La sinistra dei "Che" Francesco
Come l’internazionale dei Corbyn e dei Landini sta trasformando il Papa nella guida spirituale del popolo dei Podemos
Anche la Bbc, la scorsa estate, aveva dedicato una trasmissione al Papa: "E' comunista?"
Roma. Una volta i partiti della sinistra globale, quelli con le sale riunioni dalle poltrone rigorosamente foderate di rosso, infilavano nel loro pantheon ideale i santini laicissimi di Marx (Karl), Lenin e di qualche simbolo locale della lotta contro il capitalismo sfruttatore. In Italia, di solito, si appendevano al muro le foto di Gramsci e Togliatti e, in tempi recenti, di Enrico Berlinguer. Oggi, crollato il Muro, estinti i vecchi partiti falcemartellati, i nouveaux politiciens che quella tradizione cercano di rimettere in piedi alla bell’e meglio sotto loghi rinfrescati, nel pantheon sbattono solo il solare volto di Francesco, il Papa.
Perfino Maurizio Landini, segretario generale della Fiom e fondatore della “Coalizione sociale”, s’è buttato in fretta sotto l’ombrello protettivo del Romano Pontefice, che a suo dire rappresenta la “rottura dell’equilibrio tra capitalismo e democrazia”. Un Papa per cui è fondamentale “lottare per il lavoro”, che “è stato capace di “organizzare una manifestazione contro la guerra in Siria”, e che insomma è uno dei suoi al punto che non si può dire “se, nel tornare ai fondamentali, questo Papa pensa che il riferimento debba essere il Vangelo”. E che dire di Alexis Tsipras, l’uomo che voleva rivoltare come un calzino la Grecia depressa e semifallita, facendola diventare una sorta di Cuba del Mediterraneo – Fidel Castro, tuta addosso e cappellino in testa, gli aveva scritto una lunga lettera di entusiasmato appoggio – fece sapere al mondo che “io e Francesco la pensiamo allo stesso modo. Siamo d’accordo sulla necessità di continuare il dialogo tra la sinistra europea e la chiesa cristiana. Bisogna creare un’alleanza ecumenica contro la povertà, le ineguaglianze e contro la logica che porta i mercati e i profitti a sovrastare gli individui”. Parola del leader che aveva aizzato gli animi dei pope ortodossi ellenici quando s’era mostrato dubbioso perfino sul giuramento religioso (con mano sul Vangelo aperto) dei ministri del suo governo.
ARTICOLI CORRELATI El pueblo primero Francesco e il mistero dell’enciclica icona degli anti capitalisti Il Papa è comunista?Un entusiasmo contagioso, a ogni latitudine: dal leader boliviano Evo Morales con i suoi doni originali (si dibatte ancora del Cristo crocifisso su falce e martello consegnato a Bergoglio lo scorso luglio) al venezuelano Nicolás Maduro – che però a giugno non s’è presentato in Vaticano lamentando una fortissima quanto improvvisa otite (ma temendo in realtà una ramanzina papale per quel che accade in patria, con il silenziatore messo alle opposizioni), fino alla schiera di ecologisti liberal à la Al Gore che si sono sentiti come san Paolo folgorati lungo la via di Damasco non appena il Papa ha dato alle stampe l’enciclica sulla custodia del creato. Dei profili teologici del documento e dell’ennesima condanna delle “cosiddette teorie gender” e della pratica dell’aborto poco è interessato ai barricaderi redenti, tra cui spicca la no global Naomi Klein, che della Laudato Si’ ha colto solo le critiche al “capitalismo carbonico” e un invito affinché tutti gli attivisti “che lottano per un obiettivo comune” si uniscano. Pablo Iglesias, leader dello spagnolo Podemos che voleva spazzar via la vecchia politica per sostituirla con il vento nuovo del cambiamento – consistito, dove per ora i sindaci del movimento governano, nel cambiamento dei nomi delle strade e nel pensionamento dei toreri – ha detto che “in Europa si sta registrando un cambiamento di sensibilità, i cui segnali sono i messaggi del Papa Francesco e la elezione di Jeremy Corbyn alla testa dei laburisti inglesi”. “Non sono cattolico, ma quando sento parlare questo Papa sono d’accordo con lui tantissime volte e credo che sia molto coraggioso”.
di Matteo Matzuzzi | 16 Settembre 2015
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2015/09/16/la-sinistra-dei-che-francesco-landini-tsipras-iglesias-podemos-chiesa___1-v-132790-rubriche_c232.htm
(di Mauro Faverzani) Certo, l’ambasciata americana ha riaperto i battenti all’Avana, come da copione. Certo, per la prima volta dopo 56 anni di regime comunista, copie della Sacra Bibbia han cominciato a circolare, sia pure nell’ambito di un programma definito «sperimentale».
