux. Apocalypse 7, 17.

Photo : Messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949.

Cette extraordinaire – et prophétique – photo d’une messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale de Nagasaki est une belle image de la reconstruction spirituelle sur les ruines de la Cité catholique.

Nagasaki : juin 1949 – messe pontificale célébrée dans les ruines de la cathédrale en l'honneur des 400 ans de l'arrivée de saint François-Xavier au Japon

Quiconque sera victorieux, je le ferai asseoir avec moi sur mon trône ; de même qu’ayant été moi-même victorieux, je me suis assis avec mon Père sur son trône. Apocalypse 4, 21.

Photo : Messe pontificale au trône dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949.

Cette messe pontificale célébrée au trône en 1949 célébrait alors le 4ème centenaire de l’arrivée de saint François-Xavier au Japon et à la fondation de la première communauté chrétienne de ce pays.
Lorsqu’il eut ouvert le cinquième sceau, je vis sous l’autel les âmes de ceux qui avaient souffert la mort pour la parole de Dieu, et pour le témoignage qu’ils avaient rendu. Apocalypse 6, 9.

Photo : Messe pontificale dans les ruines de la cathédrale Sainte-Marie d’Urakami à Nagasaki en juin 1949. Procession des reliques de saint François-Xavier.

Afin de célébrer le 400ème anniversaire de la venue de la foi véritable au Japon par l’arrivée de saint François-Xavier, la relique insigne de son bras avait alors été emmenée de Rome (où elle est conservée à l’église du Gesù) à Nagasaki.
Voici d’autres photos de cette cérémonie prises par Carl Mydans en 1949 pour le compte de Life. Nous y avons adjoint une photographie d’un requiem à la mémoire des fidèles morts dans l’explosion de la bombe, messe célébrée devant les ruines de la cathédrale le 23 novembre 1945.
En cet anniversaire, prions.









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