I silenzi della Chiesa rendono “pastori dei lupi, non del gregge affidato”
Certo, tra pochi giorni giungerà in visita anche il Papa. Ma proprio per questo è troppo parlare di “normalizzazione” a Cuba. I fatti si son svolti in modo sin troppo precipitoso e, quel che è peggio, per nulla esente da ombre. In ballo non c’è solo la questione dei risarcimenti milionari, già chiesti agli Stati Uniti da Fidel Castro. In ballo c’è molto di più, ci sono decenni di persecuzione religiosa, c’è un regime oppressivo, c’è la credibilità della Chiesa, c’è una situazione estremamente pesante nota alle cancellerie ed ai governi di tutto il mondo. Anche se nessuno ne parla.
In un clima così ci si può immaginare lo sconcerto provocato dall’intervista rilasciata lo scorso 5 giugno all’emittente spagnola Cadena Ser, dall’Arcivescovo dell’Avana, il card. Jaime Ortega. Il quale ha espressamente negato la presenza nell’isola di detenuti politici, gettando l’opposizione interna nel più totale smarrimento.
Armando Valladares, scrittore e poeta cubano, è stato uno di questi detenuti. È stato incarcerato, sottoposto a pene disumane e costretto ai lavori forzati per un paio di decenni con l’unica colpa di essersi rifiutato di sostenere il regime. In un articolo dello scorso 14 giugno, ha commentato: «Il Card. Jaime Lucas Ortega y Alamino, nel corso dei suoi 34 anni a capo dell’Arcidiocesi dell’Avana, si è trasformato in uno dei maggiori, indispensabili difensori del regime comunista». Si tratta «di un pastore pronto a dare la vita per i lupi e non per il gregge affidatogli, gregge orfano e impotente».
Valladares, in un precedente articolo, già si espresse in modo molto critico circa l’incontro avvenuto tra papa Francesco ed il presidente Raúl Castro lo scorso 10 maggio in Vaticano, incontro da lui definito «agghiacciante e terribile, davanti a Dio ed alla Storia», tale da segnare «in modo indelebile l’attuale Pontificato», spiegando come la teologia della liberazione abbia lasciato il posto alla «teologia della collaborazione».
Come una sorta di colpo di teatro son state interpretate le parole pronunciate al termine dallo stesso Castro: «Se continua così, tornerò alla Chiesa Cattolica. Potrei ricominciare addirittura a pregare, anche se sono comunista». Par prospettarsi il contrario: don René David, docente di Teologia presso il Seminario dell’Avana, ha invocato una «riconciliazione tra Cattolicesimo e comunismo», ritenendo, tutto sommato, in quest’ultimo l’ateismo un fatto non sostanziale, bensì incidentale.
Ma critiche indignate sul Card. Ortega sono piovute anche da Ada Maria López Canino del movimento Damas de Blanco, da ex-prigionieri politici come Daniel Ferrer e Ciro Alexis Casanova Pérez, che hanno bollato con indignazione, in un’intervista rilasciata al Diario de Cuba, come «una totale menzogna» le esternazioni del Cardinale, accusandolo di «appoggiare la dittatura dei fratelli Castro».
Anche il giornalista indipendente Mario Félix Lleonart ha osservato come le dichiarazioni dell’Arcivescovo non abbiano giovato «né alla Chiesa che rappresenta, né a sé stesso», ma anzi abbiano smontato quella «Dottrina Sociale della Chiesa, che lui è chiamato a sostenere e praticare».
In tutta risposta, a giugno, la Ccdhrn-Commissione cubana dei diritti umani e per la riconciliazione nazionale ha diffuso un primo elenco parziale, contenente 71 nominativi di persone «condannate perché perseguite o per motivi politici o con processi condizionati politicamente». La metà di questi casi risale ad un anno fa ovvero a quando già s’era messa in moto la grande macchina della “pacificazione guidata”. Il portavoce della Ccdhrn, l’ex-prigioniero Elizardo Sánchez, ha parlato di processi negati e di condanne «sproporzionate». Senza essere ascoltato.
Da 56 anni questi sono detenuti – “fantasma”, da quando cioè nell’isola si è instaurato il feroce regime comunista. Già nell’ottobre 1999 alcuni di loro giunsero a Roma da Miami con un appello per l’allora Pontefice Giovanni Paolo II, appello firmato da 500 personalità – uomini di Chiesa, della cultura, dei media, della politica – e pubblicato integralmente dal quotidiano Las Américas. Conteneva due richieste: la prima, esser strappati dall’oblio, perché «la coscienza addormentata dell’uomo post–moderno» non si dimenticasse di loro; la seconda, la canonizzazione dei martiri cattolici cubani: «Santo Padre, ai suoi piedi filialmente la supplichiamo di riscattare» quanti siano caduti «vittime del comunismo».
Armando Valladares, con le sue memorie, fu tra i primi a strappare il velo del silenzio, sotto cui si sarebbero volute nascondere le fucilazioni, che squarciarono le tenebre della notte nel carcere di La Cabaña tra le urla dei giustiziati: «Viva Cristo Re! Abbasso il comunismo!». Tra questi, Rogelio Gonzalez Corzo, membro dell’Acu-Associazione Cattolica Universitaria, freddato dopo un processo sommario e senza prove. O ancora Alberto Tapia e Virgilio Campanería, entrambi studenti presso l’Università Cattolica di La Salle. Di loro e di molti, molti altri si parla nel libro La Passione di Cristo a Cuba, scritto in Cile nel 1962 da un giovane sacerdote, che venne lì esiliato.
Il regime decise ben presto di cancellare le tracce della persecuzione religiosa nell’isola: ieri, bloccando le mascelle ai condannati; oggi, cancellandoli agli occhi del mondo, fingendo che siano gli autori di banalissimi “reati comuni”.
Chi, nel 2003, in piena guerra del Golfo, si occupò delle sorti dei promotori, per lo più cattolici, del Proyecto Varela, che richiese le libertà fondamentali tramite referendum? Oltre 11 mila cittadini firmarono tale appello, depositato in Parlamento col sostegno esplicito di aggregazioni quali il Movimiento Cristiano Liberación. I suoi vertici vennero rinchiusi in carcere con pene oscillanti dai 12 anni all’ergastolo.
L’accusa, per tutti, fu quella d’aver attentato alla sicurezza dello Stato. La Chiesa, in quell’occasione, fece sentire la sua voce, proclamò anche una giornata di preghiera, in tanti vi parteciparono nella chiesa di San Giovanni in Laterano, all’Avana. IlConsiglio dei laici della Diocesi di Pinar del Rio denunciò pubblicamente l’accaduto. Oggi nemmeno quelle voci si odono più.
Sandro Magister lo scorso 11 settembre ha fornito sul suo blog una interpretazione geopolitica della situazione, di grande interesse: papa Bergoglio potrebbe sorvolare su certe criticità in vista della costituzione, nella regione, di una sorta di «Patria grande», cattolica ed anticapitalista, che includerebbe anche Cuba e la sua Alianza Bolivariana già stretta coi regimi populisti di Nicaragua, Venezuela, Ecuador e Bolivia. In quest’ottica, secondo Magister, sarebbero da interpretarsi i silenzi in merito alla «deriva totalitaria» di Chávez e di Maduro, in merito all’«immeritevole presidente boliviano Evo Morales». Ed ora anche in merito a Cuba.
La visita di papa Francesco non prevede visite nelle carceri o incontri coi profughi ed i senzatetto. Papa Francesco, scrive Magister, «a Lampedusa gettò fiori in mare e gridò “Vergogna!”, ma è improbabile che lo faccia dal Malecón dell’Avana, davanti al braccio di mare che ha inghiottito migliaia di cubani in fuga verso le coste della Florida. È difficile che in una prigione incontri qualcuno delle centinaia di detenuti politici». Come ai tempi della Ostpolitik vaticana promossa dal Card. Agostino Casaroli. Alla cui scuola, non a caso, sono cresciuti anche l’attuale Segretario di Stato, Card. Pietro Parolin, ed il suo sostituto, l’Arcivescovo Angelo Becciu, già rispettivamente Nunzi, uno in Venezuela, l’altro a Cuba, come ricorda Magister.
Del resto, accadono strane coincidenze a Cuba. Capita, ad esempio, che il Nunzio apostolico giunto nel 2011, l’Arcivescovo Bruno Musarò, sia stato trasferito in Egitto il 5 febbraio scorso, pochi mesi dopo aver dichiarato che a Cuba «lo Stato controlla tutto» e che «l’unica speranza è quella di fuggire dall’isola», lamentando il degrado, la povertà e l’oppressione fatti patire al popolo.
Dal canto suo, il regime cubano ha tutto l’interesse a strumentalizzare al massimo l’imminente visita del Pontefice, come già fece in occasione di quella di Giovanni Paolo II nel 1998 e di quella di Benedetto XVI nel 2012.
Il Minrex, ministero per gli Affari Esteri cubano, nell’annunciare il programma dell’evento, ha già ricordato gli articoli 8 e 55 della Costituzione, che «riconoscono e rispettano la libertà religiosa», benché vincolata dall’art. 62, assolutamente “dimenticato”, in cui si specifica come «nessuna delle libertà riconosciute» possa «essere esercitata contro l’esistenza e gli scopi dello Stato socialista», né contro «la costruzione del socialismo e del comunismo», promettendo conseguenze per i trasgressori, quelle previste dal codice penale, considerato uno dei più repressivi in vigore. Per ritrovarsi incriminati, è sufficiente esprimere il benché minimo disaccordo col regime.
Tornano alla mente le chiare e forti parole di condanna del comunismo, cui, senza timori né strategie, ricorse un altro Pontefice, Pio XI, nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937; qui tale ideologia venne definita senza mezzi termini un«satanico flagello» (n. 7), «intrinsecamente perversa», specificando anche come sia impossibile collaborarvi, pena cadere «vittime» dello stesso «errore» (n. 58). Anche tacere, fingere di non vedere, di non sapere, di non sentire, anche tutto questo significa “collaborare”. (Mauro Faverzani)
http://www.corrispondenzaromana.it/i-silenzi-della-chiesa-rendono-pastori-dei-lupi-non-del-gregge-affidato/
FRANCESCO A CUBA: INTERVISTA A OFELIA ACEVEDO VEDOVA PAYA’ – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 17 settembre 2015
FRANCESCO A CUBA: INTERVISTA A OFELIA ACEVEDO VEDOVA PAYA’ – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 17 settembre 2015
Alla vigilia della visita del Papa a Cuba parla Ofelia Acevedo, vedova di Oswaldo Payá, il leader cattolico cubano a capo del Movimiento Cristiano de Liberacion, morto in un incidente molto sospetto il 22 luglio 2012. Sull’isola continuano a mancare i più elementari diritti di libertà, anche religiosa. Papa Francesco, che ha ricevuto in udienza privata la famiglia Payá il 14 maggio 2014, conosce bene la situazione. Critiche al comportamento ostile ai dissidenti del cardinale Ortega.
In relazione al viaggio apostolico di papa Francesco a Cuba abbiamo realizzato due interviste assai diverse tra loro (la seconda verrà pubblicata sabato 19 settembre). Oggi la parola è a Ofelia Acevedo, vedova del leader cattolico cubano Oswaldo Payá, fondatore nel 1987 delMovimiento Cristiano de Liberacion, morto in un incidente d’auto molto sospetto il 22 luglio del 2012 a oltre 700 chilometri da L’Avana, nei pressi della città di Bayamo. Il nome di Oswaldo Payá è legato anche al Proyecto Varela per l’ottenimento delle libertà fondamentali e del diritto del popolo cubano a decidere del proprio futuro tramite un referendum: le oltre 10mila firme necessarie furono consegnate al Parlamento cubano nel 2002 e se ne aggiunsero altre 14mila nel dicembre 2003, a dispetto della repressione attuata dal Governo castrista. Ofelia Acevedo nel giugno 2013 è dovuta espatriare a Miami con la famiglia, a causa delle continue minacce poliziesche che rendevano ormai insostenibile la sua vita quotidiana sull’isola.
Signora Ofelia, quale la sua reazione, quali i suoi sentimenti quando è stata annunciata la visita di papa Francesco a Cuba?
Quando l’ho saputo la mia prima reazione è stata di sorpresa, poi di allegria. Sorpresa, poiché tre visite di Papi in 17 anni a una stessa Chiesa sono un privilegio. Allegria, perché papa Francesco si è identificato particolarmente con i poveri, gli esclusi, i perseguitati. E tali categorie costituiscono la maggioranza del mio popolo. Esse stanno attendendo il messaggio di incoraggiamento e di speranza di papa Francesco, che le stimolerà ad alzarsi e incamminarsi lungo la via, a essere protagoniste della loro storia, trovando la forza per farlo in Gesù Cristo, il grande restauratore della piena dignità dell’uomo.
Dopo l’annuncio della visita papale, c’è stato qualche cambiamento positivo per il popolo cubano? Oggi c’è maggiore libertà religiosa nell’isola?
Dopo l’annuncio della visita e fin qui non si è prodotto nessun cambiamento positivo per il popolo cubano. La mancanza di libertà mantiene i cubani immersi nella povertà, oltre alla situazione di ingiustizia per l’assenza di diritti che ha provocato danni immensi. La situazione al momento è la stessa. A Cuba non c’è libertà religiosa. C’è l’Ufficio degli Affari religiosi del Comitato centrale del Partito comunista (l’unico partito politici riconosciuto a Cuba), legato alla Sicurezza dello Stato (la Seguridad), che si incarica di monitorare, intervenire, confiscare, perquisire, convincere e minacciare ogni membro della Chiesa le cui opinioni o comportamenti dispiacciano al governo dei Castro. Costoro hanno la competenza e il permesso di intervenire e controllare in qualsiasi momento qualsiasi aspetto della vita ecclesiale a Cuba che non soddisfi il Governo. La Chiesa inoltre non ha accesso ai mass-media, le famiglie non possono scegliere una educazione cristiana per i figli, perché non esiste. L’attuale dirigente dell’Ufficio degli Affari religiosi del Partito comunista ha chiarito, in vista della prossima visita del Papa, che l’educazione religiosa è stata eliminata dalla Rivoluzione.
Le visite precedenti di papa Wojtyla e di papa Ratzinger portarono a conseguenze positive per la Chiesa cubana?
Le visite papali precedenti del 1998 e del 2012, anche se diverse per molti aspetti, hanno costituito un segno importante di fraternità con la Chiesa che è pellegrina in Cuba. Tanto i messaggi di san Giovanni Paolo II che di Benedetto XVI furono accolti con gratitudine infinita dai cubani che poterono ascoltarli. La gerarchia della Chiesa in Cubavanta conseguenze positive per il fatto che il Governo dopo le visite ha permesso la venuta a Cuba di alcuni sacerdoti e l’acquisizione di determinati mezzi tecnici e di automobili necessari per il lavoro pastorale della Chiesa. Oppure la riconsegna di vecchi immobili che erano chiese e scuole, confiscate alla Chiesa durante i primi anni del Governo castrista quando erano mantenute perfettamente, con tutte le risorse necessarie; furono però riconsegnate vuote e in rovina o totalmente distrutte. Non conosco altre conseguenze positive visibili.
Il Governo ha annunciato che per la visita di papa Francesco saranno amnistiati 3522 prigionieri. Anche prigionieri politici?
Il Governo ha annunciato l’indulto per più di 3500 prigionieri, ma fin qui tra loro non c’è nessun prigioniero politico e fin qui nemmeno si è concretizzata nessuna amnistia per nessun prigioniero. Il Governo dei Castro utilizza le persone come monete di scambio. Di solito, quando libera prigionieri, li scarcera con la condizionale o li espelle dal Paese.
Signora Ofelia, Lei il 14 maggio è stata ricevuta in udienza con i suoi figli da papa Francesco (vedi anche in questa stessa rubrica). Lei pensa che il Papa sia ben informato sull’odierna situazione a Cuba?
La mia famiglia e io abbiamo avuto l’onore e la benedizione di essere ricevuti da Sua Santità papa Francesco in udienza privata. Con lui abbiamo parlato delle condizioni penose in cui vive l’immensa maggioranza dei cubani, abbiamo parlato della Chiesa pellegrina in Cuba di cui facciamo parte e che amiamo intimamente. Anche dell’attentato del 22 luglio 2012 all’automobile in cui viaggiava mio marito, ad opera di agenti della Seguridad dello Stato. L’attentato provocò la morte di mio marito Oswaldo Payá e quella del giovane Harold Cepero. Abbiamo detto al Papa della nostra intenzione di promuovere un’indagine indipendente per chiarire le vere circostanze dell’accaduto. Credo che papa Francesco conosca la situazione reale in cui vivono i cubani: è ben informato e si è riferito in varie occasioni alle sofferenze del popolo cubano.
Pensa che il Papa potrà incontrare qualche dissidente cubano?
Il Papa, se lo vuole, potrà incontrare i dissidenti cubani.
Il comportamento del cardinale arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega y Alamino verso i dissidenti è da lungo tempo criticato dall’opposizione non solo cattolica. Indignazione ha suscitato ad esempio il fatto che in un’intervista del 5 giugno alla spagnola Cadena Ser abbia negato la presenza di prigionieri politici nell’isola…
Purtroppo il cardinale Ortega ha adottato in varie occasioni con i dissidenti non solo cattolici un comportamento analogo a quello che gli agenti della Seguridad dello Stato impiegano con loro: escludente e offensivo.
Se suo marito Oswaldo Payá, leader del Movimiento Cristiano de Liberacion, fosse ancora vivo, che cosa avrebbe cercato di dire al Papa?
Difficilmente mio marito avrebbe avuto l’opportunità di giungere vicino al Papa durante la visita. Nelle due occasioni precedenti aveva chiesto alle autorità ecclesiali di poter incontrare Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma non fu mai possibile. Presumiamo che sarebbe stato un qualcosa che per il Governo cubano era chiaro non potesse succedere.
Sono sicura che se Oswaldo avesse potuto parlare al Papa non gli avrebbe posto nessuna domanda, ma gli avrebbe detto: “Vorrei ascoltare la Sua parola con un cuore aperto e pieno di speranza”.
C’è qualche novità a livello cubano o internazionale sulla morte di suo marito (e di Harold Cepero, leader giovanile del Movimiento Cristiano de Liberacion) in seguito a un incidente automobilistico molto sospetto avvenuto il 22 luglio 2012?
Ancor prima di apprendere che mio marito era morto, il mondo sapeva che quanto accaduto era stato provocato, dopo che i sopravvissuti avevano inviato messaggi di aiuto che furono pubblicati e in cui dicevano che erano circondati da militari e che erano stati buttati fuori dalla carreggiata da un’altra automobile. Il fatto nuovo in questa vicenda è il primo rapporto legale sopra il caso: è stato reso pubblico dall’équipe giuridica di Human Right Foundation nel terzo anniversario dell’attentato, due mesi fa presso l’Università di Georgetown a Washington DC. Il rapporto elenca tutte le violazioni fin qui provate in cui sono incorse le autorità cubane e conclude che quanto accaduto non fu un semplice incidente.
Purtroppo invece non è nuova l’ostilità manifestata dalla nuova Ambasciata cubana a Washington, che ha rifiutato di ricevere la lettera che ho scritto al Ministero della Salute pubblica di Cuba chiedendo la relazione dell’autopsia fatta a mio marito Oswaldo Payá. Quando mia figlia Rosa Maria, lo scorso 21 luglio, cercò di consegnare la carta all’Ambasciata di Cuba a Washington, il personale non la lasciò entrare, neppure accettò la lettera e chiamò la polizia. Questa è la risposta data dai rappresentanti del Governo cubano. Io voglio solo sapere quali furono le lesioni che provocarono la morte di mio marito: ne ho il diritto.
P.S. Su www.rossoporpora.org (sempre nella rubrica: Interviste a personalità) anche: Cuba: due anni fa moriva Oswaldo Paya'/Intervista alla figlia Rosa Maria - Cuba: La famiglia Paya' ricevuta questa mattina dal Papa - Cuba: Parlano i dissidenti (intervista a Carlos Paya' e a Regis Iglesias)
Una volta avevamo i comunisti mangiapreti, ora abbiamo un papa e vari preti comunisti e anticlericali, Roba da matti ! jane
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